Più forte ti scriverò. Cara Mamma...
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 32 del 20/09/2025
A mia mamma Valda Lippa Campedelli
Cara mamma... e poi te ne sei andata così all’improvviso, rompendo i tuoi piccoli rituali quotidiani che tenevano insieme il tuo e il nostro mondo. Ogni mattina staccavi la pagina del calendario appeso al muro. Era la tua lotta quotidiana con il tempo. Aggiungere vita ai giorni. Ed era proprio così. Ti guardavo così fragile e più piccola nel consumarsi dei giorni e pensavo alla bella ragazza che eri stata, tanto da conquistare presto gli occhi verdi di papà. Eri resistenza. Così ti abbiamo sempre vista. Resistenza di bambina che lottava per il pane in guerra. La tua genealogia femminile e montanara ti aveva educato alla lotta. Resistenza contro malattie che scelgono il destino. «Lei non potrà mai avere figli, ha capito? E il suo fidanzato lo sa?». Te l’aveva detto il professore della clinica. Ma tu non ci avevi creduto. E avevi convinto anche papà. Così ci portavi ogni volta in un laico pellegrinaggio dal luminare della scienza. Finché si era convinto anche lui davanti a tre bambini che le cose erano andate diversamente.
E poi quell’anima partigiana che avevi respirato in casa da tuo zio, sempre in lotta con i fascisti. E allora ogni volta che qualcosa andava storto ti infilavi nella protesta: fosse ottenere la casa popolare per l’Albina o salvaguardare la dignità di tre bambini nascosti in soffitta. Sì, era papà, è vero, il sindacalista in famiglia, ma tu cucinavi per noi i “diritti”, tutti i giorni e impastavi sulla tavola la giustizia. Eri moderna, ti dicevo, mamma. Perché eri sempre curiosa della vita, non ti avvitavi sul già detto, il già fatto. Accettavi la sfida. E poi non eri bigotta, mamma. Non giudicavi. A partire da noi figli. Ci prendevi per come eravamo. Anche nelle mie piccole lotte c’eri. E io parlavo poco di questo, per pudore. Ma poi capivo che sapevi da che parte stare. E c’eri. C’eri sempre. Ti sapevi adattare alla vita. La morte del papà 20 anni prima ti aveva colpito come un diluvio. Dicevi «sono rimasta come un “pomo”, una mela a metà». Poi però avevi resistito, staccando ogni giorno il foglio del calendario. Anni prima della fine eri stata colpita da un ictus. Ci avevano detto che saresti morta. Ma come quella volta del «lei non potrà mai aver figli» era andata diversa. Certo la tua vita era cambiata: non potevi cucinare, leggere, scrivere, e soprattutto andare da sola, scegliere di farti una camminata, entrare in un negozio. Dovevi sempre avere qualcuno che ti accompagnasse. Una volta che ti lamentavi della tua situazione ero uscito con una improbabile espressione: «Ma mamma, non ricordi? L’hanno detto anche i medici che è stato un “ miracolo”»… Silenzio… poi mi avevi guardato diritto negli occhi e avevi esclamato nel tuo imperdibile dialetto «Se quel la de sora (quello sopra, cioè Dio) doveva fare un miracolo, o lo faceva del tutto o poteva altrimenti farne a meno”. Mamma, ti dissi, questo è un test che il tuo cervello è perfetto…
Ricordi? Arrivavo a casa con la mia sporta di libri e mi mettevo a leggere, scrivere in cucina. Poi tu entravi e dicevi «e se prendessimo un caffè?». Eri curiosa di capire cosa leggevo. «E questo non xe scritto normale», avevi notato il testo del Vangelo in greco che avevo sotto gli occhi. Mamma il Vangelo è stato scritto in greco. E tu «E pensare che noi lo abbiamo imparato in dialetto … parlava greco Gesù?». «Forse no mamma…». «Allora parlava anche lui il dialetto come noialtri…» «Sì mamma… il suo …».
E quella volta ti dissi che tu avevi scritto una parabola bellissima che non c’era nel Vangelo. Quando avevi accolto in casa tuo papà che vi aveva abbandonati da piccoli. Poi malato e senza casa aveva detto che un solo desiderio gli restava, morire da te. E tu l’avevi preso sotto braccio: vieni! Nel Vangelo mamma c’è la storia di un padre che accoglie un figlio. La tua parabola è più bella. E ora che vedo i tuoi vestiti colorati nell’armadio, staccati, come tanti fogli del calendario, mi accorgo quanto sia stata bella e coraggiosa la tua vita. E mentre ti cerco con gli occhi, mi viene sulle labbra quel tuo «E se prendessimo un caffè?».
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