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GLI INGANNI DEL MERCATO

Tratto da: Adista Documenti n° 76 del 01/11/2008

Possiamo immaginare la profonda perplessità che a causa della crisi dei mercati mondiali si è abbattuta sugli ideologi del neoliberismo e dello Stato minimo e sui venditori delle illusioni del mercato. La caduta del Muro di Berlino nel 1989 e lo smantellamento dell’Unione Sovietica provocò l’euforia del capitalismo. Reagan e la Thatcher, senza il con-trappeso socialista, approfittarono dell’occasione per radicalizzare i “valori” del capitalismo, specialmente l’eccellenza del mercato che tutto avrebbe risolto. Per facilitare l’opera, iniziarono a screditare lo Stato come pessimo amministratore e a diffamare la politica come mondo della corruzione. Naturalmente c’erano e ancora ci sono problemi in queste istanze, ma non possiamo fare a meno dello Stato e della politica se non vogliamo retrocedere alla barbarie completa. Al suo posto, si diceva, devono entrare gli ordinamenti ideati nel seno degli organismi nati a Bretton Woods e i grandi conglomerati multilaterali. Tra noi si arrivò a ridicolizzare chi parlava di progetto nazionale. Ora, sotto la globalizzazione, insistevano, si rafforza il progetto-mondo e il Brasile deve inserirsi in esso, per quanto in posizione subalterna. Lo Stato deve essere ridotto al minimo e lasciare campo libero perché il mercato faccia i suoi affari.

Noi che veniamo, come tanti, dalla lotta a favore dei diritti umani, soprattutto delle persone più vulnerabili, ci siamo resi conto subito che il principale responsabile della violazione di questi diritti era ora lo Stato mercantile e neoliberista, poiché i diritti non erano più inalienabili ed erano stati trasformati in necessità umane da soddisfare all’interno del mercato. Ha diritti solo chi può pagare ed è consumatore. Non è più lo Stato che garantisce i diritti essenziali per la vita. Poiché la grande maggioranza della popolazione non partecipa al mercato, i suoi diritti vengono negati.

Possiamo e dobbiamo discutere lo statuto dello Stato-nazione. Nella nuova fase planetaria dell’umanità si notano sempre più i limiti degli Stati, mentre cresce l’urgenza di un centro di regolazione politica che risponda alle domande collettive dell’umanità in termini di alimenti, acqua, salute, abitazione e sicurezza. Ma mentre lavoriamo alla nascita di questo organismo, spetta allo Stato portare avanti la gestione del bene comune, imporre limiti alla voracità delle multinazionali e realizzare un progetto nazionale.

La crisi economica attuale ha smascherato la falsità delle tesi neoliberiste e della lotta allo Stato. Un giornale dell’im-prenditoria, spaventato, riportava a caratteri cubitali, nella sua sezione economica, il titolo “Mercato irrazionale”, come se fosse mai stato razionale un mercato che taglia fuori due terzi dell’umanità. Una nota analista di affari economici, autentica sacerdotessa del mercato e dello Stato minimo, piena di arroganza, ha scritto: “Le autorità statunitensi hanno sbagliato nella regolazione e nella fiscalizzazione, hanno sbagliato nella valutazione delle dimensioni della crisi, hanno sbagliato nelle dosi del rimedio e hanno sbagliato nel tenere un comportamento contraddittorio ed erratico”. E da parte mia aggiungerei: hanno sbagliato a non chiamare lei, grande veggente che avrebbe individuato la soluzione all’attuale crisi dei mercati.

La lezione è chiara: lasciata in balìa del mercato e della voracità del sistema finanziario speculativo, la crisi si sarebbe trasformata in una tragedia di proporzioni planetarie,  mettendo in grave pericolo il sistema economico mondiale. Logicamente le vittime sarebbero quelle di sempre: i cosiddetti zero economici, i poveri e gli esclusi. È stato il disprezzatissimo Stato a dover intervenire per evitare il peggio all’ultimo minuto. Sono fatti che ci invitano a revisioni profonde o che, perlomeno, invitano alcuni ad essere meno arroganti.

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