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PEDOFILIA ECCLESIASTICA: ANCHE I ROSMINIANI INGLESI NELLA BUFERA

Tratto da: Adista Notizie n° 55 del 16/07/2011

36233. LONDRA-ADISTA. «Era il mio parroco e un mio amico. Poi ho scoperto che era un pedofilo». Non ha cercato eufemismi né giri di parole il giornalista Peter Stanford, che da più di trent’anni scrive di religione e di mondo cattolico per alcune delle più importanti testate britanniche, nell’esprimere l’incredulità e l’amarezza provate apprendendo che padre Kit Cunningham, religioso rosminiano a capo della prestigiosa parrocchia londinese di Sant’Eteldreda, è accusato insieme ad altri tre membri della sua congregazione di aver abusato di bambini. I fatti risalirebbero agli anni ’60 e ’70 e sarebbero avvenuti a più riprese e a danno di diversi minori nelle due scuole, gestite dall’Istituto della Carità, di Grace Dieu Manor, in Inghilterra, e di St. Michael’s nell’allora Tanganica (oggi Tanzania). Nel suo lungo articolo comparso sull’Observer di domenica 19 giugno, Stanford ha confidato ai lettori di aver appreso, dapprima senza riuscire a credervi, dell’oscuro passato di padre Cunningham, cui era legato da un’amicizia decennale, dopo la morte di quest’ultimo, avvenuta a 79 anni il 12 dicembre 2010. Il giornalista ha raccontato di essere stato contattato via e-mail da una della vittime di Cunningham nel gennaio di quest’anno, in seguito alla pubblicazione di un suo appassionato necrologio del religioso rosminiano. La corrispondenza con l’ex allievo di padre Cunningham era poi proseguita nei mesi successivi fino a quando Stanford non si era definitivamente convinto, oltre ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza di «questo parroco amabile, generoso e scrupoloso che conoscevo da anni». L’occasione per affrontare pubblicamente l’argomento degli abusi commessi dal parroco di Sant’Eteldreda e dai suoi confratelli è stata offerta al giornalista dalla messa in onda, lo scorso 21 giugno, del documentario Abused: Breaking the Silence, che ricostruisce l’intera vicenda e rispetto al quale l’articolo di Stanford ha fatto da anticipazione.

 

Rompere il silenzio

Stanford, non c’è dubbio, deve aver masticato molto amaro nel vedere l’inchiesta televisiva realizzata dalla giornalista della Bbc Olenka Frenkiel, nella quale viene mostrato John Poppleton, una delle vittime di padre Kit, mentre agita di fronte alla telecamera la copia del Guardian contenente il necrologio di cui sopra dicendosi profondamente offeso da tante lodi dispensate all’indirizzo di quello che l’ex allievo dei padri rosminiani definisce semplicemente «un mostro». Poppleton oggi è un uomo di 53 anni che vive negli Stati Uniti, ma all’epoca dei fatti, quando frequentava la scuola gestita dai rosminiani a Soni, in Tanzania, non era che un bambino. Nel documentario ripercorre i vari abusi subiti per compiacere padre Kit, in un universo chiuso e senza scampo che un’altra delle vittime, Rory Johnston, descrive come fatto di «dolore, paura e aggressioni intervallate da “carezze”».

Francis Lionnet, oggi sessantatreenne e residente in Canada, era invece ospite della scuola di Grace Dieu Manor, nel Leicestershire, anch’essa gestita dalla congregazione. «Venivo picchiato regolarmente, come parte di un rituale sadico e sessualmente violento. Eravamo sottoposti ad ispezioni che potevano riguardare qualsiasi cosa, dalle nostre parti intime al nostro pettine, per poi essere picchiati di fronte agli altri bambini».

