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FACCIAMO PIENA LUCE SUL NOSTRO PASSATO

Tratto da: Adista Documenti n° 86 del 08/12/2007

La beatificazione di 498 martiri

(...). Gli storici spagnoli e stranieri hanno studiato molto, e probabilmente continueranno a studiare, quello che è successo in Spagna negli anni ’30 del secolo passato; la bibliografia è abbondantissima. Fu un periodo tormentato e doloroso nella nostra storia; la convivenza sociale si guastò al punto che gli spagnoli lottarono gli uni contro gli altri in una guerra fratricida. Con le loro conclusioni i ricercatori ci aiutano a comprendere fatti e dati, cause e conseguenze; le loro interpretazioni, debitamente documentate, ci avvicinano con la maggiore obiettività possibile ad una realtà molto complessa. Desideriamo che si faccia piena luce sul nostro passato: cosa avvenne, come, perché, con quali conseguenze. Un simile approccio, aperto, obiettivo e scientifico, allontana la pretesa di imporre alla società intera una determinata prospettiva nella comprensione della storia. La memoria collettiva non può essere determinata selettivamente; è possibile che sugli stessi avvenimenti esistano valutazioni differenti, che potranno avvicinarsi nella misura in cui esiste un desiderio autentico di comprendere la realtà.

Ogni gruppo umano – una società concreta, la Chiesa cattolica in uno specifico spazio geografico, una congregazione religiosa, un partito politico, un sindacato, un’istitu-zione accademica – ha diritto a ricordare la propria storia, a coltivare la memoria collettiva, perché anche in questo modo si approfondisce l’identità. La Chiesa cattolica, per esempio, con il Concilio Vaticano II perseguì una riforma e un rinnovamento tornando alle fonti. La conoscenza che attualizza il passato, oltre ad ampliare le memoria condivisa dal gruppo, può suggerire comportamenti futuri, giacché memoria e speranza sono intimamente connesse. Ma non è il caso di tornare al passato per riaprire ferite, riaccendere rancori e alimentare disaccordi. Dobbiamo guardare al passato con il desiderio di purificare la memoria, di correggere possibili errori, di cercare la pace. Dobbiamo ricordare senza ira le tappe precedenti della nostra storia, senza animo di rivalsa, ma con la disponibilità ad affermare ad un tempo il proprio punto e a promuovere il rispetto del diverso, giacché nessuno ha il diritto di soffocare i legittimi sentimenti dell’altro né ad imporre i propri. La ricerca della convivenza nella verità, nella giustizia e nella libertà deve guidare l’esercizio della memoria. (...).

Ripercorrendo la storia, ci imbatteremo sicuramente in fatti che hanno segnato il tempo e in persone rilevanti. In molti casi abbiamo motivo di ringraziare Dio per quello che si è fatto e per le persone che lo hanno fatto; e probabilmente in altri momenti, di fronte a comportamenti concreti, senza ergerci orgogliosamente a giudici degli altri, dobbiamo chiedere perdono e riorientarci, giacché la “purificazione della memoria”, cui ci ha invitato Giovanni Paolo II, implica tanto il riconoscimento dei limiti e dei peccati quanto il cambiamento di atteggiamento e il proposito di emendarsi. Non è una coincidenza casuale che, tra le celebrazioni dell’Anno giubilare, abbiano avuto un peculiare significato sia la commemorazione dei testimoni della fede del XX secolo, nell’incomparabile cornice del Colosseo di Roma, che l’im-pressionante celebrazione del perdono la prima domenica di Quaresima nella Basilica di San Pietro, nella quale il papa, abbracciando la croce del Signore, ha chiesto perdono per i peccati dei figli della Chiesa. Già prima, nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente, ai nn. 33-37, aveva esortato la Chiesa a riconoscere le “forme di antitestimonianza e di scandalo” per essersi allontanata dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, e allo stesso tempo aveva dichiarato che era necessario che le Chiese locali non perdessero “il ricordo di quanti hanno sofferto il martirio”; soprattutto tenendo presente che, nel secolo passato, la Chiesa è stata di nuovo una Chiesa di martiri. Coloro che ci hanno preceduto come cristiani nella Chiesa possono essere stati testimoni luminosi del Vangelo, e in altre occasioni possono aver realizzato cose che il Vangelo disapprova. Tutti noi, coscienti della nostra fragilità, dobbiamo chiedere ogni giorno a Dio Padre che non ci lasci cadere in tentazione.

