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Il miracolo superfluo Evangelizzare il post moderno

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 78 del 16/10/2010

I cristiani impegnati a diffondere il messaggio di Gesù sono chiamati ad affrontare il problema della ricerca del linguaggio idoneo a renderlo comprensibile a interlocutori diversi nello spazio e nel tempo. Oggi si pone in forme più complesse di ieri, perché sul messaggio originario si sono accumulati secoli di metafore e di definizioni, di sistemi teologici e studi esegetici, di rituali e modelli di predicazione. Lo falsificano secondo alcuni, lo mistificano secondo altri, rendono certo problematica la ricerca dell'autenticità dei suoi contenuti.

Non si nasconde queste difficoltà Gilberto Squizzato nel suo Il miracolo superfluo. Perché possiamo dirci cristiani, scritto per raccontare il Vangelo di Gesù di Nazareth ai suoi figli, ormai adulti (ai quali ha “risparmiato” il battesimo per non violare la loro libertà di scelta), cui vuole offrire una chiave di lettura significativa dentro il contesto della cultura post-moderna.

Per farlo, a differenza di altri che scelgono la via di presentare un Gesù di comodo, non solo affronta gli interrogativi e le critiche dei tradizionali avversari del cristianesimo, ma si cimenta con gli esiti della cultura post-moderna che lascia solo e senza speranze l'uomo.

A quest'uomo i cristiani non possono proporre una fede razionalizzata secondo i canoni della cultura greca, come pensa anche Benedetto XVI. All'inizio, essa consentì al Vangelo di superare i confini dell'ebraismo, oggi rischia di diventare una porta stretta capace di impedire agli uomini del nostro tempo l'incontro con Gesù. Per restare fedele al suo messaggio bisogna assumersi oggi la responsabilità di trasgredire, come fecero i cristiani greci nei confronti degli ebrei cristiani.

Squizzato se l'assume nel suo originale tentativo di tradurre le parole più ostiche della tradizione, come anima, redenzione, sacrificio, peccato, salvezza, resurrezione, facendo i conti con la scienza e le sue “verità” muovendo dalla consapevolezza che la verità di “fede” è una verità personale, soggettiva, parziale, storica, diversa da individuo a individuo, “esistenziale”, di cui si può rivendicare il valore. Non è “meno verità” di altre.

Per farlo sceglie la difficile via di un commento puntuale del Credo apostolico, codificato nel 325 a Nicea. Ne rivisita, in un linguaggio comprensibile, tutti i “capitoli”, a cominciare dal credo in Dio Padre, in Gesù suo figlio e nello Spirito Santo: nel loro essere la Trinità.

Sottolinea che essi non sono “oggetto” della fede, ne sono il “fondamento” che giustifica gli altri contenuti. Si crede, invece, la Chiesa, non nella Chiesa. Lo stesso vale per le altre “verità” che rivisita tutte, fino alle più ostiche all'uomo post moderno: la resurrezione della carne, la comunione dei Santi, la vita eterna, la verginità di Maria, la discesa dello Spirito, la nascita della Chiesa, i sacramenti. Affronta poi la contrapposizione fra “creazionisti” ed “evoluzionisti", riconoscendo Dio come Mistero indicibile e giungendo ad affermare che, grazie a Gesù di Nazareth, gli si può confidenzialmente dare del Tu. Da questa premessa muove per affermare, da un lato, che ha un senso la vita dell'uomo, che chiama miracolo superfluo perché dono non necessario di un atto di amore, e per rivendicare, dall'altro, ai cristiani il diritto di vivere come se Dio esistesse.

Di questi cristiani a suo avviso è costituita la vera Chiesa “cattolica”, cioè universale, la cui “continuità” con la successione apostolica non è frutto dell'istituzione cattolica romana, ma della testimonianza di tutti gli evangelizzatori che attraverso i secoli hanno permesso al kerigma di Gesù di giungere sino a noi annunciandolo con la parola ma ancora più con la credibilità della loro vita.

Oggi il loro impegno e la loro responsabilità stanno nel ricambiare l'amore che Dio ha per loro con il loro amore per gli uomini imparando a donare, gratuitamente, contro la logica del mercato che trasforma in merce le persone, il loro lavoro, le loro capacità, le loro vite, e lottando contro i nuovi idoli frutto del nuovo paganesimo, diffuso nella cultura post moderna matrice dell'alienazione delle masse, schiavizzate dall'idolatria dei prodotti, provocata da tale logica: una malattia mortale dell'anima.

Per curarla, sostiene Squizzato, sono necessarie una nuova, decisa e intransigente “teologia della liberazione”, ...una nuova rivoluzione culturale e spirituale.

Per promuoverle il cristiano non possiede né una specifica dottrina sociale cristiana, né maggiori doti di altruismo degli altri uomini. Dispone però, per fede, di una motivazione del tutto particolare: egli sa che Gesù il Signore, il Vivente, è presente nei poveri, nei miserabili, in coloro che soffrono.

Questa perfetta identificazione con i poveri che Gesù ci ha lasciato è l'unico modo, secondo l'autore, per rendere credibile l'annuncio cristiano proclamato nel credo di Nicea da lui rivisitato.

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