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SIRIA: DALLA RIVOLUZIONE POPOLARE NONVIOLENTA A UN’INSURREZIONE «SEMPRE PIÙ MANIPOLATA»

Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 03/03/2012

36562. ROMA-ADISTA. Che qualcosa non funzioni più come dovrebbe all’interno del movimento pacifista italiano era risultato chiaro già dalle polemiche riguardo al sostanziale silenzio mantenuto da tante realtà aderenti alla Marcia Perugia-Assisi di fronte alla recente guerra in Libia (v. Adista nn. 54, 70 e 71/11). Ma oggi, dinanzi all’imminente pericolo di una nuova guerra “umanitaria”, questa volta in Siria – solo momentaneamente scongiurata dal veto di Cina e Russia in Consiglio di sicurezza Onu ­– la frattura si rivela ancora più profonda. È quanto dimostra in maniera assai chiara la lettera aperta di protesta diffusa da un gruppo di associazioni – tra cui Rete Nowar, Peacelink, Un Ponte Per, Rete Disarmiamoli, Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, Rete Romana Palestina – contro l’adesione della Cgil, dell’Arci, delle Acli, della Tavola della Pace a una manifestazione indetta, il 19 febbraio scorso, dal Consiglio Nazionale Siriano (Cns), accusato dai firmatari di «appoggiare la lotta armata» e di sostenere, secondo quanto denunciato dal Rapporto degli Osservatori della Lega Araba in Siria (www.peacelink.it/conflitti/a/35517.html), gruppi responsabili di numerose violenze su civili e militari.

«Non vogliamo assolutamente – scrivono le associazioni nella loro lettera – un’altra guerra “umanitaria” che, come è avvenuto in Libia, dietro la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti e dell’intervento Nato», aggiungendo «alla guerra civile, in corso sul terreno, un altro bagno di sangue molto, molto più grande». Perché, secondo i firmatari, esattamente di questo che si tratta: di «una guerra civile tra due entità armate», il governo di Assad da una parte e l’autoproclamato Esercito Siriano Libero (di cui è alleato il Cns) dall’altra, anch’esso responsabile del massacro dei civili in corso. Le associazioni insistono pertanto sulla necessità di una piattaforma di pace alternativa, che comprenda il cessate il fuoco da entrambe le parti; la condanna di ogni ingerenza militare esterna, diretta e indiretta; il rinnovo della missione degli osservatori internazionali, che siano mediatori neutrali di alto profilo etico nonché attivisti per la pace e i diritti umani; la richiesta di una commissione indipendente nominata dall’Assemblea Generale dell’Onu per l’accertamento delle responsabilità delle violenze; il sostegno al progetto di referendum e di libere elezioni con la presenza di osservatori internazionali accettati dalle parti.

I morti di cui non si parla

Cos’è, dunque, che sta avvenendo davvero in Siria? Lorenzo Galbiati, su Peacelink, scrive che «il popolo, per lo più pacifico e contrario ad Assad, aveva iniziato una rivoluzione nonviolenta» – brutalmente repressa dal governo – sotto la guida del Coordinamento Nazionale Siriano per il Cambiamento Democratico (Cnscd), da cui poi si è separato «un apparato, il Cns, eterodiretto, con il fine di ribaltare il regime di Assad», accompagnato da «un assembramento di gruppi armati formati da ex soldati regolari e da movimenti fondamentalisti riconducibili alla jihad islamica con apporti libici e qaedisti, e probabilmente con l’appoggio di soldati di Qatar e Gran Bretagna». Ed è così che, da una rivoluzione nonviolenta popolare, si è passati «alla controrivoluzione armata etero-diretta»

Sugli «scontri fra esercito e gruppi armati appoggiati dall’estero, e ben installati soprattutto in alcuni quartieri di Homs», insiste anche Marinella Correggia, riferendosi alla «conta dei morti che nessuno fa»: quella delle vittime degli insorti. Il monastero di San Giacomo di Qara, riferisce la giornalista sul Manifesto online il 27/01, sta diffondendo le liste di civili morti e feriti per opera di bande armate, «frutto della “violenza cieca di un’insurrezione sempre più manipolata”», utilizzando come fonti gli ospedali, le famiglie e la Mezzaluna siriana («fra marzo e inizi di ottobre, la lista dei morti civili comprende 372 nomi, fra cui diversi bambini»). Convinta dell’esistenza di «un piano di destabilizzazione» diretto a produrre uno scontro confessionale e la guerra civile «in un Paese che è sempre andato fiero della convivenza»,  la superiora madre Agnès-Mariam de la Croix, palestinese di nazionalità libanese, «sta pensando – scrive Correggia – a un bollettino settimanale che risponda con fatti e nomi di vittime alle false liste di propaganda dell’Osservatorio siriano dei diritti umani basato a Londra», il quale, insieme ai cosiddetti Comitati di coordinamento locale, è «la fonte quasi unica della stampa internazionale e dello stesso Commissariato Onu per i diritti umani».

