
Sull’omicidio Attanasio le istituzioni si voltano dall’altra parte: un appello
Tratto da: Adista Notizie n° 28 del 26/07/2025
42325 ROMA-ADISTA. Associazione Amici di Luca Attanasio, Associazione Vittorio Iacovacci, Rete Limbiate e Associazione Prospettiva 2023, in un appello ai gruppi parlamentari diramato il 14 luglio scorso, chiedono che il Parlamento italiano, «senza ulteriori indugi», istituisca una Commissione d’inchiesta sull’assassinio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista del World Food Programme (WFP) Mustapha Milambo, caduti, il 22 febbraio 2021 a nord di Goma (capoluogo della provincia congolese orientale del Nord Kivu), in un agguato al convoglio che li avrebbe accompagnati in visita a una missione del WFP.
Il tragico evento, avvenuto in un contesto martoriato e complesso, con forti ripercussioni internazionali, ha suscitato grande clamore in Italia; il cordoglio per la grave perdita è stato unanime e generale, anche nella società civile e nella Chiesa missionaria, che ben conosceva l’appassionato impegno del giovane ambasciatore per costruire pace in quelle terre attraversate da decenni di violenza. E, subito dopo i fatti del 22 febbraio 2021, si è levata a più livelli una pressante richiesta di indagare sui fatti e di mobilitare la macchina diplomatica italiana per ottenere verità e giustizia.
La giustizia congolese
Nemmeno un anno dopo l’agguato le forze di polizia congolesi hanno annunciato in pompa magna l’arresto di 6 persone per aver ordito il rapimento a fini estorsivi. Secondo le ricostruzioni ufficiali della giustizia della Repubblica Democratica del Congo il carabiniere di scorta avrebbe tentato di proteggere Attanasio, innescando così la reazione armata di uno degli imputati, che poi avrebbe ucciso Attanasio e Iacovacci. Ma la ricostruzione è parsa da subito una messinscena costruita ad arte per liquidare velocemente la faccenda evitando beghe internazionali. I legali degli accusati hanno tra l’altro dichiarato che i loro assistiti sarebbero stati spinti a firmare una confessione sotto tortura.
Nonostante le perplessità sollevate, il 7 aprile 2023 è arrivata la sentenza da parte della Corte militare di Kinshasa, che ha condannato i sei imputati per omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra. Per loro l’accusa aveva chiesto la pena capitale, ma i giudici hanno infine commutato la pena in ergastolo, un po’ per una prassi ormai conoslidata nel Paese africano, un po’ anche per le pressioni esercitate dai familiari dell’ambasciatore, che non hanno mai creduto alla sbrigativa ricostruzione e hanno sempre considerato i 6 condannati dei capri espiatori gettati in pasto all’opinione pubblica per coprire verità ben più scomode.
La giustizia italiana
Grande fiducia, invece, è stata riposta sull’inchiesta italiana che si è aperta il 25 maggio 2023 a Roma per far luce, in particolare, sulle «omesse cautele» nella gestione della missione e cioè sulla presunta responsabilità di due funzionari del WFP, Rocco Leone (allora vicedirettore del WFP a Goma) e Mansour Rwagaza (responsabile della sicurezza del WFP a Goma). In particolare la Procura di Roma affermava che il convoglio, pur viaggiando in una zona ad altissimo rischio, non fosse adeguatamente protetto con veicoli blindati e scorte armate. Evenienza che si sarebbe verificata a causa di una presunta alterazione di documenti – che indicavano il trasporto di dipendenti WFP al posto dell’ambasciatore e del carabiniere – operata forse per banale errore o forse per accelerare le procedure.
Ben presto, anche la fiducia riposta nel Tribunale romano si è tramutata in cocente delusione: il 13 febbraio 2024, infatti, la Giudice dell'Udienza Preliminare ha sentenziato il «non luogo a procedere per difetto di giurisdizione», riconoscendo l’immunità funzionale che spetta di diritto ai funzionari delle Nazioni Unite per gli atti compiuti nell'esercizio delle loro funzioni. Delusione anche nei confronti delle istituzioni italiane, Presidenza del Consiglio e della Repubblica, invitate invano in occasione delle udienze romane a costituirsi parte civile per esercitare maggiore pressioni sulla Corte.
