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Le donne e il lavoro: il riscatto delle campesine

Le donne e il lavoro: il riscatto delle campesine

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 14/09/2024

Il lavoro è il cuore di tutte le transizioni. È la macroleva per limitare la povertà, ridurre le diseguaglianze, creare e restituire dignità. È un potente strumento di emancipazione, in grado di rendere “protagoniste” le persone. Socialmente, culturalmente, economicamente. Lo è per gli uomini. Lo è – in special modo – per le donne. Vale in Italia, in Europa. Vale nel mondo. Vale – l’ho potuto vedere con i miei occhi – in Ecuador, il più piccolo Paese degli altipiani andini. Paese ricco di contrasti. Stili diversi. L’architettura coloniale e le antichità incaiche e preincaiche. Una lingua antica, la lingua quechua, accanto allo spagnolo. Temperature elevate e temperature glaciali. Il deserto e i ghiacciai perenni. Paesaggi vulcanici lunari e il verde smeraldo della giungla amazzonica. Le vette dei vulcani avvolte dalle nuvole e le stazioni termali, il mare. Ricchezza (reale, poca e per pochi; potenziale, perché il Paese e le sue terre potrebbero essere sfruttate diversamente) ed estrema, davvero estrema, povertà. Economica e culturale. Sulle Ande, accanto a immense proprietà terriere, coesistono centinaia di migliaia di microfondi. Sufficienti per l’autosussistenza. E non sempre.

Qui troviamo i campesinos e le campesine. Le indie. Le meticce. Più lontano, soprattutto lungo le coste, le afroecuadoriane.

Coltivano frutta, ortaggi, patate, orzo, canna da zucchero. Hanno mucche e maiali, galline, conigli e capre. I lama, immancabili, e i porcellini d’india. Vivono in casette. Minuscole. In montagna in alto, al freddo e al gelo. Non è facile. Hanno volti rugosi e arsi dal sole. E abiti colorati. Il lavoro – e la conseguente capacità di produrre reddito – ha permesso alle donne di questo Paese di ribaltare (o perlomeno di iniziare a modificare) una visione arcaica che le vedeva ancora dipendere dagli uomini, lottare ogni giorno contro esclusione, emarginazione e – sì, è un dato incontrovertibile – violenze domestiche.

E allora partiamo da una considerazione. E da un’intuizione visionaria. Quella della finanza popolare trasformativa, l’idea che il credito – inizialmente piccolo, piccolissimo, di pochi dollari – possa dare vita a un’economia circolare e a un circuito virtuoso che permette alle comunità di generare valore, insieme a una prospettiva di sviluppo e crescita. Un percorso in grado di trasformare iniquità economiche e sociali in opportunità di sviluppo sostenibile, partecipato, inclusivo. Di ridurre diseguaglianze creando lavoro e imprenditoria. Un percorso che in queste terre non poteva non far leva proprio sulle donne e sulla loro naturale propensione al risparmio. Perché il senso del risparmio ha in sé la consapevolezza della necessità di crescere, di sviluppare la casa comune e il bene comune. Di proteggere e di garantire un futuro a famiglie e comunità.

Con questo obiettivo nasceva più di venti anni fa, nel 2002, il processo-progetto “Microfinanza Campesina” del Credito Cooperativo italiano. Il più grande realizzato in Ecuador con fondi privati, riconosciuto a livello internazionale come un nuovo modello di cooperazione per combattere la povertà nei Paesi in via di sviluppo. Un progetto basato sulla collaborazione tra Federcasse, la Federazione nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali, in rappresentanza del sistema del Credito Cooperativo italiano, Codesarrollo, una banca ecuadoriana nata in forma cooperativa e poi divenuta, nel 2014, società per azioni, e FEPP, il Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio, una fondazione privata senza scopo di lucro nata negli anni ‘70 per iniziativa della locale Conferenza Episcopale per rispondere all’appello di Papa Paolo VI che, nella enciclica Populorum Progressio, richiamava alla creazione di un fondo comune per assistere i più poveri nella prospettiva di uno sviluppo solidale.

È proprio negli anni Settanta che sbarca in Ecuador, dal Trevigiano, Giuseppe (Bepi) Tonello. Laureato in Filosofia, volontario dell’Operazione Mato Grosso, missionario salesiano, arriva a Salinas nel 1970 e da qui non partirà più. Era sua, e dell’attuale parroco di Salinas, padre Antonio Polo, questa idea rivoluzionaria: costituire e sviluppare cooperative di risparmio e credito a livello sub-provinciale in grado di realizzare una rete diffusa sul territorio di cooperative finanziarie a sostegno delle microimprese a conduzione familiare, di piccole realtà artigianali e di un’agricoltura di sussistenza, avviando così in molte aree rurali un processo virtuoso di integrazione e di sviluppo economico lungo la filiera “agricolturaallevamento-trasformazionecommercializzazione”. Oggi Salinas è il villaggio simbolo di questa finanza popolare generativa e trasformativa, di questo modello di sviluppo che racconta – dopo oltre venti anni – di piccole baracche diventate sedi moderne e funzionali di cooperative di risparmio e credito; di microprestiti comunitari; di scuole costruite o di nuovo utilizzabili; di terreni riscattati; di nuovi modi di convivere con la natura.

