Bufera pedofilia Gli errori della Chiesa e l'amarezza di un cattolico
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 36 del 01/05/2010
Sono un cattolico, impegnato nella Chiesa cattolica fin dai tempi della giovinezza (i tempi di Carlo Carretto e della Giac-Gioventù italiana di Azione cattolica) e sono profondamente amareggiato dal modo con cui la mia Chiesa gestisce il tremendo e dilagante scandalo della pedofilia.
Si scopre oggi che nell’arco dell’ultimo mezzo secolo si è verificata una grande quantità di casi di pedofilia praticata da membri del clero (o da appartenenti ad istituzioni religiose cattoliche) a danno di bambini e di adolescenti. Il fenomeno è apparso ben presto di proporzioni enormi, rivelando una diffusione inimmaginabile: è esploso dapprima negli Stati Uniti, poi ha coinvolto il Canada; in seguito ha investito l’Europa (Irlanda, poi Germania, poi Italia); e, a questo punto, non è improbabile che la frana si allarghi ad altri Paesi europei ed extraeuropei (già arrivano notizie allarmanti dalla Norvegia, dal Messico, dal Sudafrica).
Non mi interessano le conseguenze economiche che la Chiesa cattolica giustamente subisce e che – pur comportando un imponente dissanguamento patrimoniale che distoglie consistenti risorse economiche dalle finalità istituzionali della Chiesa – riguardano la ovvia necessità di risarcire i gravissimi danni prodotti alle vittime. Mi interessano, invece, la obiettiva gravità dei fatti e la linea difensiva adottata dalla mia Chiesa: una linea volta anzitutto a minimizzare, affermando che tal genere di fatti è ampiamente diffuso nella società di oggi. Come se dal cristiano (ed in particolare dal prete) non ci si dovesse attendere una particolare limpidezza di comportamenti ed un senso di responsabilità superiore alla media della popolazione. Mi addolora, in particolare, la disinvoltura con cui oggi si parla – nelle alte sfere della gerarchia cattolica – di “tolleranza zero” quando fino a ieri si è adottata, nei confronti di quell’orrendo fenomeno delinquenziale, un’ampia e sistematica tolleranza, consistente nel limitarsi a trasferire (talvolta imponendo, tutt’al più, un mero trattamento psicologico) il prete colpevole in un’altra parrocchia o in un altro istituto religioso: favorendo in tal modo – con incredibile insipienza – una “metastasi” che diffondeva largamente il “cancro”.
Sta emergendo, inoltre, un particolare impressionante: la mia Chiesa ha sempre evitato di informare di quei delitti le autorità giudiziarie dei Paesi in cui venivano commessi; ed anzi, esisteva persino una severa normativa canonica (emessa anni fa dall’ex Sant’Uffizio, oggi Congregazione per la Dottrina della Fede) che imponeva il più assoluto silenzio sui delitti in questione e che comminava addirittura la scomunica a chi avesse lasciato trapelare il terribile segreto all’esterno della struttura ecclesiastica. Quindi anche la denuncia all’autorità giudiziaria competente era rigorosamente vietata.
Tutto ciò è gravissimo. In qualunque tipo di società civile causerebbe, secondo i comuni criteri di correttezza, dimissioni a valanga. Eppure ad altissimi livelli ecclesiastici si parla sprezzantemente di “chiacchiericcio”, come ha detto l’ex segretario di Stato, il card. Angelo Sodano. È ben vero che la stampa ci sguazza; ma ci sguazza non solo per gusto scandalistico, bensì perché si tratta di cose che interessano fortemente genitori ed educatori (specialmente quelli che confidavano nella correttezza educativa delle istituzioni cattoliche); e, inoltre, perché la linea seguita dalla mia Chiesa in questa vicenda è – a mio modesto avviso – una linea inaccettabile, debolissima e, oltre tutto, controproducente, perché suscita la netta impressione che si voglia sopire, impedire critiche, imporre il silenzio.
Io ho fatto il giudice per tutta la vita (ora sono in pensione) e tale atteggiamento della mia Chiesa mi ferisce profondamente perché è in aperto contrasto con le esigenze della giustizia, che sono esigenze di verità. Inoltre, come cristiano, rilevo che nella tristissima vicenda io non ho mai – dico mai – sentito citare dalla mia Chiesa una frase fortissima che Cristo ha detto proprio in relazione a casi di questo genere. La frase è nel Vangelo di Matteo, cap.18, versetti 6 e 7: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato negli abissi del mare”. È un’immagine durissima, che è – senza dubbio – simbolica (Cristo non intendeva, certo, approvare la pena di morte); ma essa esprime con plastica efficacia, e con infinito amore per i più piccoli e i più indifesi, la enorme gravità di simili delitti; una gravità che la normativa emanata a suo tempo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e l’attuale comportamento della mia Chiesa non sembrano, purtroppo, cogliere pienamente. Occorrerà che la Chiesa cattolica, a tutti i livelli, faccia un profondo esame di coscienza ed abbia il coraggio e l’umiltà di accettare con prontezza e fino in fondo il messaggio di Cristo.
* Già magistrato di Corte di Cassazione, autore di importanti studi sull’obiezione di coscienza
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