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L’ESTENSIONE CHE CONFERMA LA REGOLA. IL REGOLAMENTO SULL’IMU AMPLIA LE ESENZIONI PER LA CHIESA

Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 08/12/2012

36946. ROMA-ADISTA. Alla fine il regolamento attuativo per l’Imu sugli edifici commerciali della Chiesa scontenta tutti, laici e cattolici. Stando al testo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 novembre scorso, a pagare l’Imposta Municipale Unica saranno «tutte le attività», ad esclusione di quelle «a titolo gratuito o con corrispettivo simbolico sottocosto», (ovvero erogate in cambio di un corrispettivo simbolico inferiore al costo effettivo del servizio). Insomma, tutte le attività che ottengono ricavi superiori ai costi e generano utili dovranno pagare. Anche le scuole private, quindi, che infatti sono sul piede di guerra.

In realtà anche così il testo potrebbe non andare ancora bene. Il 13 novembre scorso il Consiglio di Stato (cui il governo ha dovuto chiedere un parere, che è obbligatorio, ma non vincolante per l’esecutivo) ha infatti riscontrato “forti criticità” da sanare al più presto, pena il rischio di una nuova bocciatura da parte dell’Unione Europea. Nel mirino la definizione di attività commerciale: l’Europa ne ha adottata un’altra, che parla di «beni e servizi offerti in un mercato». A prescindere dall’entità di un corrispettivo, o dalla sua gratuità. E all’Europa l’Italia dovrebbe allinearsi, visto che dal 2010 è stata aperta una procedura di infrazione per aiuti di Stato illegittimi. L’esenzione dal tributo agli enti ecclesiastici rappresenta infatti un indebito vantaggio rispetto alle altre imprese. Se entro il 31 dicembre il governo non adotterà un regolamento convincente e in linea con le richieste europee, la multa già inflitta all’Italia dall’Unione potrebbe salire da 2,5 miliardi di euro a 3,5 miliardi per l’Ici-Imu non pagata dalla Chiesa (e dalle scuole ad essa collegate) dal 2006 ad oggi. Per i giudici amministrativi, nei settori presi in considerazione dall’art. 4 dello schema di regolamento (attività assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva), anche soggetti in apparenza “non commerciali” potrebbero trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri. Con l’oggettivo vantaggio che, a differenza degli altri, questi soggetti l’Imu non l’hanno pagata. Il governo, secondo il Consiglio di Stato, dovrebbe inoltre fare chiarezza sul criterio di “retta simbolica” riferito a scuole, ospedali e attività di tipo ricettivo e previsto in vari passaggi del regolamento. Senza contare la difficoltà di distinguere attività svolte all’interno dello stesso immobile e di applicare l’esenzione in modo proporzionale, a seconda anche del numero di utenti coinvolti e degli eventuali periodi di utilizzo a fini commerciali di un certo spazio nel corso dell’anno.

L’imu “ab imo”

La vicenda dell’Imu è stata la croce di questo governo, sin dal suo insediamento. Quello di allinearci alle normative europee era infatti uno degli impegni assunto da Monti all’inizio del suo mandato.

A novembre 2011, all’interno del decreto legge cosiddetto “Salva Italia”, il governo aveva emanato la nuova norma che modificava l’Ici (la cui incerta formulazione aveva consentito una larghissima esenzione per gli immobili ecclesiastici) trasformandola in Imu. Già in quel decreto, il governo aveva previsto il congelamento delle rendite catastali per gli immobili di “classe B”, cioè quelli in cui sono compresi collegi, conventi, oratori e seminari, oltre agli uffici pubblici, gli ospedali, le scuole, biblioteche, i musei. Anche per gli immobili sui quali la Chiesa già pagava l’Ici ci sarebbe quindi stato un forte sconto: avrebbe continuato a pagare, ma senza subire gli effetti di quegli aumenti che invece avrebbero riguardato tutti gli altri immobili. Con la legge n. 44/2012 del gennaio scorso (che convertiva in legge il cosiddetto “decreto liberalizzazioni”) vennero introdotte diverse modifiche alla normativa di due mesi prima. Tra esse, anche quella che chiariva che l’esenzione dal pagamento dell’Imu riguardava gli immobili nei quali si svolgesse «in modo esclusivo un’attività non commerciale», oppure «limitata alla sola frazione di unità» nella quale l’attività fosse di natura non commerciale. Una modifica che esentava i centri di accoglienza per i senza dimora e le mense per i poveri, ma obbligava a pagare l’imposta gli ex conventi trasformati in alberghi oppure i ristoranti per i pellegrini.

In teoria, i conti sembravano tornare. Poi, però, dopo l’estate, era arrivato il regolamento attuativo della norma, messo a punto dal Ministero dell’Economia. In esso si utilizzava come criterio per definire attività non commerciali l’accreditamento o convenzionamento con lo Stato (attività assistenziali e sanitarie); la gratuità o il carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive); l’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettive e in parte assistenziali e sanitarie); la non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche). Insomma, un “rosario” di eccezioni che finivano per vanificare il testo che il Parlamento aveva dovuto approvare per evitare la sanzione europea, estendendo a dismisura i criteri dell’esenzione. A tutto vantaggio, peraltro, degli enti ecclesiastici.

