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Chiesa e pace Il sogno di Isaia e il cammino della Chiesa

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 13/02/2010

Di seguito, l’intervento conclusivo di mons. Giovanni Giudici, presidente di Pax Christi, al convegno sul disarmo organizzato dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, dalla Caritas e da Pax Christi alla Pontificia Università lateranense di Roma lo scorso 30 gennaio

 

Don Tonino Bello, mio predecessore in Pax Christi, ricordava: “La pace non è il premio favoloso di una lotteria che si può vincere col misero prezzo di un solo biglietto. Chi scommette sulla pace deve sborsare in contanti monete di lacrime, di incomprensione e di sangue. La pace è il nuovo martirio a cui oggi la Chiesa viene chiamata. L’arena della prova è lo scenario di questo villaggio globale che rischia di incenerirsi in un olocausto senza precedenti. E come nei primi tempi del cristianesimo i martiri stupirono il mondo per il loro coraggio, così oggi la Chiesa dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per la fierezza con cui, noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le finali come nel canto gregoriano, il vangelo della pace e la prassi della nonviolenza. È chiaro che se, invece che fare ammutolire i potenti, ammutolisse lei, si renderebbe complice rassegnata di un efferato crimine di guerra”.

È sufficiente rileggere e accogliere l’altissimo Magistero della Santa Sede per convincersi della necessità di una maggiore attenzione alla realtà che ci sta davanti (...). Mi limito ad evidenziare che:

- l’Italia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dal 1 gennaio 2007, Giornata mondiale della Pace.  Va sostenuta nelle nostre parrocchie e nell’opinione pubblica una coscienza comune a proposito dello sforzo perché prevalga la logica del disarmo. L’obiettivo chiaro indicato dal Magistero resta: “Andare verso un disarmo integrale” (Benedetto XVI). La corsa costante agli armamenti lascia intendere, d’altronde, che il ricorso alla guerra rappresenta ancora per molti la via obbligata per la soluzione dei conflitti. Per noi la guerra è contro la ragione e contro l’umanità come indicava Giovanni XXIII nella Pacem in terris.

- Una cultura della pace è obiettivo prioritario della Chiesa. È urgente contrastare la accettazione acritica rispetto alla costruzione e al commercio delle armi, scelta che non è conforme al Magistero della Chiesa così come non lo è un Modello di Difesa che ponga al centro gli interessi di pochi e non la giustizia e il bene comune. Purtroppo dobbiamo constare che è diffusa la mentalità della contrapposizione violenta, gli atteggiamenti di ostilità verso le persone, straniere ma anche solo di diversa appartenenza politica. Conflitti etnici, odi razziali e il rifiuto dell’immigrato considerato come “nemico” sono fattori che concorrono ad alimentare l’uso della violenza, anche attraverso le armi.

- Va accolto più seriamente il Magistero sul disarmo, la riduzione delle spese militari, la condanna alla produzione di nuovi sistemi d’arma. Dobbiamo interrogarci sull’“aumento delle spese militari” che assorbono “ingenti risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei popoli, soprattutto di quelli più poveri” e promuovere quelle “decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari” (Benedetto XVI, Auguri al Corpo diplomatico, 11 gennaio 2010). (...) La nostra scelta non può fermarsi al no alle armi nucleari, chimiche e batteriologiche, deve essere altrettanto forte il no alle armi convenzionali e leggere e il sostegno al Trattato Internazionale sul disarmo che si sta costruendo in sede Onu.

Questi i temi di una nuova riflessione da fare nelle nostre comunità cristiane:

1) Il rifiuto della logica delle armi, del riarmo e della guerra. Dire armi significa dire produzione, commercio, partecipazione finanziaria, guerra, sopruso contro le popolazioni povere, controllo sociale nei Paesi a democrazia fragile, corsa al riarmo, bambini soldato, ferite, morte. Come comunità cristiane, ci è chiesto di disapprovare e obiettare alla fabbricazione incontrollata delle armi, di non giustificarne l’uso indiscriminato, ma anche di far riflettere quanti operano in questo settore produttivo, economico, finanziario: il Vangelo non li interroga, a questo proposito, sul loro lavoro?.

