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Per un’agenda teologica 2011-2013 del FMTL

Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 29/01/2011

INTRODUZIONE

- L’obiettivo di questo seminario del FMTL, realizzato nel contesto del FMS, ambito privilegiato unico per la teologia, è quello di elaborare un’“agenda” per la teologia a livello planetario. (…).

- Dobbiamo chiarire se questa agenda teologica del FMTL debba essere pensata in funzione delle comunità di fede e di appartenenza religiosa (cristiane e non cristiane) o in funzione di una teologia con responsabilità macroecumenica, inter-religiosa, sovra-religionale, planetaria e «assiale». O combinando entrambe le responsabilità. In ogni caso, come FMTL, il nostro lavoro teologico vuole essere multi-religioso per principio, malgrado, di fatto, manchi ancora molto per la realizzazione di questa dimensione.

- Stiamo pensando non ad una “agenda teologica del FMTL” unica e vincolante, ma ad un insieme ampio di priorità tematiche e di proposte operative (consultazioni teologiche, collaborazioni inter-istituzionali, pubblicazioni collettive...) patrocinate dal FMTL, come suo contributo per far avanzare le nostre teologie ad un livello planetario nei prossimi (due?) anni, in cui prenderemmo in considerazione le frontiere teologiche più urgenti. Non pretendiamo che tutti lavorino su tutti i temi.

- Non abbiamo né cerchiamo un linguaggio comune, un’unica categorizzazione universale, impossibile epistemologicamente. Cerchiamo una piattaforma ampia in cui con linguaggi e categorie differenti si possa intendersi, dialogare e, incorporando le differenze, collaborare rispetto ad alcune priorità assunte come comuni.

 

LO SCHEMA IN CUI COLLOCARE QUESTE IDEE

Il FMTL non parla per né a nome di tutte le teologie, ma a partire da e per le «teologie liberatrici contestuali che lavorano per un ‘altro mondo possibile’». Vogliamo assumere tale constatazione proprio come schema di pensiero in cui ordinare la nostra proposta:

- teologie LIBERATRICI, animate dal «principio liberazione», che concepiscono la realtà come storia, come processo utopico-liberatore, a partire dall’opzione per i poveri (che include “povertà” assai diverse);

- teologie CONTESTUALI, che, incarnate nei loro contesti locali, partono dalla realtà e tornano ad essa con un impegno militante di prassi di trasformazione storica, tanto locale quanto globale;

- teologie DELL’ALTRO MONDO POSSIBILE, che chiameremo ASSIALI, cioè quelle che riconoscono il proprio centro di gravità più sul lato del futuro che su quello del passato, che assumono già coscientemente il fatto che ci troviamo in un tempo assiale di rotture e di nuove dimensioni e che tentano di costruire realmente l’altra teologia possibile, in mezzo agli tsunami culturali e paradigmatici che veniamo sperimentando.

Struttureremo la nostra proposta a partire da questo stesso schema tripartito, su queste tre dimensioni della nostra teologia, per motivi di semplicità e chiarezza, e solo come un modesto punto di partenza per il dibattito collettivo.

 

PRIORITÀ PER UN’AGENDA DI LAVORO PER I PROSSIMI (DUE?) ANNI IN TRE DIMENSIONI

Nella dimensione liberatrice

Crediamo che, malgrado la nostra teologia liberatrice sia ancora giovane, la sua consistenza, il suo significato, le sue linee fondamentali abbiano raggiunto una maturità da vari decenni e, nonostante i cattivi tempi che corrono, conservino la loro solidità e non siano in pericolo. Il fondamento della teologia liberatrice, il «principio liberazione», gode di buona salute e non è motivo di preoccupazione in sé in questo momento. Sarà malgrado ciò necessario confrontare i nostri fondamenti classici con le nuove linee accademiche in materia di filosofia politica e sociologia, che propongono già da tempo una riconsiderazione della politica precisamente intorno all’«idea di Giustizia» (Rawls, Sen)? Non dovremmo essere fortemente presenti in questo dibattito? (…).

