INDIGENI E DONNE, SOGGETTI PRIVILEGIATI DEL REGNO
Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 06/03/2010
(...) Mi è stato chiesto di condividere con voi alcune idee riguardo alla libertà e dignità dei popoli indigeni e meticci che, a partire dalla loro identità di Popolo di Dio, si sentono protagonisti ed eredi del Regno di giustizia e di verità, operando conseguentemente e impegnandosi nella costruzione di alternative di vita per tutti e tutte. E in questo popolo oppresso per secoli ma sensibile al dono dello Spirito, le donne occupano un posto molto importante, in quanto, come le più oppresse tra gli oppressi e le più povere tra i poveri, a partire dalla propria condizione di emarginazione ed esclusione vanno scoprendo nella Parola di Dio la loro propria Parola, osando gridare in modo coraggioso, saggio e autorevole che esse sono, al pari degli uomini, Figlie amate da Dio, seguaci e discepole del Gesù del Regno e impegnate fedelmente a favore del benessere e del ben vivere delle loro comunità. (...).
Le donne cristiane come portatrici solidali della Parola e soggetti della storia
(...) Essendo le più povere tra i poveri, in quanto doppiamente o triplamente emarginate e oppresse, le donne indigene e meticce di queste terre sono le vittime più esposte alle situazioni di maggiore povertà.
La donna povera, malgrado il suo ruolo fondamentale nell’economia domestica e, nella maggior parte dei casi, anche nella vita comunitaria e nella Chiesa, soffre abitualmente delle pessime condizioni della salute pubblica e del-l’educazione, è relegata in un secondo piano e molte volte infantilizzata o trattata come oggetto. (...).
Le donne della diocesi, nel corso di tutti questi anni, hanno imparato a venire allo scoperto, ad alzarsi e a camminare insieme come popolo credente in cerca della propria esperienza pasquale nella vita quotidiana dei popoli indigeni e meticci. E tra luci e ombre, dolorose ombre, vanno camminando con passo fermo e deciso, convinte del fatto che la loro liberazione non sarà completa se non sarà anche la liberazione dei loro popoli e che la difesa dei loro diritti è l’espressione più chiara della loro presenza come protagoniste e promotrici di nuovi cieli e nuove terre per tutti. (...).
La storica Alicia Puente, molto vicina alla diocesi di San Cristóbal, afferma che jTatic Samuel aveva imparato a “lasciar fare” alle donne, favorendo e sostenendo dall’inizio, già vari decenni fa, la creazione di un loro spazio, tradottosi nella costituzione dell’Area delle donne della diocesi e del Codimuj (Coordinamento diocesano delle donne), affinché esse si vedessero e fossero viste come degne protagoniste della propria storia e trasformatrici attive delle proprie famiglie e comunità (...). Già da molti anni esse camminano insieme, rafforzando la propria capacità organizzativa e le propia leadership creativa, che ha permesso loro di emergere come soggetti attivi di cambiamento. (...).
Questo processo di apprendimento collettivo e di emancipazione a cui è legato il risveglio delle donne è inteso come risposta a una lunga storia di oppressione, di ingiustizia e di disuguaglianza da loro sofferta insieme alle loro comunità e ai loro popoli. Nella prospettiva della fede, è uno dei segnali del Regno, un segno dei tempi che ci mostra il cammino verso la possibilità di una vita in una comunità di eguali, come Gesù ci annuncia.
La liberazione ha inizio quando le donne osano dire la propria parola pubblicamente (...). Dire la propria parola, ascoltare la parola di altre, accompagnarsi, le libera, dà loro vita e le porta a costruire processi organizzativi alternativi nel riconoscimento della memoria collettiva e del sapere comune e condiviso.
Le donne della diocesi, come tante altre donne della nostra America, umili e vulnerabili a livello socio-economico, stanno acquisendo la capacità e il diritto di partecipazione negli spazi comunitari, nei luoghi decisionali, nelle frontiere in cui si costruisce la vita degna. Non si vedono più solo come complemento e aiuto nelle responsabilità che storicamente gli uomini hanno assegnato loro, ma si scoprono come soggetti personali e collettivi che in maniera creativa vanno assumendo la propria storia e quella dei propri popoli.
Riportando alla memoria la parola della nostra sorella Geraldina Céspedes, è importante affermare che le donne hanno iniziato insieme a produrre saggezza in un senso comunitario. In questa nuova visione, ciò che interessa è mettersi in discussione, porsi domande, pensare collettivamente più che trovare le risposte giuste e definitive. I popoli indigeni e meticci, rappresentati, nell’espressione massima della loro oppressione, dalle donne ci hanno permesso di riconoscere che sono più importanti le domande che si pongono che le risposte che si ottengono.
