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Esilio dalla Terra

- Copenhagen: curare i sintomi non basta. Riflessioni del teologo della liberazione Leonardo Boff

Tratto da: Adista Contesti n° 130 del 26/12/2009

Tratto dall’agenzia brasiliana di notizie “Adital” (7/12/2009). Titolo originale: “O que está em jogo em Copenhague”

 

A Copenhagen i 192 rappresentanti dei popoli si confrontano con un elemento irreversibile: la Terra si è già riscaldata, e parecchio, a causa del nostro modo di produrre, di consumare e di trattare la natura. Non ci resta che adattarci ai cambiamenti e mitigarne gli effetti perversi.

La cosa normale sarebbe che l’umanità si domandasse, come fa un medico con il suo paziente: perché siamo arrivati a questa situazione? È importante considerare i sintomi e identificare la causa. Sarebbe sbagliato curare i sintomi lasciando intatta la causa che continua a minacciare la salute del paziente.

È esattamente quello che sembra stia avvenendo a Copenhagen. Si cercano i mezzi per curare i sintomi, ma non si affronta la causa fondamentale. Il cambiamento climatico accompagnato da eventi estremi è un sintomo con l’impronta digitale umana prodotto dai gas effetto serra. Le soluzioni suggerite sono: riduzione delle percentuali dei gas, maggiore per i Paesi industrializzati e minore per quelli in via di sviluppo; creazione di fondi finanziari per soccorrere i Paesi poveri e trasferire tecnologie per i ritardatari. Tutto ciò nel quadro di interminabili discussioni in cerca di un consenso minimo.

Tali misure attaccano appena i sintomi. Bisogna andare più a fondo, alle cause che producono questi gas dannosi alla salute di tutti i viventi e della stessa Terra. Copenhagen offrirebbe l’occasione di tracciare un coraggioso bilancio sulle nostre pratiche in relazione alla natura, di riconoscere umilmente la nostra responsabilità e di prescrivere saggiamente la medicina adeguata. Ma non è questo che è previsto. La strategia dominante è prescrivere un’aspirina a chi ha un grave problema cardiaco, anziché provvedere a un trapianto.

Ha ragione la Carta della Terra quando afferma: “Come mai avvenuto prima nella storia, il destino comune ci convoca a ricercare un nuovo inizio… Ciò richiede un cambiamento di mente e di cuore”. È esattamente questo: non bastano le medicine; è necessario ricominciare, cioè trovare una forma diversa di abitare la Terra, di produrre e di consumare, con una mente aperta alla cooperazione e un cuore aperto alla compassione.

Occorre riconoscerlo: il problema in sé non è la Terra, ma la nostra relazione con essa. Il pianeta è vissuto più di quattro miliardi di anni senza di noi e può tranquillamente continuare senza di noi. Noi non possiamo vivere senza la Terra, senza le sue risorse e i suoi servizi. Dobbiamo cambiare. L’alternativa al cambiamento è accettare il rischio della nostra stessa distruzione e di una terribile devastazione della biodiversità.

Qual è la causa? È il sogno di perseguire la felicità attraverso l’accumulazione di ricchezza materiale e il progresso senza fine, usando a tale scopo la scienza e la tecnica con cui sfruttare in maniera illimitata tutte le risorse della Terra. Questa felicità è ricercata individualmente, entrando in competizione gli uni con gli altri, favorendo così l’egoismo, l’ambizione e la mancanza di solidarietà.

In questa competizione i deboli sono le vittime di quella che Darwin chiama selezione naturale. Solo quelli che si adattano meglio meritano di sopravvivere, gli altri sono, naturalmente, condannati a scomparire.

Per secoli ha predominato questo sogno illusorio, creando pochi ricchi da un lato e molti poveri dall’altro, al costo di una spaventosa devastazione della natura.

Raramente si è posta la questione: può una Terra finita sopportare un progetto infinito? La risposta ce la sta dando la stessa Terra. Essa non riesce, da sola, a rigenerare quello che da essa si estrae; ha perso il suo equilibrio interno a causa del caos che abbiamo provocato nella sua base fisico-chimica e dell’inquinamento atmosferico che ne ha cambiato lo stato. Proseguendo su questa strada, comprometteremo il nostro futuro.

Cosa ci si potrebbe aspettare da Copenhagen? Appena questa semplice confessione: così non possiamo continuare. E un elementare proposito: cambiamo direzione. Invece della competizione, la cooperazione. Invece del progresso senza fine, l’armonia con i ritmi della Terra. Invece dell’individualismo, la solidarietà tra generazioni. Utopia? Sì, ma un’utopia necessaria a garantire un futuro.

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