A differenza dell’altra opposizione (quella nonviolenta, contraria ad ogni ingerenza esterna e impegnata a favore di una rivoluzione democratica progressiva), ed esattamente come il Cnt libico (il Consiglio nazionale di transizione oggi al potere), il Cns rifiuta ogni possibile mediazione: non sembra, del resto, averne bisogno, dal momento che, prosegue Marinella Correggia, «ha trovato molti alleati fra i Paesi occidentali e petromonarchici», ben consapevoli dell’importanza strategica e geopolitica della Siria. Se infatti inglesi e francesi hanno confermato di aver mandato unità ad assistere i ribelli, Obama, sostiene la giornalista, «chiede apertamente di sostenere gli armati anti-Assad e pensa di replicare i successi libici: nessun uomo, nessun morto, ma consiglieri e molti soldi». Senza contare poi la presenza dei mercenari libici, con una missione  «coordinata dall’ex qaedista Abdelhakeem Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati». E quella dei gruppi armati finanziati dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar. Non è peraltro un mistero, sottolinea Correggia, che il leader di al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, in un messaggio video diffuso su alcuni siti internet islamici, abbia espresso il suo sostegno alla ribellione siriana contro un regime definito antislamico.

Chi è contro la guerra e chi no

Di segno opposto, ovviamente, le considerazioni del rappresentante in Italia del Csn, Dachan Mohamed Nour, da 45 anni nel nostro Paese, attualmente presidente emerito dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, il quale, in un’intervista rilasciata a Giovanni Sarubbi, direttore del sito www.ildialogo.org, definisce come obiettivo del Csn quello «di sostenere la rivolta pacifica del popolo siriano», sollecitando l’appoggio della comunità internazionale nella sua lotta per «ottenere la caduta del regime». Quanto all’Esercito Siriano Libero con cui il Csn collabora, si tratta, dice, non di un esercito di guerra, ma «di soldati, sottufficiali e ufficiali che hanno scelto di rifiutare di sparare alla gente comune disarmata», ponendosi il solo obiettivo «di difendere le manifestazioni». «Noi – afferma riguardo alle proposte di soluzione alla crisi siriana avanzate da diverse organizzazioni internazionali – «siamo a favore di qualsiasi proposta che sia pacifica ma protegga i civili e fermi immediatamente questa barbarie». Non si può dire infatti di essere contro la guerra «a parole e poi appoggiare il governo che usa l’esercito contro la gente inerme. Chiedo ai fratelli e alla sorelle che sono contro la guerra di adoperarsi per altre soluzioni ma con un obiettivo solo: fermare immediatamente i massacri».

In completo disaccordo con Dachan Mohamed Nour si è espresso, in un’altra intervista rilasciata a Giovanni Sarubbi, Ossamah Al Tawil, 40 anni, da 20 in Italia, del Comitato Esecutivo del Coordinamento Nazionale Siriano per il Cambiamento Democratico, costituito, spiega, da forze politiche laiche e da un partito islamico molto moderato, con l’obiettivo di «accelerare la caduta del regime e l’avvio di un processo democratico» e con un programma costituito da quattro “no”: «No alla violenza. No alla repressione. No al settarismo. No all’intervento militare esterno». Favorevole ad un processo di dialogo e di conciliazione tra tutte le forze politiche, il Cnscd pone come condizioni per un negoziato con il regime il rilascio di tutti i prigionieri politici, il ritiro immediato dell’esercito e delle forze di sicurezza dalle piazze e lo stop a ogni forma di repressione, il rispetto del diritto di manifestare pacificamente. Secondo Ossamah Al Tawil, il Cns, composto in grande maggioranza dai Fratelli Musulmani, «non rappresenta neanche il 20% della popolazione siriana»: appoggiato «economicamente dal Golfo Persico e logisticamente dall’Occidente», e quindi nient’affatto libero, è «letteralmente uno strumento nelle mani degli sceicchi del petrolio e delle armi» e, al di là delle dichiarazioni di facciata, non è affatto contrario a qualsiasi intervento militare in Siria. «Posso fornirvi – assicura – interviste televisive di certi loro personaggi ed esponenti di spicco in cui chiedono, in una maniera inequivocabile, l’intervento militare». Quanto al cosiddetto Esercito Siriano Libero, il cui capo Riyad Alasad, esiliato in Turchia, «riceve ordini dai servizi segreti militari turchi», «non è un esercito, non è libero e in parte non è neanche siriano».

E alle parole di Dachan Mohamed Nour ha voluto rispondere anche il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti: «Non voglio assolutamente mettere in dubbio le qualità umane di Dachan Mohamed Nour che – credo sinceramente - non vorrebbe mai che vi fossero attacchi deliberati con morti e feriti. Ma tra i suoi desideri e la realtà c’è un abisso». Tant’è che a smentire la sua «visione edulcorata della lotta armata difensiva» sono le stesse azioni dell’Esercito Siriano Libero, il quale «ha rivendicato attacchi in piena regola con armi che tutto sono tranne che armi difensive». (claudia fanti)

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