A livello della pratica quotidiana, ciò che più esige il nostro accompagnamento è la crisi economica mondiale. Dobbiamo denunciare con maggiore energia profetica e maggiore penetrazione a livello di teoria economica il «giro di vite» che la dominazione economica dei «mercati», come sono eufemisticamente definiti - in mano alle grandi multinazionali e al sistema economico globale -, sta operando sui poveri e sulle classi medie, nel mezzo di una egemonia culturale che essa è riuscita a imporre, con i mezzi di comunicazione a suo servizio, presentandosi come un sacrificio inevitabile e benefico per l’umanità. Le Teologie della Liberazione, in quanto tali, hanno l’obbligo di sfidare questa egemonia culturale neoliberista che sottomette i poveri e di accompagnare più da vicino e più efficacemente le iniziative e i movimenti popolari e anche governativi attualmente in resistenza (in America Latina, concretamente, viviamo questo nell’ALBA e nel movimento bolivariano). Abbiamo forse bisogno di rivisitare teologicamente il tema delle frontiere e dei vincoli tra fede e politica, e della nostra relazione con le mediazioni civili e politiche per «l’altro mondo possibile» – e per il Regno – che già si danno autonomamente nella società, di fronte alle quali non possiamo rimanere passivamente ai margini.

Su un terreno più teorico, richiede urgente attenzione l’incontro, l’innesto, la ri-elaborazione della dimensione liberatrice della teologia, del «principio liberazione», nei nuovi paradigmi dell’attuale «epoca assiale» che attraversiamo, per preparare la teologia liberatrice della nuova epoca, la teologia di una liberazione olistica che sia realmente assiale, o post-assiale. Questa rilettura, che è già iniziata, dovrebbe essere incorporata alla nostra agenda operativa per i prossimi anni. (…).

 

Nella dimensione contestuale

La dimensione contestuale della nostra teologia riveste quest’ultima di volti e urgenze plurali, secondo l’irriducibile varietà di luoghi geografici, sociali ed umani in cui ci muoviamo.

(…) Di fronte a un’agenda globale, il FSM è un luogo ideale per cogliere le urgenze maggiori del nuovo contesto a livello planetario. In questo seminario possiamo discernere e scegliere in maniera consensuale le urgenze che ci appaiono prioritarie tra quelle che abbiamo colto nel FSM. Noi suggeriremmo solo, appena come un punto di partenza per il dibattito, queste priorità: le vittime della crisi economica mondiale; le vittime (umane o meno) dell’imminente disastro climatico (la Terra, l’acqua, la comunità della vita, l’umanità, il patrimonio culturale e spirituale accumulato...), le vittime dei conflitti inter-culturali e inter-religiosi dello scontro di civiltà; le vittime delle guerre e delle armi.

 

Nella dimensione «assiale»

Dopo quasi 50 anni di teologie liberatrici e dopo 10 anni di Forum Sociale Mondiale, crediamo che vi sia sufficiente chiarezza per dare un notevole impulso a questa terza dimensione, sul cui asse si viene curvando da tempo l’orizzonte. L’«altro mondo possibile» non è solo quello che con il nostro sforzo vogliamo costruire; è anche una trasformazione culturale radicale che stiamo sperimentando, come risultato di un concorso di forze che non conosciamo né potremmo controllare, un vero tsunami culturale. Ci troviamo – come stanno annunciando i migliori osservatori - in un «tempo assiale» (il tempo cioè di una nuova configurazione religiosa e culturale dell’umanità, ndt) (…). Solo passando decisamente per questa coscienza di assialità, potremo aiutare a costruire l’altro mondo possibile e la sua corrispondente teologia, l’«altra teologia possibile». Come teologi/ghe, dobbiamo optare più decisamente per questo tempo nuovo che già viviamo e, come FMTL, assumere coscienza del suo carattere autenticamente «assiale», e dare priorità, in questo secondo decennio del FMTL-FSM, al compito di accompagnare e favorire questa trasformazione assiale, con tutte le trasformazioni e le rotture che saranno necessarie, che proponiamo di raggruppare qui in quattro nuclei paradigmatici:

