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Vicofaro il rifugio, l'albero che si offre

Vicofaro il rifugio, l'albero che si offre

Il dramma delle migrazioni ci interpella in maniera profonda ed è su questa spinta che nasce, esiste e resiste una comunità di accoglienza, come quella di Vicofaro, a Pistoia che nel suo modo di accogliere, dare rifugio che nel suo essere “ospedale da campo”, si lascia attraversare anche da uno “sconsiderato” insieme di sentimenti come quelli di fratellanza, umanità, cura disinteressata che questo nostro tempo vorrebbe annientare.

Un percorso certo non facile quello di don Massimo Biancalani, di cui è perfettamente consapevole che parte da una esperienza integrale, quella di Vicofaro, “rifugio”, da 9 anni, dalle porte sempre aperte e dai giacigli sempre pronti che risponde ad uno dei fondamentali aspetti della dimensione sociale dell’evangelizzazione.

Vicofaro come esperienza di profonda attenzione ai migranti nasce il 2015 sulla spinta di uno degli appelli di papa Francesco rivolto a tutta la Chiesa, al suo popolo, uno fra i più disattesi, fra i più ignorati; quello di farsi carico dell’accoglienza di almeno una famiglia di migranti: “Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d'Europa, ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma».

Una precisa disposizione che invece trovò don Massimo Biancalani, parroco di Vicofaro dal 2006, da sempre sensibile già dai inizi del cammino pastorale al tema degli ultimi, accettarla, come scrive lui stesso allestendo: “un vero ospedale da campo che intende contribuire con il suo esempio a far fronte alla continua emergenza umanitaria in particolare di quanti, ultimi degli ultimi che si ritroverebbero ancora più sbandati, abbandonati in qualche piazza, in qualche portico, in qualche rudere abbandonato delle nostre periferie più degradate” (Disobbedisco ed Accolgo, ed. San Paolo, 2020).

Una profonda attenzione a quei fantasmi che nella Piana di Firenze diventano facile mano d’opera per le mafie oppure moderni schiavi che chinano la schiena per 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, per 3euro l’ora, nelle fabbriche del pronto moda pratese oppure in qualche serra pistoiese.

Vicofaro nasce così e va oltre, accettando tutti, anche gli scartati del sistema di accoglienza ufficiale, conquistando il titolo di luogo di disobbedienza, disturbo, di odio per quanti cavalcano razzismo ed egoismo. Si pone ben presto anche come realtà divisiva per un’associazionismo tiepido, per una Chiesa locale cauta, spiazzata da questa esperienza così dirompente. Pulsioni attenuate ai nostri giorni ma che portano ancora il segno evidente di quanto sia complesso il cammino di riavvicinamento a questo luogo dal carattere profetico.

Dalla lontana cassa di risonanza, nell’agosto del 2017, del pomeriggio premio in piscina che fece esplodere il “caso” Vicofaro, sono stati tanti i passaggi che hanno segnato la vita di questa realtà, tutti attraversati da momenti difficili da quello del COVID, alle minacce di “deportazione”, ma anche da quelli esaltanti della “pizzeria del rifugiato” che resta esempio di come questa esperienza si apriva anche all’esterno come vera e propria “tenda” di riparo e relazione. Questo “Santuario di accoglienza” dalle porte sempre aperte, oggi, offre il rifugio a circa 130 ospiti mentre altri 30 sono presenti in un’altra parrocchia della periferia, anche questa gestita da don Biancalani, quella di Ramini. La comunita, alla sua nascita, riceveva un sostegno pubblico marginale come Cas (Centro di accoglienza straordinario) per pochissime unita ma ormai da anni è alimentata solo dai contributi come una qualsiasi parrocchia e vive solo grazie ai volontari, a persone, ad associazioni quasi esclusivamente fuori dal contesto pistoiese.

Un’opera indispensabile, quella dei volontari che riesce anche a dare anche prospettiva di vera integrazione, di risposte alle infinite esigenze dei giovani, di stimolo alla crescita come lo dimostrano le esperienze di quei migranti che hanno trovato completa regolarizzazione attraverso un lavoro che ha visto riconosciuto ogni loro diritto.

