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L’OSSERVATORE ROMANO A 500 ANNI DALLA NASCITA DI CALVINO: “RIFORMATORE GENIALE”. MA TRA GLI STUDIOSI È POLEMICA

Tratto da: Adista Notizie n° 82 del 25/07/2009

35128. ROMA-ADISTA. 500 anni fa - il 10 luglio 1509 - nasceva Jehan Cauvin, Giovanni Calvino, insieme a Lutero, il maggiore dei riformatori religiosi della modernità. A pochi giorni dall’anniversario, l’Osservatore Romano (3/7) ha dedicato alla figura di Calvino un lungo articolo a firma dello storico francese Alain Besançon, in cui si sono potuti leggere giudizi alquanto positivi nei confronti dell’autore dell’Istituzione della religione cristiana.

“Data la violenza delle polemiche rivolte contro di lui, non è inutile affermare che Calvino è un cristiano”, scrive Besançon. “Egli aderisce pienamente ai simboli di Nicea e di Costantinopoli. Professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica (preferisce dire universale) e apostolica. Crede nella Trinità, al peccato originale e a quello attuale, alla salvezza attraverso Gesù Cristo” e, “contrariamente a ciò che a volte si dice, crede nella presenza reale, anche se non ammette la concezione cattolica della transustanziazione”. Un altro luogo comune storico da rivedere rimanda alla “natura del regime ginevrino” promosso da Calvino, che non fu “così teocratico come si crede, visto che i magistrati civili mantenevano il controllo”.

Ma la maggior forza del messaggio e dell’opera di Calvino sta “nell'avere diffuso il suo modello di cristianesimo nelle aree più progredite, l'Olanda, la parte più dinamica dell'Inghilterra, la Scozia, e infine, e soprattutto, gli Stati Uniti”. Addirittura “geniale” viene definito il suo “sistema ecclesiale compenetrato nella società civile”: “L’organizzazione calvinista”, scrive Besançon, “è una creazione geniale. Essa è capace di adattarsi alla monarchia, spingendola verso l'accettazione della rappresentanza; al patriziato delle città moderne, il suo ambito favorito; alle repubbliche aristocratiche; alle repubbliche democratiche. Resiste agilmente a tutti i cambiamenti e le rivoluzioni della modernità. La sua superiorità storica - voglio dire la sua efficacia - è patente, paragonata alla rigidità autoritaria del mondo luterano. E naturalmente paragonata all'immensa, alla complessa, all'antica organizzazione cattolica, così difficile da muovere”. Perfino la dottrina calvinista della predestinazione viene in qualche modo riabilitata: “Bisogna intenderla, da parte del cristiano che vi aderisce, come un affidarsi con totale fiducia a Dio. Come una pienezza dell’abbandono alla provvidenza divina”.

Giudizi molto diversi da quelli comparsi sull’Osservatore Romano sono invece contenuti in un lungo saggio di Roberto Spataro, preside dello Studium Theologicum Salesianum di Gerusalemme, pubblicato a marzo sul periodico Cristianità (rivista di Alleanza Cattolica).

“Sono numerosi i motivi che rendono inopportuna ogni forma di celebrazione” della nascita del fondatore delle comunità cristiane riformate, scrive Spataro in apertura del suo intervento. “Tutt’al più, sarebbe ragionevole che, almeno all’interno della Chiesa Cattolica, si lasci passare sotto silenzio questo quinto centenario”. Il verbo calvinista rappresenta infatti “un travisamento e un tradimento del vangelo stesso”. “L’anti-vangelo calvinista si sposa e si spiega con la personalità di Calvino, triste e solitario”, “duro e intollerante”, “orgoglioso”, “ambizioso”, “collerico” e “vendicativo”. A Ginevra, continua Spataro, Calvino “introdusse un’organizzazione teocratica della comunità cristiana abolendo, di fatto, ogni forma di distinzione fra dimensione civile e religiosa e imponendo una legislazione opprimente”. “L’implacabilità con la quale Calvino impone la riforma”, prosegue Spataro, “nasce dalla convinzione di essere un ‘unto’, in possesso della pienezza della verità, coincidente con le sue idee. Di qui l’odio settario e la prevaricazione adoperata per perseguire le sue finalità”.

Tali giudizi non possono che condurre ad interpretare la teologia calvinista come un corpus dottrinale totalmente estraneo alla stessa tradizione cristiana così come essa si è sviluppata prima e dopo la riforma protestante (contrariamente a quanto viene affermato, da ultimo, nel citato articolo dell’Osservatore Romano): “Il cristianesimo presentato da Calvino è ancora cristianesimo?”, si domanda Spataro. “A fatica la risposta può essere positiva” poiché nel calvinismo, “l’intero edificio teologico del cristianesimo viene rovinosamente distrutto per far prevalere un’immagine irragionevole di Dio, il cui volontarismo è sinonimo di arbitrarietà se non proprio di malvagità”.

Le parole di Spataro hanno provocato la reazione del pastore valdese Giorgio Tourn – autore, fra l’altro, del recente saggio Giovanni Calvino. Il riformatore di Ginevra (Claudiana editrice, pp. 130, euro 10) - il quale ha ricollegato le tesi del preside dello Studium Theologicum Salesianum di Gerusalemme “alla più bieca e superata tradizione storiografica del Calvino tenebroso, disumano e tirannico, inventore della teocrazia ginevrina, omicida e illiberale”.

Alla “paccottiglia” di Spataro - accusato di “ignoranza belluina” e di sostenere “grossolanità inammissibili” - Tourn contrappone la lettura di “una personalità complessa”: Calvino, “trovandosi a vivere in una situazione piena di tensioni, identifica il suo posto nel mondo con la sua vocazione. È il compito che Dio gli ha dato e che egli assolve”. Quanto alla polemica sull’organizzazione teocratica della Ginevra di Calvino, Tourn afferma che il riformatore francese fu “il primo a porsi il problema del rapporto tra Chiesa e mondo secolare, perché quello che noi chiamiamo Stato, una struttura civile autonoma e indipendente, ai suoi tempi non esisteva”. “Ginevra è sì una teocrazia, ma allo stesso modo in cui lo erano Roma, Parigi, Londra, con la differenza che la teocrazia di Ginevra è bicefala: c’è la Chiesa e c’è il magistrato”. (e. c.)

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