 

- Il paradigma di genere

Tale paradigma accompagna le teologie liberatrici dal principio facendosi presente nei movimenti e nelle teologie femministe (…) con un insieme di strumenti peculiari (come la categoria di analisi del «genere», trasformatasi in uno strumento di riferimento obbligato per tutta la teologia) e un ventaglio di sviluppi tematici che ne hanno approfondito e arricchito notevolmente la proposta, sulla corporalità, sulla sessualità, sugli orientamenti sessuali, sul razzismo, sull’etno-razzismo, sulla violenza di genere, sull’emarginazione della donna, sulla femminilizzazione della povertà, sul binomio eco-femminismo, ecc. Si può dire che, da vari decenni, si tratta di uno dei filoni più efficienti e attivi nell’insieme del movimento delle teologie della liberazione. Non si tratta di un campo tematico settoriale, ma di una prospettiva di teologia fondamentale, che implica una trasformazione trasversale di tutto il campo teologico e di un coinvolgimento globale della vita: dalla pratica più quotidiana fino all’immagine stessa di Dio e ad altri simboli religiosi, tutto viene trasformato da questa nuova prospettiva di superamento del patriarcalismo (…).

Per quanto questa prospettiva e la Causa che la muove non siano «questione di donne », ma una realtà profondamente umana e umanizzatrice, e per quanto non sia necessario essere donna per sentire la necessità urgente di assumere con decisione questa Causa, crediamo che siano soprattutto i gruppi specifici su questa linea teologica, presenti in questo Forum, a poter proporre con miglior cognizione di causa le priorità (tanto nei contenuti tematici quanto nelle prospettive ermeneutiche) che dovremmo assumere per l’agenda teologica globale che intendiamo elaborare in questo FMTL. E ciò non solo perché si tratta di esperte in teologia femminista, ma perché sono le donne a soffrire di più sulla propria carne il sessismo, e perché le teologie della liberazione, in quanto tali, non solo devono parlare a favore dei poveri, ma anche accogliere le voci delle persone che l’oppressione mette a tacere.

 

- Il paradigma pluralista

L’inclusivismo attualmente egemonico nelle Chiese e nelle teologie non è altro che una forma di esclusivismo attenuato. Dobbiamo finire di attraversare il ponte e passare nel nuovo territorio emergente, il «pluralismo di principio». Le nostre religioni sono state elaborate in un tempo in cui l’esclusivismo, l’assolutezza e l’unicità di ogni religione erano possibili. Questo tempo è finito, per quanto le religioni si impegnino a prolungarlo, con la complicità delle teologie che non si sono ancora risvegliate. (…).

Le nostre teologie sono per la maggior parte ancora confessionali, inclusiviste e non poche volte cripto-esclusiviste; non sono preparate a dialogare e a collaborare/interscambiare con le altre religioni su un piano di eguaglianza; non esplorano la possibilità di fare teologia a partire da una responsabilizzazione planetaria inter-religiosa, unico modo di rendere possibile la convivenza fraterna delle religioni e un’alleanza tra tutte loro in favore della Pace e del Bene Comune dell’Umanità e del Pianeta. Solo una teologia di questo tipo, assialmente «pluralista», che abbandoni definitivamente gli esclusivismi, le superiorità, le auto-attribuzioni di unicità e assolutezza e la conseguente visione proselitista del mondo potrà essere teologia «assiale», del nuovo tempo, una teologia che assuma lucidamente gli assi attorno a cui già sta girando il mondo attuale e si apra a un altro tipo di coscienza. Riconvertire tutta la teologia tradizionale nella nuova prospettiva pluralista potrebbe essere un compito prioritario in cui potrebbero convergere molti di noi in questi (due?) prossimi anni.

