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LA VIA CRUCIS DI P. NICOLÁS

Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 09/02/2008

Avevo fatto due previsioni: che p. Nicolás sarebbe stato eletto e che avrebbe rinunciato. Avevo solide ragioni per entrambe, ma non ho indovinato la seconda. La prima circolava da anni e per molti gesuiti non è stata affatto una sorpresa. La seconda mi sembrava molto probabile, perché egli sa bene cosa lo aspetta a Roma. Alla notizia dell’elezio-ne, mi è giunta un’ondata di e-mail che mi chiedevano di dare informazioni su di lui. Sono rimasto in silenzio un giorno intero: non volevo danneggiarlo con lodi entusiastiche che alimentassero il fuoco di quanti aspettano con la pistola in mano per sparare contro la speranza dalla torre dei fanatici. Ma questa notte (in Giappone è già mezzanotte) alla fine mi sono deciso, dopo aver fatto una Via Crucis nell’oratorio della nostra residenza. Da qui il titolo di questa presentazione.

Una Via Crucis tu, l’ermeneuta, il neoparadigmatico, il "dinosauro progressista"? Chiaro. Non c’è contraddizione né incompatibilità. Chi ha familiarità con lo Zen saprà che i paradossi sono tali solo quando li si discute, non quando li si vive. Da piccolo, facevo la Via Crucis con mia nonna nella cattedrale di Murcia. A 15 anni, la facevo di buon mattino in Quaresima per le strade della città. Negli Esercizi la facevamo con il testo lapidario di p. Llanos, quella frase indimenticabile: "Aspettarono le donne, aspettarono, e io aspetterò, aspetterò l’aurora del grande giorno…".

Ieri, "Arresto" a Roma, prima stazione della Via Crucis di p. Nicolás. Già da un bel po’ p. Arrupe passò alla quindicesima stazione, alla "vita vera", come direbbe S. Ignazio. Il profeta, quando vince, perde. È quando lo crocifiggono che vince. Ma questo si comprende solo dopo (neppure Gesù aveva coscienza che, per il fatto di essere quello che era, dopo la croce sarebbe venuta la vita che non muore, quello che aveva era fede e speranza in mezzo al "Perché mi hai abbandonato". Ma questa frase va tra parentesi perché non quadra con la teologia di Ratzinger).

In questo momento, l’espressione appropriata per p. Nicolás non è "felicitazioni", perché non si tratta di alcun premio. Né "coraggio", perché non si tratta di lottare contro nessuno. Semplicemente, "preghiamo con te", ora è solo la cattura, poi verranno Caifa, le cadute e tutto il resto. Ma quando si appanneranno gli occhi con sudore, lacrime o sangue, si vedrà Maria in piedi, Stabat Mater, stabant mulieres… Eia Mater, fons amoris, me sentire vim doloris, fac ut tecum lugeam…

Punto e a capo. Catarsi. Lasciatemi raccontare un aneddoto sulla madre di Adolfo Nicolás. Squillò il telefono a casa sua, una voce disse: "Sono il cardinal Tarancón". E donna Modesta, castigliana verace con senso dell’umorismo, rispose: "Io sono la principessa delle Asturie". E dall’altro lato: "No, signora, non è uno scherzo, sono io, Vicente Tarancón, vengo da Manila dove sono stato con Adolfo, le porto un regalo da parte sua". Donna Modesta si agitò e iniziò a balbettare: "Ah, mi scusi, signore… Volevo dire, mi scusi, reverenza, volevo dire, beh, non so se si dice reverenza o eccellenza, quello che sia…". "Stia tranquilla, signora, suo figlio mi chiama don Vicente e basta così. L’importante è che abbia dato alla Chiesa un figlio, che è tutto quello di cui abbiamo bisogno oggi. Per me è stato un piacere stare con lui nelle Filippine…". Me lo raccontò donna Modesta mentre mi faceva assaggiare un delizioso dolce di latte fritto, lamentandosi del fatto che suo figlio non veniva in Spagna da molto tempo. P. Nicolás ha ereditato l’umorismo di sua madre: negli incontri, le sue barzellette e le sue imitazioni di Chaplin ci hanno fatto divertire molte volte.

La notizia dell’elezione di p. Nicolás, che già da anni veniva visto come futuro generale, è stata una grande gioia per la Compagnia e non ha sorpreso quanti l’attendevano e l’auspicavano da tempo. Già quando p. Arrupe espresse la volontà di dimettersi, prima del colpo della sua malattia, si parlava di p. Nicolás come possibile successore: aperto, ma equilibrato; profetico, ma obbediente; audace, ma con discernimento (grazie a Dio non è "imprudente" come lo siamo alcuni di noi…). Qualcuno disse: "sarà il prossimo superiore generale, se ci sarà un nuovo papa". Ma nella misura in cui si allungava la vita di Giovanni Paolo II, molti pensavano: "È passata l’ora per p. Nicolás".

