Fedi disarmate e cura dei diritti umani
La Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’assemblea generale dell’Onu il 10 dicembre 1948 sembra lontana non perché sono passati quasi 80 anni, ma perché il pensiero che l’ha sorretta e l’ha nutrita è venuto meno.
Il pensiero critico che li ha forgiati nasce da una banale considerazione: se i diritti e le libertà di ogni persona sono rispettate non ci dovrebbero essere più motivi per rifare l’esperienza di una guerra che ha portato a decine di milioni di morti, soprattutto civili, a diversi genocidi come quello del popolo ebraico (Shoah) e del popolo sinti e rom (Porrajmos), all’ecatombe e all’ecocidio nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Questo pensiero è stato rafforzato da una sempre più larga presa di coscienza, a partire dai popoli coloniali a cui quei diritti e quelle libertà erano ancora negati. Presa di coscienza anche del razzismo ancora imperante in alcune “democrazie”, della dignità calpestata di lavoratori e lavoratrici, delle discriminazioni di genere, della mancanza di libertà di espressione e di culto.
I movimenti popolari dei popoli colonizzati, del mondo del lavoro, delle persone discriminate e/o prive di dignità e libertà hanno portato a rafforzare quel pensiero profondamente democratico e a concretizzarlo nelle diverse Convenzioni internazionali che hanno obbligato i diversi Stati che le hanno sottoscritte ad osservarlo.
Con ogni evidenza quei diritti, pur scolpiti in testi vincolanti, hanno subito violazioni ripetute, con un ampio ventaglio di responsabilità. Non stupisce allora che quei diritti che dovevano «salvare le future generazioni dal flagello della guerra» (Carta delle Nazioni Unite, 1945) non abbiano impedito nuove guerre, nuovi genocidi.
Oggi siamo di fronte però a qualcosa di radicalmente nuovo. Non solo le violazioni dei diritti e di conseguenza le guerre continuano, ma sono i principi stessi che hanno sorretto quei diritti che vengono contestati e messi da parte. Non è solo la sostituzione del diritto internazionale con quello del più forte o la negazione della competenza delle Corti internazionali, ma anche i diritti fondamentali della persona che vengono negati in virtù di un principio di interesse “nazionale” o comunque “superiore”. Le condanne senza processo, la tortura, il mancato soccorso in mare, l’uccisione di bambini e bambine, il genocidio stesso sono ritenuti del tutto legittimi da un numero sempre più grande di governi, che infatti non li nascondono più ma li “giustificano” e li rivendicano apertamente.
In questa corsa al giustificazionismo non possiamo tacere anche il ruolo di persone o istituzioni comunque definite che fanno esplicitamente riferimento ad una fede. Non smetteremo mai di insistere che una fede non può essere presa a pretesto per uccidere e violare i diritti delle persone.
Però dobbiamo constatare che questo rimane il pensiero che guida o comunque giustifica le violazioni e le violenze.
Per questo abbiamo deciso di dedicare nell’anno 2025-2026 il nostro tradizionale “Cantiere” del CIPAX – luogo di incontro tra persone di fedi diverse o che condividono i valori fondamentali per assumere la sfida della pace – al tema “Crisi dei diritti e ruolo delle religioni”. La GLAM condividerà alcuni dei nostri incontri.
Vogliamo contribuire a disarmare le fedi e a curare i diritti e la pace
CIPAX-Centro Interconfessionale per la pace; GLAM Commiss. Globalizzazione Ambiente FCEI
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