E per quanto si esca dalla nostra area strettamente teologica, dovremmo chiederci se il FMTL possa studiare la possibilità di promuovere un Forum Macroecumenico delle religioni e tradizioni spirituali, perché si uniscano per dare risposta all’urgenza climatica ed economica attuale.

 

- Il paradigma ecologico

Una buona parte delle nostre teologie continua a muoversi nell’immaginario elaborato dai racconti mitici religiosi della «storia della salvezza (umana)», rivelata negli ultimi quattro millenni, ignorando ciò che oggi sappiamo sui 13.700 milioni di anni di storia cosmica di questo universo. Buona parte delle nostre teologie continua ad essere ancora dualista, immaginando di trovarsi dinanzi a un secondo piano superiore, soprannaturale, divino, eterno, per il quale bisogna vivere, rispetto a questo piano inferiore in cui siamo, naturale, maligno e tentatore, effimero, semplice dispensa materiale di risorse utilizzabili. Le nostre teologie continuano a parlare - a volte con un certo pudore - di una salvezza postmortale celestiale dell’essere umano, come se questo fosse l’unico obiettivo della vita umana. Continua a trattarsi di una teologia antropocentrica, che ci confina nel nostro software particolare separandoci e alienandoci dalla Terra e dal cosmo. La nostra teologia non cesserà di legittimare la distruzione della natura finché non cambierà visione. Non smetteremo di distruggere la natura finché non avremo acquisito la convinzione religiosa del fatto che siamo parte di essa.

La maggior parte delle nostre religioni e teologie confina ancora il divino e il sacro nella cosiddetta «trascendenza», concependo Dio come «theos», come un «Signore» lì fuori, lì sopra, lasciando questo mondo privo di divinità e anche di sacralità, e assetato di nuovo incanto.

Il pianeta si trova di fronte alla sesta estinzione di massa della vita. Oggi a causa non di un asteroide, ma dello stesso essere umano, che, con il suo sistema di vita, si è trasformato di fatto in una forza geologica distruttrice della biodiversità a un ritmo mille volte maggiore rispetto a quanto accadeva prima dell’apparizione dell’essere umano. A causa della contaminazione atmosferica, stiamo provocando - ormai è quasi certo - un riscaldamento planetario superiore ai tre gradi considerati il limite al di là del quale si scatenerà un caos irreversibile che determinerà un’estinzione di massa della vita e dell’umanità stessa. E le nostre religioni e teologie, che non hanno denunciato questo orientamento suicida nel corso dei secoli passati, ancora oggi si mostrano reticenti, lente ad assumere questa questione di vita o di morte, a cui già si devono ogni anno centinaia di migliaia di vittime, le quali si calcola che entro 20 anni arriveranno al milione.

Troppa teologia ancora pensa che l’ecologia sia importante, ma rappresenti solo un capitolo aggiuntivo da inscrivere nel vecchio schema di pensiero, lo stesso che ci ha condotto all’attuale ecocidio. Abbiamo bisogno di sviluppare questa teologia con basi nuove a cui abbiamo già dato avvio; una teologia oiko-centrata, che rompa con la vecchia distinzione tra naturale e “soprannaturale”, e respinga l’idea strettamente trascendente della divinità che desacralizza e spoglia di dimensione divina la natura; una teologia che dialoghi con l’«ecologia profonda» e smetta di intendere antropocentricamente la realtà come «storia della salvezza dell’umanità», orientandosi verso un oiko-centrismo... Una teologia, cioè, assialmente nuova, concepita a partire da questi nuovi assi.

Dovremmo concordare l’introduzione nella nostra agenda teologica immediata di tale priorità urgentissima dello sviluppo di questa teologia già avviata. Le teologie indigene e femministe hanno molto da dire e da offrire in questo campo.

