Impegno e speranza unica via
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 95 del 26/09/2009
È stata un’estate apocalittica: ci ha svelato che molte cose e persone, situazioni e prospettive sono peggiori di quanto immaginavamo.
C’è una crisi profonda nell’aria. Peggio: prende forma e peso. Si concretizza nei comportamenti, negli stili di vita, nelle scelte e negli affari, nelle menzogne, negli egoismi sfrenati, nel disprezzo degli altri, nella violenza di parole, scritti, gesti. Tutto ciò rivela una grave minaccia per le istituzioni pubbliche, la democrazia e la libertà. Una vera emergenza culturale e morale che pervade la comunità civile ma non risparmia la comunità ecclesiale.
Quest’estate, forse per la prima volta, ho sentito il peso, l’imbarazzo, quasi una voglia di rifiuto di fronte al mestiere che ho fatto e in qualche modo continuo a fare tuttora. Ho provato il disagio, come giornalista, per le cose che si debbono raccontare, per il modo in cui alcuni colleghi le raccontano, per il modo in cui altri le tacciono, per la distanza che spesso s’intravvede tra quel che si pensa e quel che si scrive. Mi chiedo se e come è possibile scrivere senza rattristare e senza offendere, senza tacere e senza gridare, senza inquietare ma senza scoraggiare. Come raccontare delle debolezze e della melma senza sporcarsi…
E poi la domanda che preme: ma davvero conviene conoscere e raccontare la realtà? Serve a qualcuno? Aiuterà a costruire o a distruggere?
Mai come in queste settimane, tuttavia, mi è apparsa attualissima la convinzione di un vero cristiano, amico di Montini e di Calamandrei, Andrea Trebeschi. Un grande intellettuale e protagonista della Resistenza bresciana, che davanti allo sfacelo del Paese e alla scandalo di tanti tradimenti scriveva nel 1943, due anni prima di morire a Gusen di Mauthausen: «Se il mondo fosse monopolio dei pessimisti, sarebbe da tempo sommerso da un nuovo diluvio; e se oggi la tragedia sembra inghiottirci, si deve alla malvagità di alcuni, ma soprattutto all’indifferenza della maggioranza. Il credo di troppa gente non ebbe, fin qui, che due articoli:
– “non vi è nulla da fare”
– “tutto ciò che si fa non serve a nulla”
Quel che importa è che ognuno, secondo le proprie possibilità e facoltà, contribuisca di persona alle molte iniziative di bene, spirituale, intellettuale e morale. Un mondo nuovo si elabora. Che sia migliore o ancor peggio, dipende da noi».
Eccoci dunque a riflettere su tutto quel che abbiamo visto e sentito in questi mesi, per farcene carico. Il segretario della Cei monsignor Crociata ha trovato l’espressione giusta, che era usata spesso anche da Vittorio Bachelet quando invitava giovani e adulti di Azione cattolica a lavorare nella Chiesa per i fratelli con vero spirito di servizio: farsi carico. Cioè mettersi sulle spalle i problemi, le difficoltà, le fatiche di tutti: farsene servitori con coraggio, pazienza, disinteresse, con serenità e se possibile con gioia.
Ciò non esclude naturalmente che si debbano chiamare le cose con il loro nome, altrimenti sarebbe impossibile affrontarle e correggerle: la prepotenza e la volgarità dei potenti, la presunzione e il clericalismo di tanti uomini che mettono a dura prova la purezza e la misericordia della Chiesa e la sua credibilità presso i giovani e i “lontani”, l’occupazione del potere civile da parte di bande organizzate, l’aggressione alle libertà di pensiero, di informazione e di stampa; l’ostilità e la violenza verso gli uomini di cultura, religione, sesso o patria diversi…
Davanti a tutto c’è una sola via: rispondere con l’impegno e con la speranza che è possibile migliorare il mondo non uccidendo o schiacciando l’altro, ma offrendogli una parola e una mano. Impegnarsi per una politica migliore e più pulita, un’informazione più libera, una economia più giusta ed efficiente; una cultura più seria, una chiesa molto più evangelica e credibile.
Alla speranza i credenti aggiungono la preghiera: affinchè tutte le persone coinvolte nelle vicende di cui si parla trovino pace e forza per convertirsi; la società politica ritrovi servitori degni di questo nome; e la Chiesa abbia il coraggio di un sincero e profondo esame di coscienza.
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