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Gaza. Le armi italiane e le stragi di civili

Gaza. Le armi italiane e le stragi di civili

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 38 del 01/11/2025

“Piovono euro sull’industria ‘necessaria’ di Crosetto e Leonardo S.p.A. Le relazioni con Israele”: è il titolo di un dossier di BDS Italia a firma di Rosanna De Simone, una sessantina di pagine oltremodo ricca di dati e relazioni e fatti, ed enormemente documentate. Dal capitolo 3, intitolato “Le relazioni ininterrotte con Israele: il circuito informativo e quello industriale di Leonardo”, traiamo una prima buona metà, segnalando che l’intero dossier è scaricabile al link: https://shorturl.at/8DbyC e che il testo qui riprodotto è privo delle note.

Il 15 luglio 2025 i ministri degli Esteri dell’Unione europea, riuniti a Bruxelles, hanno deciso di non sospendere l’accordo di associazione con Israele sebbene si sia rilevato che continua a violare i suoi obblighi, in materia di diritti umani, ai sensi dell’accordo di associazione. È dall’inizio della guerra che l’Europa si rifiuta di fermare la strage di civili a Gaza, le violenze e sfollamenti da parte dei coloni e dell’esercito israeliano, ma la sua complicità diventa ancora più odiosa quando assicura che non finanzia progetti che colpiscono Gaza: «Il Fondo europeo per la difesa è saldamente radicato nei valori dell’Ue e nel diritto internazionale», afferma un portavoce della Commissione.

Di fatto una inchiesta giornalistica di Investigative Europe e del consorzio greco Reporters United ha svelato la partecipazione dell’Israeli Aerospace Industries in 15 progetti finanziati con il Fondo europeo per la Difesa, di cui 7 avviati dopo il 7 ottobre.

Un’altra inchiesta, condotta dai quotidiani belgi L’Echo e De Tijd, ha svelato l’impiego di circa un miliardo di euro del fondo Ue per la ricerca e l’innovazione (Horizon) da parte di aziende del settore bellico israeliane. Le università europee si sono divise sulla sospensione del programma Horizon Europe in Israele. Anche qui, con la scusa del dualuse, si permettono finanziamenti indiscriminati.

La parola “magica” dual-use emerge ovunque si parli di questioni legate agli affari militari. È dei giorni di fine luglio la disputa fra il quotidiano il manifesto e il ministro della Difesa Guido Crosetto per un articolo intitolato “Sulle forniture di armi a Israele il governo mente”. Nell’articolo si sostiene vi sia stato un incontro fra lo Stato maggiore della Difesa e rappresentanti militari israeliani, per discutere «un piano di cooperazione bilaterale». La cooperazione dunque non si è fermata al 7 ottobre 2023, e non riguarda solo aziende impegnate nel settore bellico. Ancora una volta il ministro viene smentito.

Guide per verificare se un bene è “dual-use”, e le sue regole di esportazione si sono moltiplicate e si possono facilmente trovare su vari siti.

Il 30 giugno Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati, presenta un rapporto sull’occupazione che costituisce un durissimo atto d’accusa verso Israele dal titolo “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”. Il testo non si limita a un elenco dei diritti violati da parte dello Stato ebraico, ma denuncia i nomi delle aziende colluse: «Le imprese coloniali e i genocidi a esse associati sono stati storicamente guidati e resi possibili dal settore aziendale».

Di fatto le partnership internazionali che forniscono armi e supporto tecnico hanno rafforzato la capacità di Israele di perpetuare l’apartheid e, recentemente, di sostenere l’assalto a Gaza. Dalle maggiori big tech alle società di investimento, dalle multinazionali del settore militare alle banche, non c’è ambito che non sia coinvolto nel grande business del genocidio.

Nel rapporto si sottolinea anche che la spesa militare israeliana è aumentata del 65% tra il 2023 e il 2024 per un totale di 46,5 miliardi di dollari, mentre sempre dall’ottobre 2023 la borsa di Tel Aviv è cresciuta del 179 percento per un valore di 157,9 miliardi di dollari. Per questo grande lavoro Albanese è stata attaccata e sanzionata dal segretario di Stato Usa Marco Rubio: «La campagna di guerra politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele non sarà più tollerata. Sono illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani».

Dagli USA all’Europa, dal Sudafrica al Giappone, si sono moltiplicate le manifestazioni pro-Palestina e contro il genocidio a Gaza.

