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Marcia di Quarrata: il dolore della speranza, la gioia della speranza

Marcia di Quarrata: il dolore della speranza, la gioia della speranza

Eravamo davvero in tanti, in questo sabato sera di settembre, in piazza Risorgimento, a Quarrata, a condividere insieme ai giovani protagonisti, agli ospiti la 32.a Marcia per la Giustizia intitolata “Non c’è pace senza giustizia-percorsi per la risoluzione dei conflitti e la tutela dei diritti”.

Non poteva essere altrimenti visto il coinvolgimento di tante persone ed associazioni che si sono davvero fatte “casa” di fronte ad un evento che continua ed invita alla partecipazione attiva, bel oltre l’impegno per una serata.

Per 32 volte, negli anni, la “Marcia” ci ha sempre richiamato, esortato ( e non dimentichiamo anche ammonito) all’attenzione verso i grandi valori, appunto alla Giustizia, alla Pace, alla Cura del Bene Comune, a quella verso Altri ed in particolare degli Ultimi.

La memoria ci riporta indietro al suo grande ispiratore, ad Antonio Vermigli, ad Antoniaccio, a quella sua luce incontrollabile, spiazzante che spesso ci sbatteva, con la sua forza lieve, in faccia la realtà, ci richiamava all’attenzione, all’impegno, a toccare con mano le ferite del mondo, caricandoci di responsabilità.

E lo faceva quasi “costringendoci”, fin da subito.

Se questa era la Marcia del tempo che non vogliamo dimenticare, dobbiamo anche permetterci di dire che oggi, in questi tempi nuovi, grazie al magistrale impegno della Casa della Solidarietà di Quarrata, del Comune, di Libera, di tanti, davvero tanti , che in questi mesi si sono messi a disposizione e soprattutto di Tommaso Vermigli che ha mostrato di essere meritatamente non regista ma anima, la Marcia pur non essendo tornata a esser cammino, continua a smuovere ancora le nostre coscienze rese troppo spesso rassegnate da un tempo che ci appare sempre più crudele.

Così, anche quest’anno la Marcia ci ha scosso e lo ha fatto con tanti giovani, più di 90, arrivati da tanti luoghi, in gruppi, da soli che si sono presentati al convegno pomeridiano che si è svolto al Parco Verde di Quarrata, per un lavorio di conoscenza, condivisione, confronto con gli altri relatori della Marcia e che la sera, dal palco di piazza Risorgimento, hanno illustrato alla platea nel frutto di un impegno che sorprende quanti di noi giudicano con leggerezza quelle generazioni che spesso riusciamo solo a sminuire.

I loro non sono stati slogan ma veri inviti alla consapevolezza ed alla speranza.

Gli striscioni che avevano realizzato per il palco hanno riassunto il loro impegno che non è nato solo dalla comunione di impegno nel pomeriggio al Parco Verde, erano scritti a chiare lettere; “ Ripartire con la prospettiva”, “ La libertà è forza”, “Coraggio del confronto”, “Non sei solo agisci e persisti”, “La responsabilità di non stare in silenzio e fare scelte di coraggio”.

Tutte frasi che secondo i giovani “racchiudono al meglio il nostro pensiero nel dovere di noi cittadini, di non rimanere indifferenti di fronte a quello che ci circonda e di fronte alle ingiustizie, in ogni ambito” o ancora “ci siamo resi che il confronto è una questione molto importante sia per noi stessi che con le altre persone”, “noi giovani non siamo solo il futuro ma anche il presente e perciò dobbiamo essere i primi ad assumerci la responsabilità di fare scelte rumorose” ed infine “questo seminario in questo momento storico così difficile, ci lascia la responsabilità di non rimanere mai in silenzio e di fare scelte di coraggio”.

E poi che dire delle altre testimonianze dal palco… dell’esibizione dei ragazzi di DanceLab Armonia di Antonella Lombardo, un mosaico di performance che utilizzano l’arte della danza come strumento comunitario teso a trasmettere un coerente sentimento di conoscenza ed armonia fra popoli .

Ed ancora il racconto piena di forza, sentimenti ed emozione di Marialuisa Rovetta, figlia di Alessandro, avvocato penalista bresciano poi diventato imprenditore, ucciso da Cosa Nostra a Catania il 31 ottobre del 1990, un padre assassinato dalla mafia quando lei aveva solo due anni.

Dopo 35 anni dall’omicidio del padre, Marialuisa e la sua famiglia, non conoscono ancora verità e giustizia: “Porto qui una storia personale che riguarda tutti noi perché parla di giustizia, memoria e di futuro”, “mio padre aveva scelto la via del diritto, dell’integrità, della responsabilità ed alla fine degli anni ‘80, per la morte di mio nonno, si trovò a guidare le acciaierie Megara, un’azienda che rappresentava lavoro e dignità per un intero territorio”, insieme ad un suo collaboratore, Francesco Vecchio, “ si oppose con fermezza alle infiltrazioni mafiose, introducendo nuove regole, semplici, trasparenti e rivoluzionarie anche per le ditte esterne. Scelte che portarono minacce ed intimidazioni, fino a quando il 31 ottobre del 1990, a Catania, mio padre e Francesco furono assassinati dalla mafia”.

Marialuisa che allora aveva due anni, ha avuto la vita segnata da quell’assenza ed oggi porta ancora con se “il segno della sua mancanza perché la mafia non uccide solo nel momento in cui toglie una vita ma continua a colpire nel vuoto che lascia, nel silenzio che cala intorno, nell’assenza di giustizia che impedisce di guardare avanti”, per ben 35 anni il caso è stato aperto, chiuso e riaperto senza conclusioni e solo oggi, quest’anno, la Procura di Catania, avocando il caso, ha deciso di continuare le indagini.”.