2) La scelta della nonviolenza evangelica come linguaggio, progetto sociale e politico, testimonianza e primizia del Regno di Dio. È per noi una sfida pastorale il fatto che nelle nostre comunità cristiane trovi acritica accoglienza la giustificazione della guerra e della violenza, della legittima difesa armata e della ingerenza umanitaria con gli eserciti e non sia altrettanto presente l’attenzione per la difesa popolare nonviolenta, la passione per la verità e i concreti gesti di amore che danno prospettive a un mondo nuovo e possibile, secondo le parole dei Profeti. Il cristiano non distoglie il volto dalla brutalità dell’oppressione, ma nemmeno si fa trascinare nella logica che lo vuole “nemico” perché altri lo hanno definito come tale.

3) La riconciliazione come stile e impegno. Non solo la società secolarizzata ma anche le nostre comunità cristiane sono sempre più divise, incapaci di dialogo, accusatorie, “l’un contro l’altra armata”. Scegliere la pace significa fare ogni sforzo per riuscire a essere presenza di riconciliazione, facilitatori di incontro, generatori di dialogo, tessitori di perdono. Se è ormai consolidata l’idea che ogni parrocchia abbia al proprio interno la Caritas attenta alle povertà del territorio e alle politiche sociali oppure un gruppo di catechisti, è sempre più urgente che ogni parrocchia faccia nascere un gruppo “Giustizia e Pace” che si articoli anche come “gruppo di verità e riconciliazione” capace di ricucire le fratture senza che il prezzo sia quello dell’avvocato, dei giudici di pace o dei tribunali penali. Quante energie e denaro risparmiati e quanta comunione preservata!

4) Un rapporto evangelico con il denaro e le “sponsorizzazioni” o donazioni. Con troppa facilità gestiamo le nostre economie senza criterio. Abbiamo soldi in banche che sostengono il commercio di armi, investiamo in fondi di cui  non conosciamo bene l’utilizzo.

5) Coraggio nelle sfide che rendono vivo e impegnativo il quotidiano: la sfida della speranza contro la disperazione, la sfida della povertà contro la dissipazione, la sfida della nonviolenza contro la vendetta, la sfida della giustizia contro l’elemosina, la sfida della partecipazione contro la pigrizia del disimpegno civile, la sfida della comunità contro l’egoismo, la sfida del disarmo contro la guerra, la sfida della Pasqua contro la morte, la sfida dell’abitare contro la sopravvivenza, la sfida dell’accoglienza contro la paura, la sfida della conversione contro la rigidità, la sfida della vita contro la morte.

Propongo alcune fra le numerose scelte pastorali che già nelle nostre Diocesi stanno alimentando il nostro impegno, per stimolare invece le troppe realtà pastorali insensibili alle evangeliche provocazioni che ci raggiungono:

- È sempre più opportuno sollecitare i cristiani adulti ad una precisa scelta di nonviolenza attiva, in un esplicito rifiuto della logica di guerra e in un recupero dell’altissimo valore dell’obiezione di coscienza.

- La scelta fondamentale del disarmo deve testimoniarsi in precise scelte e gesti che siano esplicite e visibili nella vita concreta della nostre comunità cristiane. È necessaria una traduzione pastorale del Magistero.

- Vanno dedicate risorse e tempo all’elaborazione di precisi itinerari educativi che evidenzino la testimonianza di profeti non armati, di profeti nonviolenti.

- Avviare un serio e organico lavoro sui temi di “Giustizia e Pace” iniziando dal ridare vigore e spazio alle Commissioni Giustizia e Pace a livello nazionale, diocesano e locale, continuando il lavoro educativo nelle nostre parrocchie e comunità locali, allargando la collaborazione internazionale nelle comunità cristiane sui temi della pace e della scelta nonviolenta.

- Credere e vivere l’ecumenismo nelle linee proposte dal Concilio Vaticano II e dalla Charta Oecumenica Europea e il dialogo interreligioso come luoghi di costruzione di comunità profetiche di speranza e amore.

- Progettare itinerari specifici di formazione teologica, morale, spirituale alla pace che accompagnino adeguate scelte di denuncia, di rinuncia e annuncio per una nuova “civiltà dell’amore”.

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