Contemporaneamente si diffondono informazioni che aiutano a capire le complicità dei vari Paesi per denunciarne l’illegali tà. Elenchi di aziende che traggono profitto dal genocidio di Gaza sono presenti nei siti di svariate associazioni, da American Friends Service Committee a Who Profits, che integra anche schede per ciascuna azienda.

Un sito italiano che informa avvenimenti o azioni riguardanti armi che transitano nei porti, e di conseguenza chi le produce, è Weapon Watch, Osservatorio sulle armi nei porti europei e del Mediterraneo.

In particolare nell’articolo “Chi boicotta le armi verso Israele?” sono riportate azioni di boicottaggio avvenute in Italia e in altri Paesi. Storico è il movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) contro Israele nato venti anni fa. Come si può leggere sul sito italiano è un movimento a guida palestinese per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza. Il BDS sostiene il semplice principio che i palestinesi hanno gli stessi diritti del resto dell’umanità. In particolare, la sezione “Embargo militare” chiede lo stop al commercio di armi e alla cooperazione militare con Israele, organizza azioni dirette, attività di lobbying e campagne di sensibilizzazione e pressione sulle imprese che collaborano con Israele.

BDS Italia ha curato due pubblicazioni: “Embargo Militare contro Israele. Dossier a cura di BDS Italia”, che documenta lo stretto legame che intercorre fra la politica e gli armamenti e le complicità che permettono a Israele di godere di totale impunità”, uscita nel 2020, e “La catena dell’impunità: Inchiesta sulla storia degli armamenti israeliani e sulle complicità dell’Occidente e dell’Italia nella guerra condotta ai danni della popolazione civile in Palestina», uscita nel 2024. Middle East Eye, importante giornale online che si occupa di Medio Oriente, ha rivelato che Israele ha modificato i suoi F-35 per consentire l’attacco all’Iran del 13 giugno senza necessità di rifornimento né a terra né in volo. Di fatto Lockheed Martin, nel 2011 e con il consenso del Pentagono, aveva concesso a Israele i diritti esclusivi di modifica dell’F-35 tramite le aziende Israel Aerospace Industries ed Elbit Systems.

Come per altri velivoli o sistemi d’arma, Israele chiede la possibilità di sviluppare una propria versione per incorporare le apparecchiature elettroniche adatte alle esigenze specifiche dell’aeronautica militare israeliana (IAF). È stato anche concesso il permesso esclusivo di modificare il sistema di guerra elettronica della BAE Systems, con sottosistemi prodotti da Elbit che aumentano esponenzialmente la capacità di guerra elettronica. Con tutte le modifiche apportate, Israele ha fatto dell’F-35 un velivolo capace di modificare (nell’operazione sono stati impiegati altri sistemi per la prima volta), gli equilibri geopolitici regionali a favore delle forze israeliane in Medio Oriente.

Sebbene il costo operativo dell’F-35I sia stimato intorno ai 40.000/41.000 euro per ora di volo, inclusi il consumo di carburante, la manutenzione, i pezzi di ricambio e i costi del personale tecnico, la versione israeliana garantisce un livello di reattività tattica che è difficile da raggiungere in altri eserciti equipaggiati con l’F-35. È un velivolo che nella versione israeliana combina il declino americano con il delirio di potenza israeliana. Attorno gli orbitano 17 Stati che lo tengono in vita. Con una dichiarazione congiunta oltre 230 organizzazioni hanno chiesto ai governi che producono l’F-35 di smettere di armare Israele. È stato accertato l’utilizzo dei caccia F-35 per bombardare i civili palestinesi di Gaza in diversi episodi: uno riguarda lo sgancio di tre bombe da 2000 libbre in un attacco alla cosiddetta “zona sicura” di Al-Mawasi a Khan Younis, che ha ucciso 90 palestinesi. Nel Regno Unito, Al-Haq e Global Legal Action Network, hanno deciso di avviare un ricorso giudiziario contro il governo perché non ha escluso diversi componenti chiave, di produzione inglese, dalla sospensione del settembre 2024 di circa 30 licenze di armi a Israele.