- Il paradigma post-religionale

È diventata ormai luogo comune, anche nella società civile, l’idea che la crisi della religione già raggiunga mezzo pianeta, mentre nell’altra metà una reviviscenza religiosa provoca un’esplosione di nuove Chiese, religioni, spiritualità sincretiche e una valanga neo-pentecostale... Di quale di queste due metà dell’umanità sarà il futuro? I dati assai contraddittori che osserviamo rendono possibili le diagnosi più diverse. Ma alzando lo sguardo verso il tratto più ampio possibile del fiume della storia, sembrerebbe che, malgrado tutti i meandri e i vortici, il fiume nel suo insieme volga le sue acque verso un’unica direzione globale... Le popolazioni che escono dalla povertà e accedono all’educazione e alla cultura urbana moderna ne soffrono subito le conseguenze a livello di religiosità tradizionale.

Contando come mai prima d’ora sull’appoggio di un ampio spettro di scienze della religione, si sottopongono a nuovo scrutinio la natura e l’origine della religione e i suoi meccanismi di funzionamento; già non la si considera più come la conoscenza privilegiata e lo strumento di spiritualità prioritario o unico come è sempre avvenuto; si distingue sempre più spesso tra religione e spiritualità, e si diffonde ovunque la tesi che le «religioni» - non la religiosità, non il «rilegamento» (il termine “rilegamento” - dal latino religare: unire fortemente, vincolare, da cui deriverebbe la stessa parola “religione” - sta ad indicare il nostro vincolo con quella profondità che ci fa essere, ndt) - sono anch’esse una costruzione umana, che risale al tempo della rivoluzione agraria, di matrice rurale, e che ha una possibile data di scadenza legata alla scomparsa di questa stessa epoca agraria, scomparsa che molti osservatori credono si stia verificando nell’attualità. La spiritualità, la religiosità, il «rilegamento» è essenziale all’essere umano; le religioni, le forme concrete che tale «rilegamento» ha assunto in epoca agraria non lo sono, possono trasformarsi radicalmente, o anche sparire.

Questa visione è già presente in molti ambienti culturali e nelle analisi antropologiche civili delle nostre società, ma non nella prospettiva delle istituzioni religiose, né in quella delle masse popolari con minore accesso all’educazione. Si tratta di una delle sfide più importanti, in cui le religioni si giocano quasi il tutto per tutto. Si impone l’urgenza di riconsiderare la religione (una nuova riflessione teologica sulla religione, una nuova «teologia della religione»), di studiare a fondo la possibilità del suo annunciato superamento (verso un essere umano a-religioso, o sovra-religionale?), e di porre la teologia effettivamente al servizio del «rilegamento», non delle religioni, come obiettivo ultimo.

Tutta questa problematica (che chiameremo «post-religionale» anziché post-religiosa, in quanto le persone non perdono la loro dimensione religiosa profonda quando abbandonano le modalità delle religioni), include, tra i suoi molteplici contenuti, la riconsiderazione del teismo. Assunto come inconfutabile e imprescindibile in buona parte delle tradizioni, oggi esso riduce la sua qualificazione epistemologica, non senza che intervenga in ciò la convivenza ora molto stretta tra religioni teiste e non tesiste. L’eclissi di Dio e la crisi della religione hanno già acquisito dimensioni epocali in Europa e nel primo mondo in generale, ma, anche in altri continenti, diversi settori iniziano a sentirle, pur in mezzo all’effervescenza neopentecostale. Non dovremmo ormai porci la necessità di questa nuova riflessione sulla religione stessa, l’urgenza di una rilettura e di una riconversione del religioso verso il «post-religionale» (la spiritualità oltre le religioni)?

In questa sfida, l’esperienza europea ci sembra essere un vero «luogo teologico». (…). Senza dubbio i teologi /ghe europei/e hanno molto da offrire sotto questo aspetto.

