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CHIESA: CASA DI MISERICORDIA O TRIBUNALE?

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 08/03/2008

Nell’Incontro nazionale dei presbiteri, svoltosi dal 13 al 19 febbraio ad Itaicí, il card. Claudio Hummes ha riaffermato la dottrina della Chiesa cattolica in base a cui i divorziati risposati possono frequentare la comunità cattolica, ma non possono confessarsi né ricevere la comunione. In altre parole, le comunità devono accogliere bene queste persone, però non possono loro permettere una partecipazione piena, poiché si troverebbero fuori dalle leggi della Chiesa cattolica.

Non voglio discutere qui la dottrina della Chiesa su tale argomento, ma piuttosto il modo in cui questa posizione può essere percepita o intesa dalla società. Cioè, qual è l’im-magine e il messaggio che la Chiesa cattolica sta passando o può passare alla società, anche involontariamente.

Le persone si rivolgono alla Chiesa (cattolica o meno) perché desiderano, tra altre cose, riconciliarsi con Dio, con se stesse e con altre persone o con la comunità. Il senso di colpa, spesso diffuso e inconsapevole, è qualcosa che fa parte della nostra vita. È una sensazione che ci tormenta. Per questo, molte volte creiamo una corazza in noi stessi e diventiamo più insensibili verso di noi e anche verso altre persone. Queste sensazioni o sensi di colpa non significano che siamo necessariamente colpevoli di qualcosa, ma stanno lì e ci paralizzano oppure ci rendono aggressivi.

Quando ci rendiamo più sensibili a noi stessi, siamo in grado di cercare la riconciliazione con noi e con ciò che causa questa sensazione. Generalmente, questo inizia con un perdono: perdonando noi stessi e/o chiedendo perdono. Quando la riconciliazione e il perdono hanno luogo, le persone fanno esperienza di libertà e di comunione. Ci sentiamo liberi e siamo più capaci di percepire la nostra appartenenza a qualcosa di più grande che ci unisce.

Nella Chiesa cattolica consideriamo questo processo talmente importante che vi sono sacramenti proprio per celebrare la riconciliazione (sacramento noto anche come “confessione”) e la comunione con Dio e con la comunità (eucarestia). Con ciò, la Chiesa cattolica mostra che la ricostruzio-ne/riconciliazione delle relazioni umane spezzate è qualcosa di più che semplicemente umano, è qualcosa anche di divino. Offrendo il sacramento della riconciliazione a tutti coloro che vogliono confessare i propri peccati e confessare (professare) la propria fede nel perdono divino, la Chiesa confessa e annuncia la propria fede in Dio che è Amore e misericordia.

Ma se la Chiesa dice che non tutti/e coloro che fanno parte della comunità possono avere accesso ai sacramenti della confessione e della comunione, crea confusione tra le persone. Nel senso che invia un messaggio che può essere interpretato in diversi modi. Un’interpretazione potrebbe essere: Dio è misericordia infinita perché il suo Amore per noi è immutabile (non diminuisce a causa dei nostri peccati) e ci perdona, mentre la Chiesa permette l’accesso alla confessione solo a persone che si trovano all’interno delle leggi della Chiesa. Così, il perdono di Dio si rivela molto più grande di quello della Chiesa cattolica e dei suoi sacramenti.

Una seconda interpretazione potrebbe essere: la Chiesa cattolica possiede il “monopolio” del perdono divino e le persone che non hanno accesso alla confessione non ricevono il perdono di Dio, cosicché la misericordia divina non è tanto grande poiché è limitata dalle leggi della Chiesa cattolica.

Malgrado la profonda differenza teologica tra queste due interpretazioni, c’è un punto in comune: la Chiesa si presenta o è percepita come un luogo in cui la legge parla più forte della misericordia. Anche se assumiamo la prima interpretazione e diciamo che la misericordia di Dio oltrepassa i limiti della Chiesa (che è logico, dal momento che Dio non può essere meno di una Chiesa o religione), la Chiesa cattolica è presentata o vista come una casa in cui la legge impera, in cui l’obbedienza alla legge è la cosa più importante. Le persone che hanno violato questa legge e si sono sposate per la seconda volta possono essere accolte dalla comunità, ma non ricevere i sacramenti della confessione e della comunione.

La casa in cui la legge parla più forte - e così deve essere - è il tribunale di giustizia, dove il giudice dichiara innocenti o colpevoli le persone in base al loro rispetto o meno delle leggi. Qui la colpa implica un castigo. Per quanto il giudice sia benevolo e liberi il colpevole dalla pena, la legge prevale, poiché questa liberazione può realizzarsi solo all’interno della legge. La Chiesa deve funzionare come un tribunale di giustizia?

In fondo, la questione dei divorziati risposati va oltre un problema pastorale o di diritto canonico. È una questione teologica: in quale Dio crediamo? Nel Dio sottomesso alla Legge, che non può amare e perdonare al di là dei limiti della Legge, o nel Dio che è Amore e Misericordia, che ci ama infinitamente e che per questo non è sottomesso alla Legge e ci perdona al di là dei limiti delle leggi?

Vivere la fede nel Dio-Amore significa assumere il cammino della Chiesa come un luogo di misericordia, di una vita comunitaria basata sull’amore e il perdono (i due pilastri della riconciliazione e della comunione). Questo non comporta la fine della legge o delle regole, ma esige una nuova relazione con esse. Esige un modo creativo di vivere l’insegnamento di Gesù: “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!” (Mc 2, 27).

 

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