Proprio oggi Marialuisa ha voluto sottolineare un aspetto emerso che l’ha colpita, nel corso del convegno dei giovani e cioè la necessità di non lasciare sole le persone che denunciano, “l’omertà, l’indifferenza, il voltarsi dall’altra parte non proteggono nessuno anzi aprono la strada alla violenza ed alla criminalità. La giustizia non si difende da sola, la memoria non si costudisce da soli, solo se stiamo insieme come comunità, come cittadini, come generazioni possiamo resistere e costruire un futuro diverso”, ed infine concludendo “non c’è giustizia senza coscienza ed impegno collettivo”.

Parole forti che sono arrivate dal palco, come quelle espresse dalla professionalità, la dedizione di Tommaso Pastore, capo operativo della Direzione Investigativa antimafia di Torino, impegnato in prima linea nel contrasto a quella criminalità super tecnologica e globalizzata che vede la Ndrangheta dominare gli scenari internazionali, “ le mafie hanno messo in atto una metamorfosi lenta e silente attraverso un’infiltrazione nei territori. Oggi le mafie sparano molto meno, raramente ma corrompono molto di più. Tolgono al cittadino la libertà economica, la libertà di vita, la libertà culturale e politica. Le organizzazioni criminali italiane oggi sono le più importanti broker mondiali di traffico di stupefacenti attraverso un’attività silente”, ed ancora “controllano i territori attraverso le attività economiche finanziarie, attraverso le false fatturazioni, false compensazioni riescono a ottenere i risultati dei controlli del territorio”. In sostanza il modello “F-24 è diventato il kalashnikov delle organizzazioni criminali”.

Allo stesso modo cresce e si muove a livello globale il contrasto delle istituzione internazionali, attraverso sinergie che impegnano la Dia a collaborare in modo stretto con 50 enti analoghi sparsi per il mondo, attraverso un’affinazione delle tecnologie, delle verifiche sul traffico delle merci, sulla gestione degli appalti con normative spesso frutto della legislazione italiana come la “soglia di prevenzione anticipata agli appalti” che consente verifiche preventive e più puntuali.

Un vero affidarsi, come quello che ci è stato trasmesso da Giovanni Bombardieri, procuratore della Repubblica a Torino, per quanti ancora uomini dello Stato, della Giustizia, combattono in prima linea una battaglia senza fine contro il cancro della mafie e della Ndrangheta in particolare.

Una mafia che più di altre domina a livello globale e subdolamente agisce con più forza di un tempo su tutto il territorio nazionale

Un mondo spesso in camicia bianca che senza grandi spargimenti di sangue, ma sicuramente con ingenti capitali ed evidenti commistioni politiche, sta conquistando spazio in una deriva che vede certa politica, certa cultura, far privilegiare piuttosto, indifferenze, paure, odio verso la percezione che il male risieda solo nelle piccole criminalità, “la mafia è la negazione della libertà, la Ndrangheta è la negazione della libertà” ed é diventata nel passato, in un silenzio pressoché generale, la mafia più importante, la più pericolosa a livello globale.

Un controllo forte in ogni comparto economico ed investe ormai in criptovalute, “ruba il futuro ai nostri giovani” ed anche se oggi c’è maggiore sensibilità spesso le persone hanno paura a denunciare e tendono ad isolare ancora chi denuncia.

Don Mattia, cappellano dí Mediterranea, amico storico della Marcia, non poteva che portarci a condividere una realtà fatta della disumanità dei veri, grandi, trafficanti di esseri umani libici che grazie alla compiacenze di un Paese distratto, di un’Europa assente, ci fa complici di barbarie inaudite, di silenzi ed indifferenze che partono dai finanziamenti palesi alla Guardia Costiera Libica, al famoso Nemorandum, fino alle violenze gratuite, dei vergognosi lager ed arrivano a quelle traversate del nostro Mediterraneo che troppo spesso si concludono in fondo al mare o quando intervengono lo Ong a salvare quelle povere esistenze vedono l’accanirsi uno Stato che dovrebbe essere esempio di umanità di umanesimo ed invece pare trasformarsi in un avversario della vita stessa.

Un Stato che obbliga, impone alle navi dei soccorritori, di quelle ambulanze del mare, a percorrere altre centinaia di miglia dal luogo di primo soccorso, per far toccare terra, a quei poveri sfortunati, in porti così lontani da far vergognare per l’accanimento verso questi nostri fratelli.

Don Ciotti salutato con infiniti applausi, ha concluso la serie degli interventi ripercorrendo con la sua sapienza, con le verità profetiche che colpiscono le ferite vive di questi tempi invitando alla speranza alla conoscenza.

Ha catturato l’attenzione con i suoi richiami verso un mondo che sembra dominato dal culto del profitto, dai falsi profeti che inneggiano all’odio, ai mercanti di morte, da una politica corrotta, dalle oscure manovre delle massonerie deviate ma anche da una speranza fatta di conoscenza e resistenza che non si arrende.

Parole non di rito, soprattutto verso i giovani, per il loro prezioso lavoro, per la capacità di aprirsi di continuo in un richiamo alla concretezza, alle fatiche che li attendono certo che di fronte a quelle loro energie positive, gioiose sapranno affrontare anche quel “dolore della speranza” che racchiude il senso dell’impegno nella realtà di questi tempi.

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