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PADRE PUGLISI, MARTIRE. SOLO DI MAFIA

Tratto da: Adista Notizie n° 65 del 23/09/2006

Sembra che il parroco Giuseppe Puglisi non sia un tipo da fare carriera, né in vita né in morte, né in terra né in cielo. Ucciso 13 anni fa dai mafiosi della sua parrocchia, attende l'esito del processo di canonizzazione che gli assegnerà un posto nell'albo dei santi. La strada, però, è in salita. Non che non sia degno degli altari e della venerazione universale, ma non è facile classificare il suo martirio "da morte di mafia", perché questo tipo di santità non rientra negli schemi agiografici riconosciuti e non ha precedenti. Ciò può sembrare strano in una terra cosiddetta di santi e di figure religiose ragguardevoli come la Sicilia. Sta di fatto che nessuno di essi, finora, si era misurato col fenomeno mafioso, nonostante i suoi 150 anni di storia piena di sangue e di morti. Il parroco di Brancaccio, quindi, deve essere ritenuto protomartire, anche se non in senso assoluto, in quanto molti sono stati uccisi prima di lui e per l'identico motivo: avere fatto il "proprio dovere" in favore del popolo, resistendo alla violenza e all'ingiusti-zia fino alla effusione del sangue. Capofila di una santità nuova, è il primo a dare forma a una testimonianza della quale bisogna cogliere la peculiarità evangelica finora solo vagamente intuita. È un santo outsider. Vuol dire che in nessun caso la sua canonizzazione potrà concludersi con una festa in piazza san Pietro e un'altra nella cattedrale di Palermo.

Può essere utile richiamare un dato, non proprio secondario: non si sa perché padre Puglisi è stato ucciso. Si conoscono il killer (per autoconfessione) e alcuni aspetti dell'am-biente in cui il delitto fu consumato. Ma la ragione reale per cui qualcuno o alcuni decisero che il parroco doveva morire non ha forma, non ha definizione. Non solo vaga tra intuizioni e supposizioni, ma si arena nelle secche di una motivazione impossibile ovvero irta di problemi. Il perché pare chiaro: non è possibile dichiarare qualcuno "martire per mafia" senza prima aver fatto, o tentato di fare, i conti col fenomeno mafioso. Ancora una volta Puglisi rischia di rimanere solo e senza giustizia. Più che alla gloria sembra destinato a svolgere il lavoro umile e silenzioso del seme sotto la terra. Il che è normale: la solitudine è la compagna inseparabile di ogni figura evangelica.

Ci si può chiedere, pertanto, quali problemi sollevi il caso Puglisi. La risposta, ovviamente, non può trovarsi che nella sua vita e nella sua morte. Svolgeva attività pastorale pressappoco come tutti. Ma con una singolarità che, di fatto, lo distingueva dagli altri e faceva la sua solitudine. Qual era questa singolarità? Quella di un prete che non riconosce alla mafia alcun potere sulla parrocchia. Puglisi era un pastore lucido e motivato che davanti alle difficoltà non si tirava indietro. Perciò non scese a patti con coloro che dominavano illegalmente sul territorio. Il suo scontro con la mafia si svolse tutto sulla libertà: sua personale e sua pastorale, quindi, della Chiesa.

Il compromesso tradizionale, generalmente in uso da parroco in parroco, e non solo nella borgata Brancaccio, è basato sulla divisione del lavoro: il prete fa il prete (battesimi, prime comunioni, matrimoni, funerali ecc.) chiudendo occhi e bocca su tutto ciò che di negativo accade intorno: violenze di vario genere, delitti di sangue, disoccupazione, intrallazzi, lavoro minorile, dispersione scolastica; i mafiosi fanno i mafiosi, al riparo dalla spina nel fianco che dovrebbe essere costituita dal parroco nel caso si spingesse a fare "il suo dovere" denunciando opportunamente, in chiesa e fuori, il loro potere criminale, e suscitando, specie nei giovani, il gusto della libertà e dell'autonomia.

Ma il parroco Puglisi non si attiene alla tradizione, per cui rappresenta nella Chiesa una vera e propria rottura pastorale (ispiratori il Vangelo e il Concilio). La mafia lo elimina. Ma pressoché nessuno tira le conseguenze ponendo all'ordine del giorno della Chiesa il suo caso. Il parroco assassinato non diventa una questione. Diventa invece un motivo per avviare il processo di canonizzazione. Col rischio, però, per "San Giuseppe Puglisi martire palermitano", di ritrovarsi sopra gli altari, adorno di virtù preclare tutte da imitare, ma spogliato, eventualmente, dell'unico titolo che lo fa rassomigliare al Cristo crocifisso: la morte di mafia.

La domanda, allora, è: come motivare il martirio di Puglisi? Seppure sia impossibile non attribuire alla mafia l'assassinio del parroco, problematico appare scrivere nel decreto che "Puglisi è martire perché ucciso da quei nemici di Dio che sono i mafiosi". Nemici di Dio i mafiosi? Ma se sono un esercito di devoti, di anime pie con la preghiera sulle labbra e la benedizione nella penna per ogni pizzino inviato ai sodali e le bibbie a portata di mano! E serviti sacramentalmente a domicilio (clandestino) da un piccolo gruppo di preti dediti al loro recupero. Dando con ciò l'impressione, forse senza volerlo, che i perseguitati (si suppone ingiustamente) siano i mafiosi. E si può comprendere perché il chirografo vaticano, cui venga rappresentato questo scenario, possa esitare nel motivare con la mafia il martirio del povero parroco. Alla fine, però, a un compromesso equilibrato e onorevole si addiverrà. Così sistemato, Puglisi salirà agli altari, definitivamente sottratto al dibattito e rimosso. Come già fu tentato a cadavere ancora caldo quando fu chiesto se era un prete antimafia e fu risposto che era un prete che faceva il suo dovere. Ovvero: niente scandalo, nessun caso Puglisi, nessun contenzioso della Chiesa con la mafia. Caso chiuso, sul nascere.

Il rischio, forse, è reale. La storia del parroco palermitano morto di mafia può "finire" sull'altare. Ma non è detto. La profezia sa farsi strada proprio dove appare più difficile, per propiziare un'altra storia, una vita nuova civile e ecclesiale. Però ci vuole un miracolo speciale, di quelli che al parroco di Brancaccio piacerebbero tanto. Il miracolo della riflessione pubblica, della ricerca e del dialogo. Anche sul significato "nuovo" della santità nell'epoca nuova in cui la chiesa è chiamata a testimoniare la resurrezione di Cristo, speranza dell'umanità.

Ed è per questo che Giuseppe Puglisi, fermo e gentile, deve essere considerato, a pieno titolo, un esponente alto del nuovo corso della santità, vissuta, e caduta, a Palermo sulla soglia del nuovo millennio.

* religioso redentorista, direttore della rivista "Segno"

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