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Welfare “fai da te”/2 Ma la solidarietà non può sostituire la denuncia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 81 del 18/07/2009

Continua l’analisi sulle diverse risposte alla crisi economica. Mentre sul numero precente l’autore si è soffermato sulle iniziative della società civile e delle imprese, in questo articolo mette in discussione alcune iniziative della Chiesa italiana per venire incontro alle esigenze di vecchi e nuovi poveri. È necessario mantenere alta l’attenzione sulle denunce dei sistemi che producono povertà.

 

La Chiesa cattolica italiana ha preso atto tempestivamente del fatto che l’ampiezza della crisi e la tipologia dei soggetti colpiti dai fenomeni di impoverimento, in gran parte esclusi dalle coperture tradizionali del sistema di welfare pubblico, richiedevano un intervento straordinario di solidarietà. Si è mossa nel solco di una tradizione consolidata di assistenza ai più poveri, alimentata dalle istituzioni di carità e dal volontariato; ma ha anche proposto da subito una strategia articolata, promuovendo strumenti di intervento che si sono ben presto configurati, forse al di là delle intenzioni, come iniziative di supplenza alle carenze delle politiche sociali pubbliche.

Per primo si è mosso l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi promuovendo, a Natale 2008, nella sua diocesi il Fondo famiglia-lavoro, inquadrando tale iniziativa in una precisa diagnosi sulla necessità del recupero dell’etica in economia. Lo strumento è finalizzato a sostenere le persone che hanno perso il lavoro nel territorio diocesano, per effetto delle crisi aziendali, non sono tutelate da ammortizzatori sociali o altre forme di sostegno previsti da interventi pubblici ed appartengono a famiglie disagiate: il fondo attivato dalla diocesi con la dotazione iniziale di un milione di euro, è rapidamente cresciuto a 3 milioni e mezzo, grazie ad un milione di contributo della Fondazione Cariplo e alle donazioni di associazioni e semplici cittadini. Si tratta di un contributo di integrazione al reddito, di entità e durata da valutare in base alla situazione specifica, da erogare a singoli lavoratori o famiglie, italiane e straniere.

Il contributo è di carattere straordinario e transitorio (il fondo si estinguerà a fine 2010); le domande di contributo autocertificano il possesso dei requisiti fissati dal regolamento e sono presentate con la collaborazione della Caritas e delle Acli; il Comitato di gestione del fondo autorizza l’erogazione dei contributi, curata dalle parrocchie, garantendo la riservatezza degli interventi.

Si tratta quindi di un intervento di assistenza, finanziato con un fondo alimentato da donazioni; con una certa discrezionalità nell’assegnazione dei contributi, ma anche con un forte orientamento a non discriminare tra i richiedenti, in base all’appartenenza religiosa o alla nazionalità.

Più complesso l’intervento promosso dalla Conferenza episcopale, che sarà operativo da settembre 2009, denominato Prestito della Speranza: lanciato con una colletta nazionale in tutte le diocesi e parrocchie a Pentecoste 2009, l’intervento si propone di istituire un Fondo di garanzia di 30 milioni di Euro, per consentire l’erogazione di prestiti da parte di banche convenzionate a persone che presentano progetti di reinserimento lavorativo o di avvio di attività imprenditoriali; anche in questo caso si valuta la situazione complessiva della famiglia.

A tal fine è stato sottoscritto un accordo tra Cei e Associazione bancaria italiana: le banche che aderiranno potranno erogare prestiti a tassi agevolati ai richiedenti, i cui requisiti saranno stati valutati dagli uffici diocesani; i prestiti di importo massimo di 500 euro mensili fino ad un totale di 6000 euro annuo, dovranno essere rimborsati a partire dal dodicesimo mese secondo piani di durata massima quinquennale; in caso di mancato rimborso del prestito le banche potranno rivalersi sul fondo di garanzia.

Basta leggere gli allegati all’accordo tra Cei ed Abi, per capire che le procedure sono complesse, occorrono documenti e certificati e questo richiede l’intervento di strutture specializzate di intermediazione se non si vorrà di fatto restringere la platea dei destinatari; anche per la valutazioni di merito e per la consulenza progettuale e la formazione, gli uffici diocesani dovranno ricorrere a servizi specializzati esterni.

Il fondo di microcredito SPES promosso dal cardinale Sepe per la diocesi di Napoli dovrebbe prevedere procedure più semplici e focalizzarsi unicamente sull’avvio di nuove iniziative di lavoro autonomo o di microimpresa. Iniziative simili sono presenti in molte diocesi e da tempo sono promosse dalla Caritas.

Questi sintetici richiami alla strumentazione operativa messa in campo evidenziano che, ben oltre un richiamo alla solidarietà ed all’assistenza, si va costruendo un vero e proprio sistema di offerta di servizi, già da tempo attivo in varie organizzazioni del mondo cattolico, ed ora più direttamente presidiato dalle diocesi.

L’operazione può destare perplessità di vario ordine, oltre a quella di fare supplenza e di contribuire a nascondere le crepe del sistema di welfare pubblico alimentando la logica del fai da te.

C’è un oggettivo rischio di arretramento (se non di svuotamento) rispetto alle esperienze più avanzate nel campo della tutela dei diritti di cittadinanza, dell’accoglienza e dell’integrazione realizzate da parte dei settori del volontariato e dell’associazionismo cattolico: molte di queste esperienze sono cresciute legando fortemente la diffusione della solidarietà all’affermazione della giustizia sociale e all’iniziativa politica per la difesa dei diritti. La solidarietà non può sostituire una serrata denuncia degli elementi di ingiustizia e di discriminazione presenti nella nostra società: e su questo la voce della Chiesa ufficiale è meno univoca.

C’è poi il rischio che le iniziative anticrisi siano intese come strumentali per il rilancio del ruolo sociale delle parrocchie, riproponendo una funzione di mediazione che attribuisce ai “fedeli” ed alla Chiesa una maggiore capacità di discernimento nel valutare le priorità dei bisogni ed il recupero di centralità come luogo di aggregazione delle comunità locali.

Ulteriore preoccupazione è che l’apertura di un fronte di dialogo con il mondo finanziario, che viene accreditato di una funzione di responsabilità sociale ed etica finora negata dai fatti, preluda da parte della Chiesa ad una strategia più avanzata di reperimento di nuove fonti di finanziamento per le istituzioni cattoliche, stante le difficoltà crescenti di considerare lo Stato e l’8 per mille l’interlocutore privilegiato. Ma qui si apre un discorso più ampio e da approfondire sul significato di finanza etica e sul finanziamento del non profit.

(2. fine. La prima parte è stata pubblicata sul n. 78 di Adista - Segni Nuovi)

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