IL GRIDO DI ALLARME DELLA CHIESA CONGOLESE: SCONGIURARE IL PERICOLO DI UNA NUOVA GUERRA
Tratto da: Adista Documenti n° 52 del 14/07/2007
DOC-1876. KINSHASA-ADISTA. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali che hanno portato alla vittoria, nel dicembre del 2006, del trentaseienne Joseph Kabila, e che sembravano poter traghettare il Paese verso le acque più tranquille della democratizzazione, la Repubblica Democratica del Congo rischia di precipitare in una nuova sanguinosa guerra civile. Da fine marzo, violenti scontri hanno opposto l’esercito regolare alle milizie del leader del partito di opposizione Jean-Pierre Bemba, ex vicepresidente ed ex capo ribelle, il quale ha rifiutato l’integrazione nell’esercito governativo e la consegna delle armi, cadendo nell’accusa di alto tradimento e formazione di milizie. Tutto ciò ha causato centinaia di morti e feriti, specialmente nella regione della capitale Kinshasa. I vescovi del Paese hanno rivolto un invito al dialogo: “In questo momento di democrazia nascente – ha detto mons. Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kisangani e presidente della Conferenza episcopale congolese – il Paese ha più che mai bisogno di unità, coesione e concordia per avviare la ricostruzione e risolvere i problemi vitali che ancora pesano sulla nazione”.
Una dittatura e due guerre
La Repubblica Democratica del Congo, infatti, porta il peso della dittatura di Mobutu Sese Seko, durata dal 1961 al 1997, e di una sanguinosa guerra civile (1998-2003) che ha condotto ad un governo di unità nazionale nel quale i quattro vicepresidenti si sono spartiti il territorio. Dal 1997 al 2001, la presidenza di Laurent Kabila, che aveva rovesciato Mobutu (prima guerra del Congo), era stata ostacolata da Rwanda e Uganda, suoi ex-alleati, che gli si erano rivoltati contro e avevano fomentato una nuova ribellione, guidata dal Rassemblement Congolais pour la Démocratie (Rcd). Kabila aveva trovato nuovi alleati in Zimbabwe, Namibia e Angola, riuscendo a mantenere la posizione, ma la ribellione era continuata e Kabila era stato assassinato nel gennaio 2001. A succedergli era stato il figlio, Joseph, che aveva tentato di porre fine alla guerra civile con il Dialogo inter-congolese di Sun City, in Sudafrica (2002), conclusione ufficiale della seconda guerra del Congo (chiamata prima guerra mondiale africana, che causò più di tre milioni di morti e altri tre di sfollati), che liberava il Paese dalla presenza degli eserciti stranieri, lasciando Joseph Kabila come Presidente e capo di Stato del Congo. Ne era seguito un governo di transizione, responsabile di un nuovo testo costituzionale approvato per via referendaria nel dicembre 2005.
Sull’orlo del baratro
Ora, dopo le elezioni presidenziali di dicembre, la tensione è alle stelle, specialmente nelle province del Nord e Sud Kivu. Un grido di allarme è stato lanciato dall’arcivescovo di Bukavu (Sud Kivu), mons. François-Xavier Maroy Rusengo, che denuncia una infiltrazione sistematica di militari dal confinante Rwanda, secondo uno schema già adottato nel conflitto di dieci anni fa, caratterizzato, nelle sue fasi iniziali, da massacri come quello verificatosi un mese fa a Kaniola, con un bilancio di 18 morti, 28 feriti e 25 persone rapite.
“Il problema – spiega don Albino Bizzotto di Beati i costruttori di pace, che nel 2006 ha inviato due missioni di osservatori elettorali – sono le milizie di Laurent Nkunda, il generale che dal 2004 comanda le due brigate che dettero l’avvio a un ammutinamento contro le forze di Kabila”, vanificando gli sforzi di riconciliazione del governo e rifiutando di entrare nei ranghi dell’esercito nazionale. Ed è proprio nel Rwanda che Nkunda sta reclutando le sue truppe. La sicurezza della popolazione è messa a repentaglio e la tensione aumenta: nasce da qui l’appello del vescovo al presidente Kabila affinché mandi truppe a contrastare l’imminente guerra nei due Kivu e alla comunità internazionale affinché la Repubblica Democratica del Congo non sia lasciata sola.
L’arcivescovo di Bukavu, tuttavia, non è stato il solo a lanciare un grido d’allarme. L’intera “assemblea episcopale” della provincia ecclesiastica di Bukavu si è rivolta “ai fedeli e agli uomini di buona volontà” in un messaggio che fa il punto della situazione elencando gli ultimi casi di violenze e soprusi, e sprona il governo a prendere posizione: “Lo stile del Governo non pare essere cambiato. Il periodo post-elettorale – si legge – assomiglia, per molti aspetti, al periodo preelettorale. Vi è anche un rischio di regressione verso una nuova destabilizzazione poiché i poteri pubblici fanno in modo e consentono che si incancreniscano le situazioni analoghe a quelle che portarono alle guerre del 1996, del 1998 e del 2004”. “In tale contesto – proseguono i vescovi – denunciamo il silenzio e l’apatia delle nostre istituzioni repubblicane uscite dalle urne, che sono il Capo di Stato, il Parlamento nazionale, il governo centrale con il nostro esercito, i tribunali, i governi e le assemblee provinciali. Nei nostri costumi politici qualcosa deve cambiare”. Da qui alcune raccomandazioni al popolo e agli eletti: raddoppiare la vigilanza, assumere maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità politiche, dare priorità al problema della sicurezza andando al sodo e senza dialoghi e negoziazioni che si sono già rivelati inutili. E al Capo di Stato eletto democraticamente: “che prenda in mano le sue responsabilità istituzionali”. E infine, un monito alla comunità internazionale, perché “non dica in futuro che non sapeva: la prendiamo a testimone”.
Anche la popolazione civile è chiamata a mobilitarsi. È del 23 giugno scorso il lancio di una raccolta di firme di Umoya, la “Federazione dei comitati di solidarietà con l’Africa nera”, contro la violazione dei diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo. “Ciò che sta accadendo esige un’azione immediata della comunità internazionale per impedire una nuova guerra”. La campagna consiste nell’invio di una lettera al presidente Kabila, alla presidenza dell’Unione Europea e al Segretario generale delle Nazioni Unite affinché “siano in grado di rispondere al popolo congolese” che “ha optato chiaramente per il processo democratico con la partecipazione massiccia alle ultime elezioni” e affinché “adottino le misure necessarie per contenere questo spargimento continuo di sangue tra una popolazione civile che merita di vivere in pace e, d’altra parte, per mettere in pratica misure che innalzino la qualità della vita della popolazione”.
Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dallo spagnolo, il testo dell’appello del vescovo di Bukavu François-Xavier Maroy Rusengo. (ludovica eugenio)
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