Tante terre aride hanno preso il colore degli alberi messi a dimora dal FEPP (decine di migliaia nella sierra andina) o degli ortaggi coltivati attraverso il metodo “SIPA” (Sistemi Integrali di Produzione Agrotecnica, una tecnica di coltivazione rotativa e sostenibile proposta e promossa dal FEPP).

Tante, tantissime donne indigene e campesine sono diventate leader della propria cooperativa e, di conseguenza, del proprio destino. Lo dice Bepi: «Un tale sviluppo ha bisogno di persone “nuove”, che proteggano la casa comune, che siano oneste e attive. Persone così si possono trovare in Ecuador, soprattutto tra le donne». Nel mio ultimo viaggio in Ecuador, nel 2022, le ho incontrate queste donne. Molte di loro. Preferirei dar loro la voce. Una gran voce.

A Pastocalle l’idea di una Cooperativa di Risparmio e Credito si fece strada nel 2000 quando i contadini non riuscivano a ottenere credito presso le grandi banche. All’epoca cominciarono a sorgere piccole Casse di raccolta familiari. I primi soci erano 25 donne. Oggi, per la Cooperativa lavorano otto persone, di cui sette donne. La crescita economica del territorio ha permesso di interrompere l’emigrazione e soprattutto il flusso verso le città delle ragazze che venivano chiamate a fare le colf in situazioni umane ed economiche di grave degrado.

Cecilia è la gerente, la direttrice, della Cooperativa di Risparmio e Credito Sisa a Santarosa, fondata nel 2011 da nove donne e sei uomini. Lavorano soprattutto dando credito a gruppi di donne che allevano cuyes (i porcellini d’india) e conigli o mettono su piccole imprese di commercializzazione. I volumi dei prestiti stanno aumentando.

Marta è la direttrice della Cooperativa di Risparmio e Credito Financredit. Anche questa cooperativa è gestita prevalentemente da donne ed è nata undici anni fa dal bisogno delle donne della comunità di ricevere crediti. L’80% del portafoglio è rosa, «perché le donne – mi dice Marta – sono più responsabili, non sono mai morose e hanno veramente bisogno di crescere».

Maria Teresa è capo filiale di Codesarrollo ad Ambato. «Sono felice – ci dice quando la incontriamo – di lavorare con le cooperative guidate da donne manager indigene. Donne che si sono formate con sforzo e sacrificio per portare avanti una buona gestione finanziaria, amministrativa e sociale. Donne emancipate che, pur ricoprendo anche i ruoli di madri e di mogli all’interno delle loro comunità, mantengono saldo il loro impegno di lavorare e sostenere altre donne, che erano prima prive di opportunità di crescita e che ora possono contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle proprie famiglie».

Sara è la direttrice della Cooperativa di Risparmio e Credito Surangay (in lingua quechua “il luogo della piccola canna di bambù”). “Sta a noi – ci spiega la direttrice – difendere la nostra casa comune”.

Rosa è la direttrice della Cooperativa di Risparmio e Credito Ichubamba. Ha fatto solo la scuola primaria come Bernarda, la presidente della Cassa di Risparmio El Manizal. «Non sono laureata, sono solo una signora campesina che ha combattuto l’usura nella propria comunità mettendo in piedi una cooperativa di risparmio».

A Carchi, nella Sierra Norte, 168 donne lavorano insieme in rete con gli animali “minori” – galline, conigli, maiali – e sono entrate nella produzione integrata di frutta, ortaggi e legumi biologici. Hanno creato Producampo, un’organizzazione per gestire il surplus produttivo.

Gabriela è la dirigente delle donne che lavorano con i criteri nuovi (SIPA, Sistema integrale di Produzione Agrotecnica). Hanno fondato anche una piccola Cassa Rurale che accederà alla rete Refider, la cui presidente è Lery, l’unica dirigente afroecuatoriana (“Sono molto orgogliosa del mio colore”), direttrice anche della Cooperativa di Risparmio e Credito Salinerita. Con il loro lavoro garantiscono la sussistenza delle famiglie della comunità: qui si costruiscono case e si mandano i figli a scuola. Non si pensa più ad abbandonare le campagne per la città.

Donne e finanza popolare. Un credito femminile, una propensione al risparmio che sono stati in grado di muovere. Modificare. Sviluppare. Dare fiducia. Ottenere fiducia. Un esempio di lotta quotidiana contro esclusione ed emarginazione attraverso la leva della cooperazione e del lavoro. Così la dignità di un credito arriva a dare senso alla vita di centinaia di migliaia di persone. 

Francesca Stella è dell’Ufficio stampa di Federcasse (Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali; autrice di “L’altra mitad del mundo. Appunti di viaggio sulle Ande. Da Quito al Chimborazo e ritorno, tra banchiere campesine e imprenditori di comunità”, Ecra 2023.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

 

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