La Conferenza episcopale spagnola, in sintonia con lo spirito di Giovanni Paolo II, ha reso pubblico, poco prima di attraversare il confine dell’anno 2000, un documento intitolato La fedeltà di Dio dura per sempre. Uno sguardo di fede al secolo XX (20 novembre 1999), nel quale si univano passato, presente e futuro come nel canto del Magnificat della Vergine Maria. Azione di grazia per i doni ricevuti, riconoscimento dei nostri peccati e richiesta di perdono, e fiducia nelle promesse di Dio. Nella seconda parte di quel documento si trovano queste parole: “Anche la Spagna si è vista trascinata nella guerra civile più distruttiva della sua storia. Non vogliamo additare le colpe di nessuno in questa tragica rottura della convivenza fra gli spagnoli. Desideriamo piuttosto chiedere il perdono di Dio per tutti coloro che si sono visti implicati in azioni riprovevoli secondo il Vangelo, qualsiasi fosse il fronte di guerra sul quale si trovavano. Il sangue di tanti nostri concittadini versato come conseguenza di odi e vendette, sempre ingiustificabili, e nel caso di molti fratelli e sorelle come offerta martiriale della fede, continua ad invocare il Cielo per chiedere la riconciliazione e la pace. Che questa richiesta di perdono ci ottenga dal Dio della pace la luce e la forza necessarie per saper rifiutare sempre la violenza e la morte come mezzo di risoluzione delle differenze politiche e sociali” (n. 14). Dobbiamo studiare la storia per conoscerla sempre meglio; e, una volta lette le sue pagine, imparare le sue principali lezioni: la convivenza di tutti nella diversità legittima, l’affermazione della propria identità in modo non aggressivo ma rispettoso delle altre, la collaborazione fra tutti i cittadini per costruire la casa comune sui fondamenti della giustizia, della libertà e della pace. Dobbiamo ricordare la storia non per scontrarci, ma per ricevere da essa o la correzione per quanto di male abbiamo fatto o l’incoraggiamento a proseguire sulla giusta via.

La parola martire ha varie accezioni nel Dizionario della Reale Accademia Spagnola della Lingua. Ne ricordo due: 1) “Persona che patisce la morte per amore di Gesù Cristo e in difesa della religione cristiana” e 2) “Persona che muore o soffre molto in difesa di altri credo, convinzioni e cause”. Sebbene noi ci riferiamo ai martiri cristiani, mostriamo il nostro rispetto alle persone che hanno mantenuto le loro convinzioni e hanno servito le loro cause fino alle estreme conseguenze. La beatificazione dei martiri da parte dell’autorità apostolica della Chiesa non suppone il disconoscimento e la sottovalutazione del comportamento morale di altre persone, portato avanti con sacrificio e radicalità. Davanti ad ogni persona che lotta con onore per la libertà degli oppressi, per la difesa dei poveri, per la solidarietà fra tutti gli uomini, chiniamo la testa, rimettendo a Dio il giudizio ultimo sulla sua vita e sulla nostra.

(...) I martiri, essendo stati perdonati e amati da Dio, offrono anche il perdono. Non denunciano né additano nessuno, non serbano rancore nel loro cuore; seguendo Gesù, il loro sangue pronuncia anche un parola di perdono. Questa reazione dei martiri è di una generosità umanamente incomprensibile; si può spiegare solo perché lo Spirito del-l’Amore, lo Spirito di Gesù Cristo, alita nel loro cuore. Sostenuti dal comportamento dei martiri, che sono morti perdonando, durante la beatificazione e nei momenti che l’hanno preceduta e seguita, è stato affermato ripetutamente questo messaggio: la beatificazione dei martiri non va contro nessuno, a nessuno si rimprovera la loro morte, non si accusa nessuno, non si chiede il conto a nessuno”. (…)

 