Giovani, con storie drammatiche, arrivati dai lager libici, da quelli tunisini che spesso hanno necessità di sostenere le famiglie, che vengono da tutto il mosaico dell’Africa Subsahariana, da mondi anche ostili e che fino ad oggi, salvo alcuni marginali episodi di contrasto, hanno fanno capire che Vicofaro sopravvive anche grazie ad una convivenza fatta di comprensione.

Fra gli aspetti complessi della comunità di don Massimo c’è senz’altro quello del rapporto con il popolo stesso di Vicofaro, con la realtà circostante dei fedeli che si sono allontanati dalla Chiesa spesso a causa dell’ostilità montata da certa politica che in vario modo, ha alimentato il disturbo per razzismo, per una “presenza ingombrante”, ispirando la nascita di comitati cittadini sempre pronti a riaccendersi nei momenti più critici oppure a ridosso delle competizioni elettorali come si teme possa avvenire a breve in vista del prossimo confronto per la presidenza della regione Toscana del 2025. Temi che vedono don Biancalani impegnato in una contesa continua a tante avversità ma che allo stesso tempo lo spingono ad una prospettiva più ampia, ad un lavorio che lo porta ad intessere una rete di incontri, relazioni affinché, almeno a livello pilota regionale, soprattuto contando sul sostegno di figure sensibili nella Chiesa, si cerchi di portare avanti, grazie all’esperienza di Vicofaro, un progetto più diffuso di prima accoglienza.

Un piano ambizioso che attraverso la realizzazione di realtà più piccole, più gestibili, di cosiddetta “bassa soglia”, risponda, come un “primo soccorso”, alla necessità di quanti si trovano fuori dai percorsi tradizionali, lungo il ciglio delle nostre strade, fantasmi fra i fantasmi, in balia della disperazione. L’esatto opposto alle risposte di questi tempi fatti di Memorandum con Libia e Tunsia, Cpr, decreti Cutro, hotspot albanesi e quanto viene messo in atto per alimentare il senso di paura ed insicurezza.

Un progetto coraggioso che risponderebbe alla necessità di affrontare il tema con coraggio e “creatività” come invita l’Evangelii gaudium, La gioia del Vangelo (2013), quell’esortazione apostolica di papa Francesco cara a don Massimo che spinge all’audacia, alla capacità ispirata e “ad abbandonare il comodo criterio pastorale del si è fatto sempre così”.

Creatività che vede la luce nel recente progetto che porta alla nascita di una Vicofaro in Africa, in Gambia, di una scuola, in uno dei luoghi delle partenze del popolo dei migranti. Da quel Paese dal quale anni fa è arrivato in Italia Ebrima Danso, pittore autodidatta che grazie al sostegno di don Massimo e dei volontari sta portando avanti con successo una mostra itinerante dal titolo “Un segno tra umanità e disumanità” che raccoglie dipinti colmi di “bellezza” e di realtà dura rappresentando il suo viaggio, quello che i suoi occhi hanno visto durante un cammino non ancora concluso.

Passaggi che fanno di Vicofaro laboratorio, luogo di attenzione e riflessione com’è stato evidenziato anche dal card. Matteo Zuppi, presidente della CEI che in un incontro a Romena, lo scorso anno, mentre scorrevano le immagini di Vicofaro, di fronte ad una domanda apparentemente provocatoria del giornalista Orlandi che gli chiedeva come ci si poteva porre di fronte all’esperienza di Vicofaro, rispose che la Chiesa non può essere che nell’accogliere, nel farsi al fianco dell’accoglienza, proprio come quel dipinto che troneggia sulla facciata della Chiesa di Santa Maria Maggiore. Un affresco che rappresenta un albero e una frase profetica di don Angelo Casati: “Vorrei che le chiese fossero come un albero che non chiede agli uccelli da dove vengono e dove vanno ma offre loro ombra e cibo lasciando poi che volino via”. Parole piene di profezia segno che si coglie nell’accostarsi a Vicofaro, a questo rifugio che mette in discussione le certezze di un mondo che pare succube dalla disumanità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto di Luca Soldi dalla facciata di S. Maria Maggiore a Vicofaro (Pistoia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritratto di don Massimo Biancalani realizzato da Giulia Soldi (2022)

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