Questa saggezza comunitaria aumenta la forza e il coraggio delle donne e, al tempo stesso, riafferma in esse una prassi critica, partecipativa e democratica che dà loro fiducia e autorevolezza. In questo quadro, esse riflettono sulla loro esperienza di Dio, dicono la loro parola su Dio e la loro presenza nella storia dei popoli e, da qui, fanno teologia a partire dalla prassi, ponendo in pratica la loro esperienza condivisa di Dio. E in tal modo creano un nuovo soggetto storico nella ricerca paziente di spazi di equità, di giustizia e di libertà per uomini e donne.
Nel 1980, un congresso su Donna e Teologia in America Latina, svoltosi in Costa Rica, condusse una riflessione sulla necessità della liberazione della donna unita all’urgenza della liberazione economica e sociale di tutto il popolo. La donna, malgrado la sua presa di coscienza dell’oppressione che vive, antepone generalmente la liberazione del popolo alla propria. Oggi, a poco a poco, le donne hanno preso progressivamente coscienza del fatto che per realizzare un vero processo di liberazione devono essere prese in considerazione tutte le oppressioni allo stesso tempo. Ciò diventa realtà nel dialogo fecondo tra le donne dell’Area delle donne della diocesi, a partire dalle loro costanti riflessioni sulla realtà, il genere, la cultura e la mistica della Parola di Dio.
Le donne condividono tra loro non solo il dolore prodotto dalla povertà e dalle sue conseguenze, ma anche l’esperienza di un impegno che si esprime come forza di vita, unite dalla fede in un Dio amico dei poveri e Signore della vita. La lotta delle donne contro la povertà è vissuta come esperienza della presenza di Dio nella storia.
In questa lotta per la vita, esse hanno scoperto e conquistato un nuovo ruolo nella loro condizione di donne. Affermando il diritto ad essere persone, esprimono al propria capacità di pensare, opinare, decidere, organizzare, dirigere. Diventano padrone della propria storia.
Coloro che sono state messe a tacere, rese invisibili e schiavizzate cercano nei testi biblici le loro madri e sorelle nella fede. E incontrano le matriarche: profetesse, giudici, regine, discepole, missionarie, diaconesse, apostole e anche molte donne povere e semplici nel ruolo di protagoniste nella storia della salvezza. E scoprono in esse, in mezzo alle loro sofferenze, il riflesso di uno stesso volto che riconoscono degno, libero e pieno. E diventando anch’esse una buona novella per le altre e per gli altri, ricreano la Parola di Dio e l’attualizzano nelle loro realtà concrete, scoprendo cosa dice loro oggi Dio di fronte alla realtà che vivono e ancor di più cosa vuole Dio per loro. Più che una lettura, è un dialogo con la Parola di Dio.
Come indica Maricarmen Bracamontes, un’altra teologa e compagna di strada dell’Area delle donne della diocesi, le donne moltiplicano la loro presenza in quei luoghi in cui la vita è in pericolo e incontrano spazi per riflettere sulla vita alla luce della Parola e nella celebrazione della loro fede.
C’è molto cammino a da percorrere, ma la vita e la forza con cui il popolo, e in esso le donne, lotta contro la sofferenza, la fame, le malattie, la morte, ispirato e animato dalla Parola di Dio, è la dimostrazione costante da un lato del rifiuto di Dio per le ingiustizie e dall’altro del risveglio della comunità di fronte alla vita offerta da Dio. (...).
Allo stesso modo, le donne si sono distinte per la loro profonda solidarietà con i settori impoveriti. Gesù stesso ha sperimentato la solidarietà femminile lasciandosi amare, mettere in discussione, interpellare da tante donne che lo accompagnavano nel cammino.
Tanto la solidarietà quanto la comunione vanno raggiunti a piccoli passi fino ad arrivare a una vera e salda integrazione comunitaria. Le donne possono offrire un grande contributo a questo nuovo progetto di solidarietà, nella costruzione di nuove relazioni, in termini di “uguaglianza e reciprocità”, che permettano non solo di rompere con l’esclusione della donna ma anche con la discriminazione e l’oppressione nei confronti di altri settori vulnerabili della società.
Concludo affermando che la grande sfida continua ad essere quella del povero, da molti riconosciuto come lo scarto della storia. Come smettere di vederlo un oggetto (di uso o abuso, di assistenza, di appoggio, di solidarietà, di evangelizzazione) per riconoscerlo soggetto con dignità e diritti? L’esperienza ecclesiale della nostra Chiesa diocesana è un raccolto prezioso da curare e condividere, una ricchezza incalcolabile per tutte e tutti.
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