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IL "CAMMINO" SI ALLUNGA? IL PAPA E I VESCOVI DI TERRA SANTA METTONO IN GUARDIA I SEGUACI DI KIKO

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 17/03/2007

33793. ROMA-ADISTA. Era il giugno del 2002 quando il Cammino neocatecumenale otteneva l'agognato riconoscimento pontificio (v. Adista nn. 9-53/02). Lo aveva promesso molti anni prima Giovanni Paolo II ai fondatori del Cammino, ma la strada fu particolarmente difficile. La ritrosia di Kiko Argüello e Carmen Hernández e del sacerdote Mario Pezzi a mettere a disposizione il materiale dottrinario e catechetico del movimento e la poca duttilità nel dare seguito ai suggerimenti dai dicasteri vaticani fece sì che, dopo due rifiuti delle bozze presentate, gli statuti del Cammino fossero infine approvati ad experimentum, come sempre avviene, cioè per un periodo fissato, in questo caso, in 5 anni.

Oggi, quei 5 anni stanno per scadere e sono in molti a chiedersi – specie dopo che nel dicembre del 2005 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha imposto al Cammino Neocatecumenale di porre un serio freno alla propria "fantasia liturgica" e alla tradizione di celebrare la messa il sabato sera, separamtente dal resto della comunità parrocchiale (v. Adista n. 3/06) – se lo Statuto resterà così com'è o se il Vaticano imporrà altre modifiche restrittive. O ancora se, più semplicemente, il periodo di experimentum verrà prolungato. Anche perché, fu proprio Benedetto XVI, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ad esprimere serie perplessità sulla piena adesione del Cammino al magistero della Chiesa.

E che il rapporto del nuovo pontefice con i movimenti, e con quello neocatecumenale in particolare, non sia più così idilliaco come ai tempi di Wojtyla, deve averlo compreso anche don Gerardo Raul Carcar, vicario cooperatore della parrocchia di San Girolamo a Corviale, il sacerdote che, il 22 febbraio scorso, nel corso della tradizionale udienza di inizio Quaresima concessa dal papa al clero di Roma, ha chiesto al pontefice chiarimenti circa il rapporto tra la Chiesa cattolica e i suoi movimenti.

"In questi mesi – ha premesso il papa nella sua risposta – ricevo i vescovi italiani in visita ad limina": "Alcuni sono critici e dicono che i movimenti non si inseriscono" nella vita della Chiesa, ha aggiunto mostrando di non essere insensibile alle perplessità che arrivano da molte diocesi. Ma, ha aggiunto Ratzinger, "se il Signore ci dà nuovi doni dobbiamo essere grati, anche se a volte sono scomodi". "In tutti i secoli sono nati Movimenti", ha spiegato, ed essi "si inseriscono nella vita della Chiesa non senza sofferenze, non senza difficoltà". Così anche nel nostro secolo "il Signore, lo Spirito Santo, ci ha dato nuove iniziative con nuovi aspetti della vita cristiana: vissuti da persone umane con i loro limiti, esse creano anche difficoltà". Ma, "se i Movimenti sono realmente doni dello Spirito Santo, si inseriscono e servono la Chiesa e nel dialogo paziente tra Pastori e Movimenti, allora nasce una forma feconda dove questi elementi diventano elementi edificanti per la Chiesa di oggi e di domani". In alcuni casi questo dialogo, rileva il papa, ha dato frutti fecondi. "In altri si sta ancora studiando. Ad esempio, ci si domanda se dopo cinque anni di esperimento, si debbano confermare in modo definitivo gli Statuti per il Cammino Neocatecumenale o se ancora ci voglia un tempo di esperimento o se si debbano forse un po' ritoccare alcuni elementi di questa struttura". "In ogni caso, io ho conosciuto i Neocatecumenali dall'inizio. È stato un Cammino lungo, con molte complicazioni che esistono anche oggi, ma abbiamo trovato una forma ecclesiale che ha già molto migliorato il rapporto tra il Pastore e il Cammino. E andiamo avanti così!". "Lo stesso", ha concluso Benedetto XVI, vale per gli altri Movimenti".

E che il rapporto tra gerarchia cattolica e neocatecumenali torni ad essere più difficile di quanto sia stato sotto il pontificato wojtyliano, lo mostra anche la lettera indirizzata ai membri del Cammino, del 25 febbraio, scritta dal patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, e dagli altri vescovi cattolici di Terra Santa (dove i neocatecumaneli hanno una fortissima presenza, specie da quando la loro "cittadella" alle pendici del Monte delle Beatitudini, la "Domus Galilaeae", fu solennemente inaugurata nel 2000 da Giovanni Paolo II di fronte a 50.000 membri del movimento, divenendo meta di intenso pellegrinaggio). Nella lettera ai neocatecumenali si fanno le tradizionali accuse; di fare gruppo a sé, di celebrare la messa separati dalle parrocchie, di non osservare i riti liturgici, di estraniarsi dalla lingua e dalla cultura della gente del luogo. Ma – tra le righe – si imputa loro anche di avere un atteggiamento eccessivamente filoisraeliano in un contesto di equilibri delicatissimi ed in cui, tra l'altro, c'è tra i cattolici una forte presenza araba.

"Siete benvenuti nelle nostre diocesi", scrivono i vescovi nell'incipit della lettera, ma dopo le formule di circostanza la lettera cambia tono: "Vi domandiamo di prendere posto nel cuore della parrocchia nella quale annunciate la Parola di Dio". Perché, spiegano i vescovi, il vostro primo dovere "se volete aiutare i fedeli a crescere nella fede, è di radicarli nelle parrocchie e nelle proprie tradizioni liturgiche nelle quali sono cresciuti da generazioni". E di rispettare in particolar modo la liturgia e le tradizioni orientali. Perché "il rito è come una carta d'identità e non solo un modo tra altri di pregare". E bisogna "avere la carità di capire e rispettare l'attaccamento dei nostri fedeli alle proprie liturgie". E poi: "L'Eucaristia è il sacramento di unità nella parrocchia e non di frazionamento. Chiediamo pertanto che le celebrazioni eucaristiche, in tutti i riti orientali, nonché nel rito latino, siano sempre presiedute dal parroco, o, nel caso del rito latino, in pieno accordo con lui. Celebrate l'Eucaristia con la parrocchia e secondo il modo della Chiesa locale".

"Vi chiediamo inoltre di mettervi seriamente allo studio della lingua e della cultura della gente, in segno di rispetto per loro e quale strumento di comprensione della loro anima e della loro storia". "Inoltre, nei nostri paesi, Palestina, Israele, Giordania, tutti sono alla ricerca della pace e della giustizia, una ricerca che fa parte integrante della nostra vita di cristiani. Ogni predicazione dovrebbe guidare i nostri fedeli negli atteggiamenti concreti da assumere nel diversi contesti della vita e nella stessa situazione di conflitto che continua in Palestina: atteggiamento di perdono e di amore per il nemico, da un lato, e dall'altro, esigenza dei propri diritti: specialmente la dignità, la libertà e la giustizia". (valerio gigante)

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