 

- Il paradigma epistemologico

L’essere umano sta vivendo un cambiamento in questa dimensione tanto sottile e difficile da cogliere: cambiano il suo modo di conoscere, i suoi presupposti acritici, i postulati e gli assiomi millenari su cui si basava senza saperlo, i modi di inferenza finora utilizzati e le forze e le dimensioni in essi implicate. Una rivoluzione epistemologica che interessa tutta la conoscenza e, mediante questa, tutto il resto.

Per molto tempo ci siamo adagiati su un comodo «realismo ingenuo» che postulava la adaequatio rei et intellectus, una corrispondenza diretta tra quello che pensiamo o esprimiamo e la realtà. Abbiamo interpretato in forma letterale le credenze che veicolano i miti religiosi, come se questi fossero descrittivi della realtà, perché sarebbero stati rivelati dall’esterno da un’autorità assoluta... (…).

In base al nuovo paradigma epistemologico, la nostra conoscenza non descrive la realtà ma semplicemente la modella, e la conoscenza religiosa è anch’essa una costruzione umana, elaborata sulla base di metafore approssimative, che con il tempo diventano obsolete e persino nocive. (...). Come in altri tempi e in altro senso chiese Kant, il nuovo paradigma ci chiede di «risvegliarci dal sogno dogmatico religioso» che sognavamo finora. (…). In non pochi luoghi del pianeta si sta sperimentando una rottura nella trasmissione delle religioni: nuove generazioni si sentono incapaci di accettare l’eredità di quelle precedenti. La religione non potrà più consistere nel «credere», nel «sottomettersi» a una rivelazione venuta da fuori, né nell’accettare verità o dottrine... Forse stiamo andando verso una religione senza verità, senza dottrine, ridotta alla sua essenza: il «rilegamento», la spiritualità... Tutto ciò che è stato millenariamente elaborato ed espresso mediante quella epistemologia ancestrale deve essere riformulato.

Il crescente pluralismo culturale e religioso delle nostre società aggiunge un’altra dimensione alla nuova prospettiva epistemologica: l’interculturalità. Siamo diventati coscienti della limitatezza di ogni tradizione culturale, come pure della necessità di compensare la sua atavica tendenza centripeta esclusivista. Ha avuto fine il mondo della uniculturalità imposta o egemonica. Dobbiamo passare definitivamente all’interculturalità, o alla multiculturalità... C’è modo di trovare un terreno (categorie, linguaggio, epistemologia...) comune in cui ci si possa incontrare per dialogare, per teologizzare, e per la prassi storica di liberazione?

Le nuove scienze, soprattutto la meccanica quantistica, la cosmologia e le scienze della mente, continuano a diffondersi in maniera inarrestabile nell’opinione pubblica e nei mezzi di comunicazione (...). Molte delle domande religiose classiche sembrano ora avere a che fare più con queste nuove scienze che con la religione. Molte persone, quotidianamente, optano per affidare il senso della propria vita più alla nuova scienza che alla religione. Si rende necessaria una riconsiderazione della teologia in dialogo con la scienza. È un tema scottante e una priorità improcrastinabile.

Una rivoluzione epistemologica ci cade addosso, spingendoci a una riconsiderazione delle certezze di oggettività che pensavamo di avere nella religione e ad una reinterpretazione della religione più nettamente come «rilegamento», libera da verità, dottrine, dogmi, morali, canoni, istituzionalizzazioni… Un cambiamento veramente assiale. Non è un buon momento per proporci di affrontarlo a livello globale?

Senza dubbio, vi sono molte altre prospettive possibili, molte altre categorizzazioni, e anche molte altre visioni locali sulle priorità globali, da cui questa proposta potrebbe essere completata e corretta. Dalla EATWOT/ASETT, con tutta modestia, offriamo questa nostra visione, per il dibattito nel FMTL, così come ci è stato sollecitato.

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