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IL CUORE BUONO DEL MONDO

Tratto da: Adista Contesti n° 6 del 21/01/2006

TRA CATASTROFI E VIOLENZE CHE COLPISCONO IL PIANETA, LA PALESTINA CI REGALA UNA NOTA DI SPERANZA.

E’ IL TEOLOGO DELLA LIBERAZIONE BRASILIANO LEONARDO BOFF L’AUTORE

DI QUESTO ARTICOLO, PUBBLICATO

DAL SETTIMANALE “BRASIL DE FATO”

(5-11/01/2006) . TITOLO ORIGINALE: “FAZ ESCURO MAS EU CANTO”

Cominciammo il 2005 sotto l’impatto provocato dopo Natale dallo tsunami in Asia, che ha spazzato via migliaia di vite. L’anno è continuato con l’uragano Katrina nel Sud degli Stati Uniti che ha distrutto New Orleans. Ed è culminato con il terribile terre-moto in Kashmir e in Pakistan che ha fatto piangere l’umanità per la quantità di vittime innocenti.

In Brasile abbiamo assistito alla bufera del-le Commissioni parlamentari di inchiesta che hanno devastato il Partito dei lavoratori e in-ghiottito i suoi principali dirigenti, coinvolti in presunte pratiche di alta corruzione politica. Frustrazione e rabbia hanno colpito milioni di persone soprattutto tra i più poveri.

Va male il mondo, va male il Brasile, va male gran parte dell’umanità sofferente. In co-sa possiamo sperare? Come continuare? Da che fonte attingere senso per il prossimo anno?

Osiamo citare il poeta Thiago de Mello che in tempi di repressione ebbe il coraggio inau-dito di proclamare “si fa scuro, ma io canto”.

Cosa cantiamo? Non una ridente realtà, né un orizzonte nuovo di speranza. Cantiamo piano piccoli segnali di bontà che ci permet-tono ancora di sperare e che non ci lasciano soccombere. Segnali che secondo la Bibbia impediscono che Dio ci distrugga comple-tamente.

I segnali sono l’ondata di solidarietà che ha fatto irruzione in aiuto alle migliaia di vittime. Sono quelle centinaia di “medici senza fron-tiere” che si sono immerse nei luoghi più inospitali per salvare vite spezzate. E tanti altri segnali. Ma c’è stato un segnale, partito tempo fa, che per me ha mostrato come sia ancora possibile un altro tipo di umanità, generatrice di familiarità e di pace. Vediamolo.

Mazen Julani era un farmacista palestinese, di 32 anni, padre di tre figli, che viveva nella parte araba di Gerusalemme. Un giorno, men-tre stava al bar con amici, fu vittima di proiettile fatale sparato da un colono ebreo. Era la vendetta di un israeliano per un attentato di un gruppo palestinese avvenuto quel giorno che aveva ucciso decine di persone. Il proiettile entrò nel collo e gli esplose nel cervello. Condotto in ospedale, arrivò già morto.

Il gruppo familiare dei Julani decise proprio lì, lungo i corridoi dell’ospedale, di donare tutti gli organi dello scomparso a pazienti che ne avessero avuto bisogno. Il capo famiglia chiarì che il gesto non aveva alcuna connotazione politica. Era un gesto strettamente umanitario.

Secondo la religione musulmana, diceva, tutti formiamo un’unica famiglia e siamo tutti uguali, israeliani e palestinesi. Poco importa a chi siano trapiantati gli organi. Staranno bene a chiunque dei nostri fratelli israeliani. E così, nell’israeliano Ygal Cohen batte ora una cuore palestinese.

La moglie di Mazen Julani non sapeva come spiegare alla figlia di quattro anni la morte del padre. Gli disse che era partito e che al ritorno le avrebbe portato un bel regalo. A coloro che le stavano vicini, sussurrò tra le lacrime: fra qualche tempo io e i miei figli fa-remo visita a Ygal Cohen nella parte israeliana di Gerusalemme perché lui vive con il cuore di mio marito e del padre dei miei figli. E ascol-teremo i battiti del suo cuore. E questo ci sarà di grande consolazione.

Sono questi segnali che ci permettono di guardare al 2006 con qualche speranza. Il can-to illuminerà tutta l’oscurità a venire.

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