Ma il Consiglio di Stato, il cui parere sul regolamento era obbligatorio (seppure non vincolante), il 27 settembre scorso aveva bocciato il regolamento: per i giudici amministrativi, infatti, quel testo andava oltre quanto indicato nel decreto “liberalizzazioni” approvato dal Parlamento, non limitandosi ad indicare le «modalità» con cui calcolare le porzioni degli immobili usati a fini commerciali, ma soffermandosi puntigliosamente ad elencare tutte le situazioni in cui un ente doveva considerarsi non commerciale, e dunque esente dall’Imu. Il Consiglio di Stato aveva perciò invitato il governo a riformulare il regolamento. Che ne ha redatto uno nuovo, su cui il Consiglio di Stato ha espresso un sì con numerose riserve.

 

Profumo di sinistro

Da quanto emerge dal nuovo testo sembrerebbe che stavolta le scuole private siano destinate a pagare. Francesco Ciccimarra, portavoce dell’Agidae (Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall'Autorità Ecclesiastica), agita lo spettro del fallimento: «Se tutte le scuole dovranno pagare l’Imu, chiuderanno». Per Ciccimarra, infatti, «nessuna scuola può fornire servizi gratuiti. I docenti vanno pagati, i locali anche. Se dovesse passare questa follia, dovremo chiudere almeno 6mila scuole e licenziare 200mila dipendenti, così tutti quanti saranno contenti. Ma questa è una follia». «Con la crisi economica delle famiglie e con l’Imu, sarà la fine delle opere cattoliche in Italia». Apocalittico anche don Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae, la Federazione che riunisce la maggior parte delle scuole cattoliche paritarie in Italia: il regolamento, ha detto, «ci mette in una condizione impossibile perché, oltre a stabilire che l’attività per essere dichiarata non commerciale debba essere svolta a titolo gratuito – ovvero come recita il regolamento «dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo di servizio» – mette altre condizioni che sono importanti, ma che di per sé erano state già definite dalla Legge 62, la cosiddetta legge sulla parità scolastica. Queste condizioni sono quelle di accogliere tutti gli alunni, senza discriminazione, compresi i portatori di handicap, di applicare una contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di avere un’adeguatezza delle strutture standard previste. Tutte queste condizioni rendono impossibile la richiesta di questo regolamento, per poter essere esenti dall’Imu. Come si fa, infatti, a gestire un’attività così complessa, come quella della scuola, con costi di gestione altissimi, senza avere un finanziamento pubblico e senza poter richiedere una retta per cercare di coprire queste voci di uscita del bilancio?».

Sull’attenzione che il governo “tecnico” continua ad avere nei confronti della Chiesa cattolica garantisce però il ministro dell’Istruzione Profumo: «Mi farò portatore positivo con il presidente del Consiglio Mario Monti di questa vostra richiesta», ha detto il 26 novembre scorso rispondendo a Luisa Santolini (Udc) che durante un convegno a Roma gli aveva chiesto che le scuole paritarie fossero totalmente esonerate dal pagamento dell’Imu.

 

Fatta la legge, scovato l’inganno?

Per altri, però il regolamento resta fin troppo generoso con la Chiesa cattolica. Gianluigi Pellegrino e Valentina Conte su Repubblica (25/11), scrivono che «il testo del decreto dell’Economia, a firma del ministro Grilli, di fatto ricalca quello respinto sull’esenzione». Per quanto riguarda le esenzioni dal pagamento, l’individuazione del criterio di una retta “simbolica” tale da coprire “una frazione del costo effettivo del servizio” si presterebbe a diverse interpretazioni. E smentirebbe il carattere di gratuità del servizio. Inoltre, il fatto che i ricavi non superino i costi non pare ragione sufficiente ad escludere alcuni soggetti dal versamento dell’Imu. Anche se un’azienda avesse il bilancio in rosso, rileva infatti Pellegrino, «non per questo quell’impresa sarebbe esentata dall’imposta». Per alberghi, attività ricreative, sportive, culturali, si parla sempre di esenzione nel caso di prezzo non superiore alla «metà dei corrispettivi medi»: «Una porta spalancata, anche qui», rimarca Conte, «ad abusi e scappatoie”.

Fino al punto che tutte le attività che ricoprono con le rette (o con il ticket pagato dagli utenti) fino al 99,9% dei costi di gestione potrebbero restare esenti. Soprattutto, la norma continuerebbe a non distinguere nettamente le strutture che fanno solo beneficenza e quelle che hanno dei ricavi dalle proprie attività. Sul merito dell’Imu alla scuola privata, Antonia Sani, coordinatrice nazionale dell’Associazione “Per la Scuola della Repubblica” ha dichiarato ad Adista che «in Italia si assiste a un oltraggio perenne di quel “senza oneri per lo Stato” associato al riconoscimento della libertà di iniziativa dei privati di istituire scuole di tendenza. Si è continuato cioè a finanziare più o meno palesemente le scuole private, a consentire l’istituzione delle scuole dell’infanzia solo dove il “servizio non fosse già prestato da altre strutture”, poi la legge di parità, e via via fino a quest’ultimo atto dell’Imu. Si giunge a vette parossistiche: lo Stato si prepara a pagare una forte multa all’Ue (che non è certo un campione di laicità!), e a incoraggiare il lavoro nero pur di compiacere il Vaticano. Questa dell’attività “didattica gratuita” è l’ultima perla per sottrarlo all’Imu. Significa anche – conclude Sani – invito all’evasione, o sfruttamento autorizzato nei confronti dei docenti». (valerio gigante)

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