Venezuela: un popolo sospeso tra minaccia militare Usa e repressione di Maduro
Tratto da: Adista Notizie n° 40 del 15/11/2025
42431 CARACAS-ADISTA. Diventa sempre più concreta la possibilità di attacchi militari Usa a obiettivi terrestri all’interno del Venezuela: troppo imponente il dispiegamento militare statunitense nella regione per giustificarsi solo con una serie di raid contro le presunte imbarcazioni di narcotrafficanti nei Caraibi.
E se Donald Trump, in un’intervista alla Cbs, assicura, per quanto valgano le sue assicurazioni, che non sta «pensando a una guerra», dice pure che «Maduro ha i giorni contati».
Sulla stampa statunitense, l’offensiva per il «cambiamento di regime» è data per scontata. Secondo le rivelazioni del Wall Street Journal, l’amministrazione Trump avrebbe anche individuato potenziali obiettivi nel Paese, tra cui basi militari, porti e aeroporti sospettati di essere utilizzati per il traffico di droga. Gli attacchi aerei, considerati imminenti dal Miami Herald, punterebbero in particolare a smantellare il cosiddetto Cartel de los Soles, la presunta organizzazione narcoterrorista guidata, sostengono gli Usa, da Maduro e da altri esponenti di spicco del suo governo, ma sulla cui esistenza esistono forti dubbi tra gli esperti. «Non c’è dubbio che vi sia complicità tra individui legati al potere e il crimine organizzato», sostiene per esempio l’analista Phil Gunson, ma «prove dirette incontrovertibili» dell’esistenza del cartello «non sono mai state presentate». E ne è convinto anche Gustavo Petro, il quale, due mesi fa, su X, lo definiva «una scusa fittizia dell’estrema destra per abbattere governi che non le obbediscono».
Che il Venezuela, del resto, non produca significative quantità di cocaina né compaia da nessuna parte come Paese produttore o di transito nel traffico di fentanyl è ben noto agli esperti. Così come non è un segreto per nessuno che la motivazione reale dell’offensiva Usa sia un’altra: mettere le mani sulle più grandi riserve di petrolio al mondo, oltre che sulle riserve auree del Paese, in un contesto geopolitico internazionale quanto mai turbolento. E in cui il Venezuela si trova decisamente dalla parte sgradita a Trump: quella della Russia, che assicura a Maduro armi e sostegno politico, della Cina, che ha investito massicciamente nel petrolio e nelle infrastrutture del Paese, e pure dell’Iran, con cui Caracas ha annunciato lo scorso giugno un accordo di libero scambio.
Ben più del fantomatico Cartel de los Soles, insomma, nel mirino di Trump è chiaro che ci sia Maduro, il quale, secondo una fonte consultata dal Miami Herald, starebbe «per ritrovarsi intrappolato e potrebbe presto scoprire di non poter fuggire dal Paese anche se decidesse di farlo». Tanto più che ci sarebbe «più di un generale disposto a catturarlo e consegnarlo», intascandosi così la ricompensa di 50 milioni di dollari (il doppio di quella offerta a suo tempo per Osama Bin Laden).
Ad auspicare apertamente un intervento militare statunitense in Venezuela è sicuramente la contestatissima Premio Nobel per la pace María Corina Machado, così come ha lasciato chiaramente intendere in un’intervista concessa alla giornalista e conduttrice televisiva britannica Mishal Husain su Bloomberg. «Per anni abbiamo chiesto alla comunità internazionale di tagliare le fonti di attività illegali in Venezuela e finalmente questo sta accadendo». E alla domanda precisa sul diritto al giusto processo delle persone a bordo delle imbarcazioni attaccate, ha risposto attribuendo la responsabilità della loro morte interamente a Maduro: «Bisogna capire che questa è una guerra molto crudele». E allorché la giornalista le ha chiesto esplicitamente se sosteneva gli attacchi militari statunitensi sul territorio venezuelano, MariCori non si è fatta pregare, ritenendo «assolutamente indispensabile una minaccia credibile»: «Credo che l'escalation in corso sia l'unico modo per far capire a Maduro che è ora di andarsene», in maniera che «questo centro criminale nel cuore delle Americhe» possa finalmente essere trasformato da lei «in uno scudo di sicurezza e in un grande alleato delle democrazie occidentali».
Una decisa condanna dei raid contro le imbarcazioni nei Caraibi è stata espressa invece dall’Alto commissario Onu per i diritti umani Volker Türk, che li ha definiti come «esecuzioni extragiudiziali»: «Questi attacchi, e il loro crescente costo umano, sono inaccettabili. Gli Stati Uniti devono fermarli», ha sottolineato Türk in riferimento alle oltre 60 vittime dei raid, nessuna delle quali «sembrava rappresentare una minaccia imminente alla vita di altre persone».
Mentre a tentare di fermare l’escalation nei Caraibi si sta impegnando il presidente brasiliano Lula, offrendosi come mediatore tra Washington e Caracas: «Vogliamo mantenere l’America del Sud come zona di pace. Non intendiamo portare i conflitti di altre regioni nel nostro continente».
Quanto al popolo venezuelano, la minaccia di un intervento militare Usa non è comunque la preoccupazione più pressante. «La gente è troppo impegnata a sopravvivere per angustiarsi più di tanto», spiega Thais Rodríguez, regista e «militante chavista», nota come autrice di una serie documentale sul “Comandante Chávez”.
Le navi da guerra che incombono sulle coste venezuelane non rappresentano insomma per la popolazione un motivo di angoscia più grave, per esempio, di quello costituito dal crollo della sanità pubblica, con i farmaci diventati inaccessibili dopo la scomparsa di fatto dei programmi di sussidi. O dalla spaventosa crisi del sistema educativo, con «più della metà della popolazione scolastica che ha disertato la scuola nell’ultimo anno».
Per non parlare del dramma delle paghe irrisorie, con il salario minimo ancora fermo ai 130 bolívares del 2022 – che all’epoca valevano 30 dollari ma oggi appena 0,50 centesimi al tasso di cambio della Banca Centrale del Venezuela –, sempre meno compensato dai “bonus di guerra”.
In questo quadro, gli «imperialisti statunitensi» non sono che il nemico di sempre in una lista di vecchi e nuovi oppressori. Come la nuova borghesia arricchitasi sulle spalle dei lavoratori in base all’implicito patto tra governo e Fedecámaras, la Confindustria locale; come l’opposizione di estrema destra inneggiante all’invasione Usa e come, anche, il governo Maduro, che, afferma Thais Rodríguez, «continua a dirsi di sinistra pur avendo tradito il progetto di Chávez». Un governo che si è mantenuto al potere con una dura repressione di cui hanno fatto le spese, oltre a rappresentanti politici di diverso colore, anche leader sindacali, sempre più legati mani e piedi; giornalisti, sempre più imbavagliati; persone innocenti utilizzate come pedine di scambio, come il nostro Alberto Trentini, in carcere ormai da un anno o, ancora, persone che si sono semplicemente trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato, spesso vittime di estorsione da parte della polizia e troppo povere per pagare il loro rilascio. «Si tratta di centinaia di casi», assicura Rodríguez.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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