L’insegnamento della religione cattolica tra mutamento sociale e formazione dei docenti. Una lettura sociologica della Nota Cei sull'Irc
ROMA-ADISTA. La Nota pastorale sull’Insegnamento della religione cattolica (Irc) pubblicata dalla Cei il giorno 11 del mese di dicembre 2025 si colloca in un contesto di profondo mutamento sociale, culturale e istituzionale (https://www.chiesacattolica.it/nota-pastorale-linsegnamento-della-religione-cattolica-laboratorio-di-cultura-e-dialogo/). La Chiesa italiana riconosce esplicitamente di vivere dentro un cambiamento d’epoca, segnato da pluralizzazione religiosa, migrazioni, individualizzazione dei percorsi di vita, crisi delle agenzie educative tradizionali e crescente secolarizzazione.
La Nota, pur nella sua struttura teologico-pastorale, offre numerosi spunti sociologici: l’attenzione alla complessità delle nuove generazioni, la consapevolezza della trasformazione della scuola, la necessità di un dialogo interculturale e interreligioso, e la centralità della figura dell’insegnante di religione come mediatore culturale. Tuttavia, il dibattito emerso durante il convegno dei docenti dell’Issr dell’area casertana a Capua del 12 dicembre mostra come la ricezione del documento non sia affatto neutra: essa si intreccia con tensioni storiche, politiche e istituzionali che attraversano da decenni il sistema educativo italiano.
Durante il convegno, il salesiano prof Roberto Spataro ha sostenuto che i vescovi dovrebbero chiedere maggiore sostegno(anche economico) alle scuole paritarie per garantire una formazione adeguata ai futuri docenti di religione. Questa posizione si inserisce in una lunga tradizione ecclesiale che, soprattutto negli anni della presidenza Ruini, il quale più che da vescovo ha agito come capo di una parte politica, ha visto nella difesa e nel finanziamento delle scuole cattoliche una priorità politica. Da un punto di vista sociologico, a mio avviso, questa impostazione presenta almeno tre criticità: la prima è che il sistema nazionale di istruzione si fonda su un equilibrio delicato tra scuola statale e scuola paritaria. Quando la richiesta di finanziamenti viene percepita come sbilanciata a favore delle scuole cattoliche, si genera un conflitto simbolico e politico che mira la legittimazione dell’Irc nella scuola pubblica. La seconda è l’idea che la qualità dei futuri docenti dipenda dal sostegno economico alle scuole paritarie ripropone un modello di formazione clericale-centrico, in cui la Chiesa controlla direttamente i percorsi formativi. Ma la Nota Cei stessa riconosce che la maggioranza degli insegnanti di religione è laica, radicata nella scuola statale e portatrice di competenze pedagogiche e sociali che non possono essere subordinate a logiche istituzionali di parte. La terza criticità è che la qualità dell’Irc non dipende primariamente dai finanziamenti alle scuole cattoliche, ma dalla capacità di formare docenti capaci di leggere criticamente la società contemporanea. Gli insegnanti di religione (Idr) non dovrebbero avere solo una competenza teologica (in molti casi manca anche quella) ma interdisciplinare perché oggi affrontano problemi che non sono teologici(poco o nulla interessa dei Concili o delle nature di Gesù), ma sociali come la solitudine e il disagio adolescenziale, multiculturalità e pluralismo religioso, conflitti valoriali, fragilità familiari, povertà educativa. In questo quadro, una formazione centrata su contenuti astratti, dottrinali o spiritualistici rischia di essere inefficace. Ricordo la formazione di alcuni uffici scuola diocesani che proponevano ai loro insegnati di religione figure di santità che oggi nulla o quasi hanno da dire alle nuove generazioni. Gli insegnanti di religione non sono chiamati a ripetere la dottrina, ma a interpretare la complessità del vissuto giovanile.
La Nota Cei insiste anche sulla libertà di scelta e sulla laicità dell’Irc. Tuttavia, la legittimazione sociale dell’insegnamento dipende da un fattore decisivo: la percezione della sua utilità culturale e sociale. Se l’Irc viene percepito come una catechesi mascherata, uno strumento politico della Chiesa e una disciplina astratta e lontana dai problemi reali allora perde credibilità. Se invece viene percepito come spazio di dialogo, luogo di confronto critico, strumento di comprensione del mondo contemporaneo allora acquista valore anche per studenti non credenti o appartenenti ad altre religioni. La sociologia dell’educazione potrebbe suggerire che il futuro dell’Irc non dipenderà dai finanziamenti alle scuole paritarie, ma da alcuni fattori chiave come la capacità di formare docenti competenti sui temi sociali contemporanei, la capacità della Chiesa di accettare una maggiore autonomia culturale degli Idr, la capacità dell’Irc di essere percepito come un servizio pubblico, non come uno strumento di parte. L’Irc potrà essere davvero un laboratorio di cultura e dialogo solo se saprà emanciparsi da logiche politico-istituzionali del passato e investire con decisione nella formazione sociale, interculturale e pedagogica dei suoi docenti.
* Arturo Formola è docente di Sociologia generale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Interdiocesano, Capua
* Immagine attribuita a Clio, tratta dal sito Wikimedia Commons, licenza e immagine originale
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