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8 PER MILLE ALLA CHIESA CATTOLICA: GRANDE COMUNICAZIONE, DUBBIA INFORMAZIONE

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 24/05/2008

 

34422. ROMA-ADISTA. “Hanno scelto la Chiesa cattolica l’89,8 per cento dei contribuenti”. Così, senza nascondere soddisfazione e trionfalismo, affermava alla Radio Vaticana Paolo Mascarino, responsabile del Servizio Cei per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica: nella stagione delle dichiarazioni dei redditi, la gerarchia non tralascia nulla per mobilitare i contribuenti a sottoscrivere l’8 per mille a favore della Chiesa cattolica. L’affermazione di Mascarino, naturalmente, è falsa: a scegliere la Chiesa cattolica sono l’89,8% del circa 40% di contribuenti che firma per decidere come devolvere il proprio 8 per mille. Il restante 60%, semplicemente, non esprime alcuna preferenza. Anche se poi, in nome della norma sulle quote non assegnate, che prevede che le quote di 8 per mille non espresse vengano ripartite tra lo Stato e le confessioni religiose che ne hanno diritto, in misura proporzionale alle percentuali di firme ricevute, la Chiesa si trova a ricevere proprio l’89,8% dei fondi dell’8 per mille. Lo stesso Mascarino, pochi secondi dopo, parlava infatti di una percentuale “di scelte” per la Chiesa in crescita costante dal 1998. In virtù di questo meccanismo, dei 991 milioni di euro ricevuti dalla Cei nel 2007, sono poco meno di 400 milioni quelli che arrivano dalle firme dei contribuenti, mentre il resto è frutto del perverso meccanismo di ripartizione delle quote non espresse.

 

Anche questo non è un caso: la percentuale ‘bulgara’ a favore della Cei è conseguenza infatti del suo ritrovarsi, praticamente, senza concorrenti nella ‘corsa’ alle firme dei contribuenti. Lo Stato, infatti, non si autopromuove (e infatti la sua percentuale di scelte cala ogni anno) e l’unica vera alternativa è quella costituita dalla Chiesa valdese che, malgrado i mezzi nemmeno lontanamente paragonabili a quelli della Cei, registra una lenta ma costante crescita (v. Adista. n. 37/08).

La Chiesa cattolica si dà da fare, e non poco, per un bottino che l’anno scorso ha sfiorato il miliardo di euro. Accanto alla pubblicità ‘commerciale’ (come gli spot su tv, radio e quotidiani), però, c’è anche quella ‘istituzionale’, che fa affidamento alla potenza di fuoco dei mezzi di informazione in mano alla Cei. Ad esempio, lo scorso 13 maggio, il quotidiano dei vescovi Avvenire ha proposto ai suoi lettori un inserto speciale di 8 pagine dedicato alla dichiarazione dei redditi: tra un articolo agli sgravi per le case ‘ecologiche’ e un box dedicato a spiegare lo sconto per l’affitto a favore dei figli fuorisede, le due pagine centrali erano dedicate proprio all’8 per mille. Pagine indistinguibili dalle altre: niente che segnalasse che si trattava di fatto di due pagine di ‘comunicazione pubblicitaria’. Anche se in alcuni passi gli articoli arrivavano addirittura a richiamare direttamente lo slogan della campagna per l’8 per mille della Cei, che quest’anno recita “Avete fatto molto, per tanti”. Neanche una parola sul fatto che la Chiesa cattolica non è l’unica possibile destinataria dei fondi.

Ma le iniziative della Chiesa non finiscono qui: opuscoli inviati a tutte le famiglie italiane, iniziative a tappeto sul territorio, un apposito numero verde, senza contare il curatissimo sito internet, che si sfoglia come un libro, con tanto di croce di legno a far da segnalibro, www.8xmille.it (che da quest’anno raddoppia con www.8xmillegiovani.it).

La destinazione dei fondi che la Chiesa riceve rimane sostanzialmente opaca: la Cei pubblica un “rendiconto consuntivo” che prevede tre voci e sette sottovoci, ma senza specificazioni puntuali su come venga ripartito l’utilizzo degli introiti. Dal rendiconto si apprende che, negli ultimi cinque anni (2002-2007), i soldi destinati al sostentamento del clero sono passati da 308 a 354 milioni di euro, mentre quelli per gli “interventi caritativi” sono aumentati da 175 a 205 milioni. I soldi girati alle diocesi “per il culto e la pastorale” sono rimasti pressoché stabili (da 150 a 160 milioni di euro). E, nonostante sia impossibile saperne di più, vedere come nel 2005, in concomitanza con il referendum sulla legge 40, i fondi per “iniziative di rilievo nazionale” siano schizzati a 116 milioni di euro (a fronte di 92 nel 2004 e 64 nel 2006) può far malignare.

 

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