L’appello
Tornando all’attualità, i firmatari dell’appello ribadiscono che «nessuna verità è stata ancora accertata sui mandanti e sul movente della carneficina». Riaffermano, ancora, le «forti perplessità» sui pronunciamenti della giustizia congolese dell’aprile 2023 e sulla sentenza di «non luogo a procedere per difetto di giurisdizione» della GUP di Roma a febbraio 2024, che avrebbe di fatto «impedito che il processo si potesse celebrare al fine di individuare il coinvolgimento degli imputati, funzionari ONU, indagati per omicidio colposo a seguito di conclamate gravi omissioni o colpevoli a seguito di una serie di conclamate gravi omissioni nella procedura di sicurezza della missione nel Nord Kivu».
La sentenza, affermano poi le associazioni, «ha tuttavia confermato il potere d'iniziativa del Governo italiano nei confronti delle Nazioni Unite nella funzione di “moral suasion” finalizzata a rimuovere gli ostacoli determinati dall’apposizione dell’immunità funzionale degli imputati» per «acquisire elementi di conoscenza indispensabili». Nell’appello, i firmatari si vedono costretti a riconoscere che, però, fino ad ora, questa moral suasion non è mai stata esercitata dal nostro governo, nonostante «le innumerevoli interrogazioni parlamentari al Ministro degli Esteri», nonostante «le audizioni alle commissioni deputate», nonostante «le commemorazioni che puntuali da quattro anni ricordano gli uomini servitori dello Stato». Da parte delle istituzioni italiane è giunta, nella migliore delle ipotesi, denuncia l’appello delle associazioni, la vicinanza ai parenti delle vittime, il ricordo dei caduti e i minuti di rispettoso silenzio. Tuttavia, accusano ancora le associazioni, «con rammarico, non abbiamo registrato una sola concreta iniziativa di Governo affinché fosse fatta luce su questa orribile vicenda». L’omicidio di un ambasciatore, aggiunge l’appello, non può essere considerate proprio dalle istituzioni un semplice «fatto di cronaca nera», perché rappresenta «un attacco allo Stato», e lo Stato «deve reagire con dignità». «Pensiamo quindi sia giunto il momento per i rappresentanti parlamentari – concludono i firmatari – di rompere gli indugi e dotare il nostro Paese di una commissione d’inchiesta parlamentare , uno strumento d’indagine capace di accertare i fatti, verificare i numerosi atti, ascoltare tutti i soggetti che possano dare un significativo contributo all’accertamento della verità». Le associazioni si appellano ai gruppi parlamentari di Camera e Senato «in nome del diritto alla verità per i familiari, per i cittadini italiani, per l’onore e la dignità delle istituzioni del nostro Paese».
Il commento del papà
Ricordando i numerosi appelli alle istituzioni caduti nel nulla, il papà dell’ambasciatore ucciso, Salvatore Attanasio, ha così commentato al Fatto Quotidiano (14/7) l’iniziativa delle associazioni: «Speriamo che l’appello rivolto ai nostri parlamentari faccia scattare nelle loro coscienze quell’orgoglio nazionale per costituire una Commissione d’inchiesta che lavori seriamente per giungere ad una “verità vera”. L’omicidio di un ambasciatore, di un alto rappresentante dello Stato, è un’offesa all’Italia che non può essere ignorata da chi ha il dovere di difendere la dignità del nostro Paese sempre e comunque. Far finta che non sia successo nulla, girando il capo o, peggio, insabbiando, non rende onore ai nostri caduti. Luca e Vittorio sono eroi dei nostri tempi. L’Italia deve rendere loro gli onori dovuti con la ricerca dei mandanti e del movente».
Il giorno stesso, interrogato dal quotidiano il Domani, Salvatore Attanasio ha definito il processo romano «un processo di facciata, non per giungere a un verdetto. Per questo abbiamo scelto di intraprendere altre strade».
*Foto presa dal profilo Facebook dell'Associazione Amici di Luca Attanasio, immagine originale
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!