Centenario della nascita del card. Tarancón

Il card. Vicente Enrique y Tarancón nacque il 14 maggio del 1907 a Buriana (Castellón de la Plana). All’apertura di questa Assemblea plenaria lo ricordiamo con profonda gratitudine. La nostra memoria è un omaggio e un riconoscimento alla sua persona e alla sua opera. Fu, in una congiuntura cruciale, un dono di Dio per la Chiesa e la società spagnola. Ricordiamo oggi il card. Tarancón, consapevoli del fatto che egli è parte rilevante della nostra storia. Per quanto le persone si succedano e le urgenze pastorali mutino, la Chiesa è la casa di tutti i cristiani ed è cattolica anche nella pluralità delle generazioni e nella varietà delle situazioni storiche. Facciamo memoria dinanzi a Dio di quanti ci hanno preceduto con i loro segni di fede, con la dedizione al servizio del Vangelo e con l’impegno personale nella missione della Chiesa, in mezzo a gioie, fatiche e sofferenze.

Quando il card. Tarancón fece una sintesi del decennio in cui aveva presieduto la Conferenza episcopale spagnola, espresse l’intenzione che lo aveva guidato: “Mi sono proposto due obiettivi: applicare in Spagna gli insegnamenti del Concilio Vaticano II per ciò che riguarda l’indipendenza della Chiesa da ogni potere politico ed economico e far sì che la comunità cristiana diventi uno strumento efficace di riconciliazione per superare la divisione tra gli spagnoli culminata nella guerra civile”. La Chiesa nel Concilio non ha solo promosso un rinnovamento profondo dei suoi atteggiamenti e delle sue strutture interne, ma ha anche orientato diversamente le relazioni con il mondo, con la società e con l’essere umano. Questi cambiamenti erano particolarmente delicati sia nella nostra Chiesa, per la ricchezza della vita cristiana che stava mutando, che nella nostra società, a cui si dovevano evitare traumi non necessari nella transizione da un regime personale a un regime democratico, con le numerose e profonde trasformazioni  implicate. I riferimenti furono per Tarancón tanto l’amore per la Chiesa quanto il servizio al nostro popolo: quando Paolo VI pensò a lui per la guida della Chiesa in quella situazione delicata e quando la Conferenza episcopale lo scelse e lo elesse nuovamente come suo presidente, egli fu cosciente di quella situazione particolare e dell’alta responsabilità che gli veniva affidata.

Operando in sintonia con le direttive di Paolo VI ed esprimendo inoltre ciò a cui anelavano le nuove generazioni di vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, poté svolgere l’incarico con dedizione e successo. Le sue doti umane e la sua esperienza pastorale lo resero adatto a ricevere tale missione in quel momento storico: con la disinvoltura che lo caratterizzò avrebbe detto di se stesso che era un uomo collocato in un posto difficile in un momento difficile. In certo modo don Vicente era memoria viva della nostra Chiesa e della nostra società: uomo di spirito aperto, con un occhio attento al futuro, sensibile come un sismografo ai movimenti sotterranei della società, per natura ottimista e deciso, abile e sagace. Assumendo l’incarico a lui affidato e la responsabilità reale e simbolica a lui riconosciuta, aiutò potentemente la Chiesa a intraprendere i cambiamenti necessari. Impresse alla Chiesa un dinamismo che le permise di accompagnare la società ad un bivio di fondamentale importanza per entrambe, di fronte alla necessità di prendere decisioni di grande portata. Il card. Enrique y Tarancón cercò sempre la concordia, rispettando la pluralità e incoraggiando il dialogo e seppe istintivamente circondarsi di validi collaboratori. Senza dimenticare il passato mirava al futuro e per quello confidava nelle nuove generazioni, dando loro la parola. Affermava apertamente che la Chiesa vedeva di buon occhio l’avvento della democrazia e il pluralismo insito in essa.

Ringraziamo Dio per il fatto che, grazie al card. Tarancón, la Chiesa rispose con dignità e chiaroveggenza alla sfida che le veniva posta dall’applicazione del Concilio in quella fase concreta e dalla transizione della nostra società. A distanza di vari decenni e con la prospettiva concessa dal tempo trascorso, possiamo riconoscere che la Chiesa fu all’altezza del momento storico e che la società spagnola restò in generale soddisfatta della transizione da un regime all’altro, per il cui esito altri Paesi si congratularono con il nostro. L’atteggiamento con cui fu applicato il Concilio e con cui si affrontarono i cambiamenti sociali e politici non fu solo congiunturale: per quanto l’attuale situazione sia per molti aspetti diversa, vi sono valori permanenti. (…)

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