"Dio, che buon vassallo sarebbe, se avesse un buon signore", diceva il Cantar de Mío Cid. Quando tornò da Roma, dopo la pubblicazione del suo libro Teologia del progresso (ed. Sígueme, oggi forse esaurito), ci dette lezione di escatologia, centrata, come per il suo celebre maestro Alfaro (Juan Alfaro, perito del Concilio Vaticano II, uno dei teologi che contribuirono in maniera decisiva al rinnovamento della teologia, ndt), sul tema della speranza. Un punto rispetto a cui sono sicuro che la sintonia con Benedetto XVI sarà completa.

Totalmente in linea con Pedro Arrupe e il Concilio Vaticano II. È stato segretario della precedente Congregazione generale. È molto apprezzato dai gesuiti di diversi Paesi. Parla catalano, inglese, francese, italiano, giapponese e tedesco. In questi tempi di involuzione tanto nell’ambiente nazionalcattolico di alcune aree dello Stato spagnolo come ai vertici vaticani, l’elezione di una persona come lui alla guida della Compagnia è motivo di profonda gratitudine.

Il suo spirito ignaziano è ben noto. Ancora studente, fece un’indagine esaustiva sulle Lettere di s. Ignazio sul tema dell’obbedienza e del discernimento. Prima di partire per il Giappone, venne al noviziato di Aranjuez a salutarci e ci parlò, dandoci degli spunti di meditazione. Ricordo che fu sul testo "Se il chicco di grano non muore, non porta frutto". Quanti lo conoscono a fondo, sanno delle diverse morti per le quali ha saputo passare con pace, eleganza e fede. Conosce molto bene tutta l’Asia e l’Asia conosce lui. Quando, negli anni ’70, dirigeva l’Istituto di pastorale, dava Esercizi ai vescovi di diverse Conferenze episcopali e assisteva religiose e religiosi in diversi corsi e sessioni di studio. Le sue lezioni di teologia non ignoravano la filosofia: molto vicino a quella di Paul Ricoeur, ci apriva gli occhi sull’erme-neutica, sui simboli, sulla lettura ampia e profonda della Bibbia.

P. Nicolás è stato superiore provinciale dei gesuiti del Giappone. Ha dato enfasi alla priorità dell’inculturazione, all’opzione per i poveri, all’incontro interreligioso, alla protezione della vita e dell’ambiente, all’inseparabilità tra la fede e la promozione della giustizia. Con una capacità di accoglienza nei confronti di persone molto diverse. E con la capacità di dire no a qualcuno quando bisognava dirlo anche qualora fosse un amico intimo. Ha scritto, in spagnolo e in giapponese, un libro sulla vita religiosa e sui tre voti. Quando era provinciale, viveva in una modestissima casa di un quartiere periferico con una piccola comunità; da lì prendeva il treno ogni mattina, nelle ore di punta di Tokyo, per giungere un’ora dopo alla Casa provinciale. Non fu rettore della Gregoriana, malgrado p. Kolvenbach lo volesse per quel posto, perché lo impedirono vari cardinali dell’ala conservatrice. È un uomo che pensa, e pensa molto bene, convinto che nella Chiesa non sia proibito pensare. Ma non pensa soltanto: prega e dialoga. La sua elezione è stata senza dubbio un passo molto meditato e pensato di fronte a Dio dagli elettori, abbastanza discreti da evitare di far propaganda per lui prima. Si dice che chi entra papa in un conclave esce cardinale (come avvenuto con alcune candidature promosse in internet da persone estranee alla Compagnia, ma interessate a che questa faccia marcia indietro). Già nella precedente Congregazione (la 34.ma, della quale fu segretario), p. Nicolás era il candidato naturale: p. Kolvenbach voleva dimettersi allora, ma Giovanni Paolo II non lo consentì (il Vaticano non tollerò mai che Arrupe volesse dare le dimissioni). Eletto Benedetto XVI, p. Kolvenbach andò da lui e ottenne il permesso di dimettersi a 80 anni. Lo comunicò privatamente ad alcuni di noi già allora. Non volendo la Santa Sede che il generale cessi di esserlo prima della morte, la Compagnia ha scelto un uomo di 71 anni, che, di fatto, non lo sarà che per una dozzina di anni.

P. Nicolás era attualmente responsabile del coordinamento dei Superiori Provinciali dell’Asia Orientale e dell’O-ceania. La mia congettura è che persone o circostanze molto rilevanti abbiano dovuto insistere perché egli accettasse, ma non lo so con certezza. Quello che prevedo è che questa sarà la prima stazione di una Via Crucis. Per questo, esprimo le mie felicitazioni per la Chiesa del Vaticano II, per la Compagnia, per le future vocazioni (che sono sicuro aumenteranno in tempi di speranza), ma non per lui, per quanto non gli faccia neanche le condoglianze. Preferisco come regalo per questo giorno ricordargli le tre frasi pronunciate da p. Arrupe al momento della sua elezione: i tre testi del Nuovo Testamento che p. Arrupe viveva in maniera molto profonda a partire dalla sua spiritualità. Erano i seguenti:

1. Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5)

2. Tutto posso in colui che mi dà la forza (Fil 4,13)

3. Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome (At 9,16).

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