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Berlusconi? Vale il 6 per cento

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 72 del 27/06/2009

Sulla prima pagina di un quotidiano di provincia (è il 12 giugno) campeggia un titolo enorme: “Contro di me un progetto eversivo”. Il sommario parla di calunnie per far decadere il premier e sostituirlo con uno non eletto dal popolo. Il lettore frettoloso potrebbe pensare di essere in Iran, potrebbe pensare ad Ahmadinejad, ai brogli di un plebiscito? No: a pagina tre dello stesso giornale c’è un altro titolo a tutta pagina che continua e spiega: “Berlusconi: campagna per sostituirmi”.

Quale concezione della democrazia, quale civiltà del dialogo politico e quale delirio di onnipotenza tutto ciò nasconda dovrebbe essere chiaro, ma non sempre lo è anche a causa del servilismo di tanti media, anche di quelli che non risultano direttamente di proprietà del signore in questione.

Converrà allora ricordare che alle elezioni dell’7 giugno solo il sei per cento degli italiani ha dato la preferenza a Berlusconi. Come ha ricordato sulla Stampa Luca Ricolfi, non è stato un plebiscito: dalla elezioni europee vien fuori un’Italia assai spezzettata, che andrebbe interpretata con saggezza politica e capacità di creare dialogo e consenso reale, nella società. E invece troppi, di qui e di là, rispondono con strategie di contrapposizione, con decisionismi da avanspettacolo; e vorrebbero affidare a regole estrinseche il compito di ricompattare il paese e imporre la governabilità.

Noi pensiamo invece che anche i dati elettorali vadano letti con rispetto, debbano essere capiti e vada loro data una risposta reale e paziente, attraverso una adeguata politica e cultura di partecipazione democratica.

Fa impressione infatti pensare che hanno votato due terzi degli aventi diritto. Insomma solo il 38,2 per cento degli italiani (era il 54,7 per cento nel 2008) ha votato per uno dei due partiti maggiori: Pd e Pdl. Su 100 italiani 33 non hanno votato (per protesta, perché non si sentivano rappresentati…), 22 hanno votato Pdl e 16 Pd. E ancora: del 22 per cento andato al Pdl circa due terzi (14 per cento complessivi) sono i voti attribuibili a Forza Italia e comunque solo il 6 per cento dei cittadini ha espresso la preferenza per Berlusconi.

Questo rende risibile la presunzione di personaggi e partiti di essere unti dal Popolo e di rappresentarlo correttamente. Essi talora portano anzi un contribuito ad allontanare dalle urne e dalla politica una parte crescente del Paese: ormai il partito più grande è quello dei non votanti. Ma che l’astensione non sia inevitabile si può indovinare anche da piccoli segni: a Brescia e provincia, ad esempio, ha votato il 79 per cento (anziché il 66). Forse la differenza è dovuta al fatto che lì i partiti, tutti compresa la Lega, hanno più radicamento territoriale, sono forze culturali vive.

Per vincere l’astensionismo senza cadere nel populismo emotivo fatto di personalismi, pubblicità e scenografia di carta velina, serve ritrovare la vera politica che è anzitutto partecipazione, cultura, capacità di capire e guidare i problemi. Pensiamo alla politica estera, a quella dell’ambiente e dell’energia, dal lavoro alla finanza, dalla cittadinanza alla immigrazione e al dialogo tra le culture, all’uguaglianza... Grande responsabilità avrà il mondo dell’ informazione con i suoi uomini e i suoi strumenti. E grande l’avrà il mondo della scuola, che merita una riforma ben più seria di quella annunciata; e soprattutto merita fiducia, risorse, uomini e donne di grande qualità come finora è stata, e ancor più (altro che le 3 I!).

Ricordiamo le parole di Piero Calamandrei sul rapporto tra democrazia e scuola (noi oggi diremmo anche informazione e cultura): «A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali (…) questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione l’art. 34, in cui è detto: “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola…». (ab)

 

 

 

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