Tuttavia a giugno l’Alta Corte di Londra ha respinto, con motivazioni incredibili, il ricorso di organizzazioni per i diritti umani contro il governo britannico, accusato di fornire componenti militari a Israele nonostante i raid su Gaza. La sentenza ha confermato la legittimità della partecipazione del Regno Unito al programma internazionale ritenendo che si tratti di una questione di sicurezza nazionale e dunque di competenza esclusiva dell’esecutivo. Nella sentenza si sottolinea che «i componenti vengono prodotti nel Regno Unito e poi spediti per l’assemblaggio negli Stati Uniti, in Italia e in Giappone, dove vengono integrati nei jet destinati ai partner internazionali, Israele incluso». Parlando di componenti, si rileva che Leonardo UK, nella sua sede di Edimburgo, produce laser di puntamento ad alta energia venduti a Lockheed Martin per programmi che includono l’F-35. A Cameri, in provincia di Novara, vi è uno dei tre stabilimenti al mondo in grado di assemblare un aereo di questo tipo. È l’unico impianto europeo per l’assemblaggio finale e la manutenzione degli F-35, nonché uno dei pochi autorizzati a svolgere attività di manutenzione, riparazione, revisione e aggiornamento. Per ora nello stabilimento vengono assemblati solo i velivoli destinati a Olanda. In futuro, tranne la Germania che ha deciso di non fare assemblare i suoi caccia a Cameri, si aggiungeranno quelli polacchi, della Repubblica Ceca, Svizzera, Grecia e Belgio. Nel 2024, dopo una visita presso gli stabilimenti Leonardo degli Ambasciatori delle 32 nazioni appartenenti alla Nato, Segredifesa (Segretariato Generale della Difesa e Direzione Nazionale degli Armamenti) ha dichiarato che era stato illustrato «come presso gli impianti piemontesi – centro di assemblaggio e verifica finale del programma F-35 – si producano già circa un terzo degli assiemi alari per l’intera esigenza del programma internazionale, si assemblano i velivoli per l’Italia e l’Olanda e si effettuano le ispezioni più significative per i Paesi europei».

Per questo velivolo, che in parte è configurato per il trasporto delle bombe tattiche nucleari B61-12, l’Italia arriverà a spendere almeno 25 MLD di euro per 115 velivoli entro il 2035. Nel documento programmatico del Ministero della Difesa 2024-2026 si è sottolineato che al 31 dicembre 2023 il programma ha generato ricadute tecnologiche, industriali ed economiche nazionali per un valore di circa 4,7 miliardi di euro, con un ulteriore contributo di circa 1,64 miliardi di euro per l’attivazione dei siti e l’implementazione della FACO.

Il 17 luglio, dopo quasi 60 mila morti, oltre 115 mila feriti e più di 2 milioni gli sfollati, dopo che Gaza è diventata un inferno senza fine, Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, hanno presentato una mozione unitaria per chiedere lo stop al Memorandum con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa. La maggioranza ha difeso l’accordo per le ricadute industriali e occupazionali, perché ha permesso di rafforzare in modo significativo le capacità difensive italiane, e perché «isolare Israele non permetterà di raggiungere una soluzione politica alla crisi».

Naturalmente la mozione non è passata ed è stata archiviata insieme a tutte le risoluzioni europee e internazionali che hanno salvato Netanyahu e la sua politica criminale contro il popolo palestinese.

Gli accordi militari fra Italia e Israele hanno vissuto due momenti diversi: dall’esaltazione delle armi tecnologicamente avanzate al loro oscuramento per lasciare spazio alla propaganda bellicista.

Attualmente, di fronte a un genocidio, il governo italiano ha fatto di più: la Camera ha approvato il decreto per l’acquisto di un ulteriore aereo radar Gulfstream G550 dalla società israeliana Elta Systems del gruppo Israel Aerospace Industries, la più grande azienda di difesa del Paese di proprietà dello Stato.

A differenza di altri G550 già in Italia, questo velivolo fungerà da piattaforma di test dedicata per le tecnologie avanzate di intelligence e guerra elettronica. L’acquisto, che fa parte della terza fase di un programma multimiliardario, viene qualificata come «acquisizione di un ulteriore velivolo da destinarsi esclusivamente alla ricerca, sviluppo e testing di nuove funzionalità condotte dall’industria nazionale, in un settore strategico e sensibile come quello delle capacità sistemistiche Airborne e dei payload SIGINT/EA». Solo nel 2024 il valore delle importazioni italiane di armamenti israeliani è cresciuto da 31,5 a 154,9 milioni di euro, come scritto nella relazione dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA) al Parlamento (pag. 57).

Nella relazione non vengono conteggiate le esportazioni relative alle attività di supporto logistico per la flotta Aermacchi M-346. (contratto siglato con Elbit Systems del 2013). 

 

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