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Crisi umanitaria in Sudan: organizzazioni laiche e cattoliche scrivono a governo e media

Crisi umanitaria in Sudan: organizzazioni laiche e cattoliche scrivono a governo e media

Quella sudanese, in particolare dopo la presa della capitale del Darfur Settentrionale El Fasher (v. Adista Notizie n. 39/25), è una crisi umanitaria senza precedenti, che si aggrava giorno dopo giorno, definita dalle Nazioni Unite la più grave del pianeta. Una situazione inumana, che ha spinto la comunità sudanese in Italia e diverse organizzazioni laiche e cattoliche italiane – ACLI, Amnesty International Italia, ANPI, AOI, ARCI, Baobab Experience, Caritas italiana, Comitato Internazionale per la Pace in Sudan, Comunità Sant’Egidio, Comunità sudanese in Italia, Economia Disarmata-Movimento dei Focolari Italia, Emergency, FOCSIV, Fondazione Nigrizia Onlus, Medici senza frontiere, Missionari comboniani in Italia, Rete italiana Pace e Disarmo e Un Ponte Per – a firmare una nota congiunta, avanzando alcune importanti richieste alla politica italiana e agli organi di stampa, spesso superficiali nel raccontare le crisi umanitarie meno “famose”.

Dall’inizio delle ostilità, a metà aprile 2023, la guerra ha provocato 150mila morti e 12 milioni di sfollati. Nonostante i tentativi di mediazione e gli annunci di cessate il fuoco, la violenza non si arresta, in particolare con aggressioni indiscriminate e abusi contro le popolazioni civili (colpendo anche ospedali, campi profughi, mercati e abitazioni). «Tra gli episodi più gravi», ricorda la nota delle organizzazioni, «l’attacco con droni del 4 dicembre contro un ospedale e un asilo a Kalogi, in cui sono morte 114 persone, tra cui 63 bambini». E poi «rapimenti, violenze sessuali, detenzioni arbitrarie e reclutamento di minori, in un quadro di escalation che rischia di sfociare in ulteriore violenza e devastazione».

Pane e armi

La nota ricorda che a inizio novembre il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva annunciato stanziamenti per 125 milioni di euro e aiuti umanitari da distribuire «a 2500 bambini attraverso la parrocchia del Sacro Cuore di padre Pious Anyaja a Port Sudan, i missionari comboniani e le suore di Madre Teresa, insieme a un secondo carico via nave per migliaia di persone sfollate».

Alla politica italiana le organizzazioni chiedono, certamente, di fare presto con gli aiuti, ma chiedono anche di togliere ossigeno alla guerra, smettendo per esempio di armare gli Emirati Arabi Uniti, accusati di fiancheggiare le Forze di Supporto Rapido (FSR) sudanesi, che si sono rese responsabili «di attacchi contro civili, infrastrutture mediche e convogli umanitari, nonché dell’uso della fame come arma di guerra». La vendita di armi agli Emirati arabi rappresenta «una contraddizione tra la volontà dichiarata di sostenere l’assistenza umanitaria e i processi diplomatici e la prosecuzione di rapporti militari con attori coinvolti nel conflitto».

Le richieste al governo

Le organizzazioni firmatarie mettono in fila, dunque, gli interventi urgenti che il governo italiano deve mettere in campo per contribuire a fronteggiare concretamente la crisi sudanese: 1) stop all’invio di armi verso gli Emirati Arabi e gli altri Paesi coinvolti, che possono triangolare con il Sudan; 2) stop alle autorizzazioni per la vendita di armi già concesse; 3) avviare iniziative diplomatiche in sede europea e internazionale «per aprire corridoi umanitari e avviare un negoziato multilaterale credibile», «che coinvolga anche la società civile sudanese»; 4) consegna effettiva e rapida degli aiuti umanitari e erogazione dei fondi promessi dal ministro, «con l’impegno di metterne a disposizione altri», soprattutto per le aree più colpite dalla crisi.

L’appello ai media

L’ultimo appello è rivolto agli organi di informazione del nostro Paese, «affinché possano contribuire a riportare l’attenzione sulla crisi sudanese. Un’informazione accurata e continuativa è fondamentale per dare visibilità alla popolazione che affronta questa tragedia, far emergere le responsabilità politiche e internazionali e sostenere la mobilitazione necessaria per proteggere la popolazione civile. Raccontare ciò che accade in Sudan è un passo essenziale per rompere il silenzio che circonda una crisi devastante e promuovere azioni concrete a tutela di chi rischia la vita ogni giorno».

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