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Il racconto della “professoressa di Barbiana”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 15 del 21/04/2012

Gli amanti del genere agiografico probabilmente non apprezzeranno il libro di Adele Corradi su don Lorenzo Milani. Chi invece vuole conoscere, o approfondire, la vita quotidiana degli ultimi anni della scuola di Barbiana e la profonda umanità, anche nei suoi tratti più urticanti, del prete fiorentino che l’ha fondata nel 1954 e animata fino alla sua morte (1967), senza accontentarsi del “santino” raffigurato da qualche biografo dell’ultima ora, troverà nel volume (Non so se don Lorenzo, Feltrinelli, Milano, 2012, pp. 174, euro 14) non informazioni inedite o riservate, ma un ritratto senza reticenze e censure di un uomo che ha fatto la scelta radicale e appassionata del Vangelo, degli emarginati – i piccoli e giovani montanari del Monte Giovi, nel Mugello – e della scuola in quanto strumento di liberazione degli oppressi, perché in grado di “dare la parola” a chi non ce l’ha, come viene raccontato in un piccolo episodio collocato significativamente all’inizio del libro. «Eravamo noi tre soli, dopo cena, tranquilli. Si stava bene: l’Eda seduta al tavolo (Eda Pelagatti, la “perpetua” di don Milani nella parrocchia di Calenzano, che lo seguì anche a Barbiana, dove è sepolta, ndr), io di fronte a lei, don Lorenzo sulla poltrona di vimini, vicino alla cappa del camino. L’Eda aveva una voce bellissima, di contralto credo, profonda e intonata. Chiesi che mi cantasse In Paradisum deducant te Angeli e lei si mise a cantare. Io ascoltavo “incantata” da quella voce e da quelle parole “... in tuo adventu suscipiant te martires...”. Ma don Lorenzo a un tratto, bruscamente: “Smetta Eda!”, la interruppe... era quasi un grido... Mi voltai stupita. Ma non era arrabbiato. La guardava addolorato. E infatti: “Mi fa pena”, disse, “non capisce... canta senza capire...”».

Adele Corradi, oggi 88enne insegnante in pensione, è una delle persone che ha conosciuto meglio don Milani e quella che più di ogni altra ha condiviso l’esperienza di Barbiana, dove è arrivata per curiosità nel 1963 e dove è rimasta fino alla morte del priore, prendendo anche una stanza in affitto in una casa non lontana dalla canonica, per poter fare scuola a tempo pieno. Tanto che lo stesso don Lorenzo, regalandole una copia di Lettera a una professoressa fresca di stampa, le scrisse come dedica: «Parte quarta (il libro è diviso in tre parti, ndr): poi finalmente trovammo una professoressa diversa da tutte le altre che ci ha fatto tanto del bene».

Ed era rimasta in silenzio Adele, fino ad ora, quando ha deciso di mettere per iscritto i suoi ricordi e di raccontare don Milani e Barbiana, anche per rispondere alle sollecitazioni di molti, fra cui Maurizio Di Giacomo, collaboratore di Adista e studioso di Milani (su cui ha scritto uno dei migliori testi mai pubblicati: Don Milani. Tra solitudine e Vangelo, Borla, 2001, v. Adista n. 71/01), morto quattro anni fa: «La esorto a mettere su nastro con persona o istituzione di sua fiducia i suoi ricordi degli anni da lei vissuti con don Lorenzo Milani», scrisse Di Giacomo in una lettera ad Adele Corradi. «Quello che lei sa non sono banali “ricordini” o “episodiucci”. Se non parlano coloro che hanno conosciuto di persona il priore di Barbiana finirà che la sua storia la scriveranno i ricercatori storici, quelli con cravatta Yves Saint-Laurent, oppure gli agiografi dei tribunali ecclesiastici delle cause di beatificazione, e l’umanità profonda così come la solitudine indicibile di quel prete-maestro-testimone-polemista finirà dimenticata o neutralizzata del tutto».

Le parole di Adele Corradi ci restituiscono un don Milani non segreto ma autentico, liberato da molti luoghi comuni di segno sia negativo che positivo, talvolta cari anche all’intellighentia progressista, vivo come non mai: diretto e lontano da ogni galateo ipocrita, perbenista, politicamente o ecclesialmente corretto; continuamente preoccupato, quasi ossessionato, dal voler fare scuola in ogni momento e in ogni occasione ai “suoi” ragazzi, a cui era legato in modo possessivo e geloso («don Lorenzo, se qui vicino venisse a stare un altro prete e i ragazzi incominciassero ad andare da lui invece che venir qui, cosa farebbe lei?», gli chiese un giorno Adele. «Farei alle fucilate! I ragazzi son miei», rispose); ansioso, soprattutto alla fine dei suoi giorni, quando il linfoma di Hodgkin lo stava uccidendo lentamente ma inesorabilmente, di gridare la sua idea di scuola di tutti e per tutti, il suo atto di accusa contro la scuola di classe, consumando i suoi residui momenti di vita per portare a termine, insieme ai ragazzi di Barbiana – e Adele Corradi racconta come realmente venne elaborato e redatto il testo, sfatando i falsi miti del libro scritto solo dai ragazzi o solo da Milani – Lettera a una professoressa. E poi la fede evangelica di don Milani, radicale ma non settario – le persone settarie «hanno radici poco profonde e si aggrappano a regole e dogmi», i radicali invece «hanno radici profonde e non hanno paura della libertà», diceva il pedagogista brasiliano Paulo Freire – anche nei rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, consapevole di vivere sul filo dell’eresia: «Crede che sia facile vivere sempre sul filo del rasoio, sempre col rischio di cadere nell’eresia?», disse una sera ad Adele Corradi.

«Con la semplice tecnica di dire la verità, senza mitizzazioni e senza enfasi, Adele ci consegna un don Milani straordinariamente umano, allo stesso tempo distante e vicinissimo a noi», scrive Beniamino Deidda in una delle due testimonianza finali (l’altra è di Giorgio Pecorini). «Un prete singolarissimo e isolato, profeticamente al servizio dei più umili, capace di mettere la Chiesa e la società di fronte alle loro macroscopiche contraddizioni (...). Adele, con la grazia che può avere solo chi racconta la verità, ci fa intravedere questa grandezza, senza nascondere le durezze, gli umori, la malattia e la fragilità di don Lorenzo».

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