Un altro ex alunno di Grace Dieu Manor, Donald McFaul, ricorda nel documentario gli abusi e le violenze che dovette subire da parte di p. Bernard Collins all’età di nove anni. Quando suo padre, caso decisamente raro fra quelli presi in esame, protestò con la scuola per il trattamento riservato al figlio, gli venne detto che Collins non sarebbe più tornato a Grace Dieu Manor dopo le vacanze. Al contrario, il religioso rimase per un altro trimestre per poi essere trasferito a Soni, in Tanzania. Fino a quando non ebbe modo di rientrare in contatto recentemente con alcuni suoi ex compagni di scuola, McFaul rimase convinto che padre Collins fosse stato allontanato dagli allievi, mentre di fatto venne solo spostato in un’altra scuola della congregazione.

 

Pentimenti tardivi

Oltre a Cunningham e Collins, le accuse riguardano anche altri due religiosi rosminiani, padre Douglas Raynor e padre William Jackson. Quando, nel 2009, diversi ex allievi delle due scuole incriminate si sono ritrovati grazie ad un popolare social network e hanno cominciato a confrontare i propri ricordi e le proprie esperienze, ne è scaturita la decisione di informare della situazione il provinciale della congregazione rosminiana in Inghilterra, padre David Myers. Questi si mise in contatto con i quattro religiosi accusati di molestie, i quali ammisero le loro colpe e scrissero delle lettere ad alcune delle vittime. Padre Raynor, ormai novantaduenne, dopo aver riconosciuto le proprie responsabilità accettò di lasciare la parrocchia in cui risiedeva. Lo stesso Cunningham, all’epoca ancora in vita anche se ormai a riposo, scrisse a John Poppleton: «È con profonda vergogna che le scrivo per chiederle perdono a causa delle mie azioni inappropriate nei suoi confronti». Come gesto di pentimento estremo, poco prima di morire Cunningham rispedì al mittente l’alto titolo onorifico di Member of the Order of the British Empire, conferitogli dalla corona inglese nel 1998.

Le scuse dei quattro, definite «povere», «vaghe» e «non provenienti dal cuore» da alcune delle vittime intervistate nel documentario, non hanno comunque impedito agli ex alunni della St. Michael’s e di Grace Dieu Manor di continuare a sollevare, di fronte al provinciale inglese, diversi interrogativi riguardanti le coperture e le connivenze instauratesi negli anni nelle due scuole. Alla congregazione veniva anche chiesta una forma di risarcimento economico, che Myers negò esplicitamente alle vittime rispondendo loro per iscritto lo scorso settembre, fra l’altro proprio nei giorni in cui Benedetto XVI, in visita in Gran Bretagna, affrontava in un suo discorso la piaga della pedofilia nella Chiesa esprimendo tutta la sua «profonda pena per le vittime innocenti di questi crimini innominabili». Di qui la decisione di 22 ex allievi di intentare una causa contro l’Istituto della Carità, per veder riconosciute le proprie ragioni anche da un punto di vista legale e per far valere il proprio diritto ad un equo risarcimento.

Ora, grazie al documentario della Bbc, il cerchio attorno ai vertici della congregazione si stringe sempre di più, inchiodandoli alle loro responsabilità. Non a caso, sul sito dei rosminiani inglesi è comparso, nei giorni immediatamente successivi alla messa in onda dell’inchiesta di Olenka Frenkiel, uno stringato messaggio di scuse, firmato da Myers in persona, per il carattere «inadeguato» della risposta data dalla congregazione una volta venuta a conoscenza del caso. «Porgo le mie scuse, senza riserve e a nome dei confratelli rosminiani del Regno Unito, a tutti coloro che hanno sofferto. Simili abusi costituiscono una grave violazione della fiducia che loro e le loro famiglie ci avevano accordato. Siamo inorriditi da ciò che è stato fatto loro». Un orrore che lo scorso gennaio, quando Myers ha celebrato una messa per ricordare la figura di padre Cunningham, evidentemente non si era ancora palesato nell’animo del provinciale inglese. (marco zerbino)

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