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COLONIALISMO ASSASSINO

- La tragedia causata dal terremoto di Haiti è il risultato di secoli di sfruttamento e oppressione imperialisti

Tratto da: Adista Contesti n° 7 del 23/01/2010

Tratto dal quotidiano inglese “The guardian” (13/1/2010). Titolo originale: “OUR ROLE IN HAITI’S PLIGHT”

Qualsiasi grande città del mondo avrebbe subito danni considerevoli a causa di un terremoto come quello che ha devastato la capitale di Haiti martedì 12, ma non è un caso che buona parte di Port-au-Prince sembri ora una zona di guerra. Gran parte della distruzione causata dalla calamità che ha colpito Haiti si spiega meglio come risultato di una lunga e infame sequenza di fatti storici causati dall’uomo.

Il Paese ha già dovuto affrontare più catastrofi di quante la giustizia vorrebbe. Centinaia di persone morirono a Port-au-Prince a causa di un terremoto nel giugno del 1770, e il gigantesco terremoto del 7 maggio del 1842 uccise 10mila persone solo nella città di Cap-Haïtien. Gli uragani colpiscono l’isola con regolarità, i più recenti nel 2004 e nel 2008, le tempeste del 2008 hanno inondato la città di Gonaives e distrutto la maggior parte delle sue fragili infrastrutture, uccidendo più di mille persone e distruggendo diverse migliaia di case. L’attuale entità del disastro emergerà non prima di diverse settimane. Anche per riparazioni minime ci potranno volere anni e l’impatto a lungo termine è incalcolabile. Tuttavia ciò che è abbastanza chiaro è che questo impatto sarà il risultato di un processo storico ancora più lungo di deliberato indebolimento e impoverimento. Haiti si è soliti descriverla come “il Paese più povero dell’emisfero occidentale”. Questa povertà è il retaggio diretto di quello che è stato il sistema di sfruttamento coloniale più brutale della storia, aggravato da decenni di sistematica oppressione post-coloniale. La nobile “comunità internazionale”, che adesso si prepara con gran chiasso a inviare i suoi “aiuti umanitari” ad Haiti, è in gran parte responsabile della portata della sofferenza che ora vuole alleviare. Dall’invasione e occupazione nordamericana del 1925 ogni serio tentativo politico di permettere che il popolo haitiano passasse (con le parole dell’ex presidente Aristide) “dalla miseria assoluta alla degna povertà”, è stato  deliberatamente e violentemente bloccato dal governo degli Stati Uniti e da alcuni suoi alleati.

Lo stesso governo Aristide (eletto da circa  il 75% dei votanti) è stato l’ultima vittima di questa ingerenza, rovesciato nel 2004 da un golpe patrocinato internazionalmente, che ha fatto diverse migliaia di vittime lasciando gran parte del Paese immerso nel risentimento. L’Onu ha mantenuto da allora una enorme e molto onerosa forza militare di pacificazione.

Haiti è oggi un Paese in cui, secondo il miglior studio disponibile, circa il 75% della popolazione “vive con meno di 2 dollari al giorno, e il 56% - 4 milioni e mezzo di persone - vive con meno di 1 dollaro al giorno”. Decenni di “aggiustamenti” neoliberisti e interventi neoimperialisti hanno spogliato il Paese di qualsiasi significativa capacità di investire sul suo popolo o regolare la sua economia. Punitive condizioni di commercio e finanziamenti internazionali garantiscono la permanenza, nel suo futuro prossimo, di questa povertà e impotenza come fatti strutturali della vita haitiana.

È proprio questa povertà e impotenza a spiegare l’entità dell’orrore odierno a Port-au-Prince. Dagli ultimi anni 70, un implacabile assalto neoliberista all’economia agraria di Haiti ha obbligato decine di migliaia di piccoli agricoltori a traslocare in alloggi inadeguati, spesso stipati in gole disboscate. La selezione delle persone che vivono in simili ambienti non è in sé più “naturale” o casuale dell’entità delle ferite che ha sofferto. Come segnala Brian Concannon, direttore dell’Istituto per la Giustizia e la Democrazia ad Haiti, “questa gente è arrivata qui perché loro o i loro genitori sono stati espulsi intenzionalmente dalle aree rurali da politiche di aiuto e commerciali studiate con la precisa intenzione di creare nelle città una forza lavoro schiava e, pertanto, facile da sfruttare; per definizione, si tratta di gente che non possiede i mezzi per costruire case resistenti ai terremoti”. Nel frattempo, le infrastrutture di base delle città – acqua corrente, elettricità, strade, ecc. – rimangono inadeguate in modo deplorevole, spesso esistenti. La capacità del governo di mobilitare qualsiasi tipo di aiuto contro le catastrofi è praticamente nulla.

Dal golpe del 2004, è la comunità internazionale ad aver effettivamente governato Haiti. Gli stessi Paesi che ora si fanno belli inviando ad Haiti aiuti di emergenza, durante gli ultimi 5 anni, hanno votato in modo pesante contro qualsiasi estensione del mandato della missione Onu al di là degli obiettivi strettamente militari. Le proposte per dirottare parte di questi “investimenti” verso programmi per la riduzione della povertà e per lo sviluppo agrario sono state bloccate in ossequio ai modelli ormai da lungo tempo affermati che caratterizzano gli “aiuti internazionali”.  Gli stessi uragani, che qui hanno ucciso tante persone nel 2008, hanno colpito Cuba con la stessa forza, ma lì hanno lasciato sul terreno solo 4 morti. Cuba ha evitato i peggiori effetti delle “riforme” neoliberiste e il suo governo conserva la capacità di difendere il popolo contro i disastri naturali. Se vogliamo seriamente aiutare Haiti ad uscire dall’ultima crisi, dobbiamo prendere in considerazione questi risultati. Insieme all’invio di aiuti di emergenza, dovremmo chiederci cosa possiamo fare per favorire il rafforzamento dell’autodeterminazione del popolo di Haiti e delle sue istituzioni pubbliche. Se vogliamo sul serio aiutare, dobbiamo abbandonare ogni tentativo di controllare il governo haitiano, pacificare i suoi cittadini e sfruttare la sua economia. E dopo dovremo cominciare a pagare almeno una parte del disastro che abbiamo già causato. n

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