Il “Credo” di Pierluigi Di Piazza e Margherita Hack
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 11 del 23/03/2013
«Una strana coppia» (accuratamente virgolettata): così li definisce Marinella Chirico, giornalista della sede Rai del Friuli Venezia Giulia. «Il diavolo e l’acqua santa» si definiscono invece loro (o meglio: lei). Chi sono? Lei è Margherita Hack, conosciutissima astrofisica, nota non solo come scienziata, ma anche per le sue prese di posizione in campo sociale, politico ed etico. Lui è don Pierluigi Di Piazza, il sacerdote che ha fondato il Centro di accoglienza Ernesto Balducci a Zugliano, alle porte di Udine. Una “scienziata atea” ed un “umile credente”. Se i due, con l’aiuto di Marinella Chirico, si mettono attorno ad un tavolo (a casa di Margherita Hack, nel quartiere di Roiano a Trieste) per discutere e confrontarsi sui temi più disparati, cosa ne può venir fuori? A dispetto degli epiteti e delle battute con le quali si definiscono o vengono definiti, il dialogo tra queste due persone, amiche da lunga data, risulta estremamente profondo e coinvolgente. Marinella Chirico ha raccolto queste conversazioni nel recente volume Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete. I due protagonisti non tralasciano quasi nessuno dei temi più attuali o delle questioni che maggiormente li coinvolgono. Da Dio alla religione, dalla scienza all’etica. Dall’impegno politico all’emergenza ambientale. Dal celibato alla sessualità. Un confronto schietto. Diretto. Una riflessione puntuale ed incisiva anche su temi scottanti: la vicenda Englaro, il male di vivere, la morte, la paura.
L’elenco degli argomenti affrontati nella mezza dozzina di incontri sono numerosi. “Io credo” è anche il titolo di uno dei capitoli iniziali del libro. «Credo nella solidarietà tra gli esseri viventi, e tra gli esseri viventi considero non solo gli esseri umani ma anche gli animali. Credo nella capacità del nostro cervello di capire il mondo che ci circonda, le leggi che lo regolano», afferma Margherita Hack. Ma, soprattutto, «per me è importante fissare le basi solide del mio credo (…) La giustizia e la libertà sono le mie regole di sempre». Anche Pierluigi Di Piazza crede«nella giustizia e nella legalità, nella non violenza e nella pace, nell’accoglienza delle persone, con le loro diversità». Se il soggetto del credere diventa Dio, le loro affermazioni si discostano. «Io non credo in Dio»: è perentoria Margherita Hack. Lo considera una facile scorciatoia, una spiegazione comoda per quello che ancora non riusciamo a spiegare. Per Pierluigi Di Piazza, che in Dio crede, è invece importante «capire in quale Dio credere». Nel Dio dei poveri o in quello dei ricchi, nel Dio di coloro che vogliono la guerra o di chi vuole la pace. Nel Dio dei razzisti o di chi accoglie, di chi disprezza l’ambiente per il profitto o di chi si impegna per difenderlo?
Non si tratta di un testo teologico, nemmeno scientifico o politico, o etico. Contrariamente a quanto si potrebbe forse ipotizzare, l’aspetto che emerge con maggiore evidenza lungo le pagine di questo lungo colloquio è la condivisione e la sostanziale comunanza di pensiero tra i due protagonisti. Muovendosi da mondi apparentemente diversi e distanti, anche da alcune visioni di fondo differenti (pensiamo al capitolo: credere in Dio), la convergenza di pensiero e di sensibilità sulle vicende della nostra umanità e del nostro vivere assieme è quasi totale. E questo fatto non può che essere letto in termini positivi. Di speranza. Se i principi diventano non negoziabili (da entrambe le parti), se le convinzioni diventano ideologie, se le dottrine diventano più importanti delle persone, difficilmente si potrà arrivare ad una comunione di intenti. Se, invece, soggetto ed oggetto del confronto sono l’uomo nelle sue diverse condizioni e le realtà che affronta quotidianamente, i valori della giustizia, della solidarietà, della libertà, della pace assumono una loro declinazione concreta. È in questa dimensione, potremmo definirla “operativa”, che le appartenenze religiose o di altra natura diventano irrilevanti, rispetto alla scelta, questa sì dirimente, tra chi schiera se stesso (la sua persona) dalla parte degli ultimi e della giustizia e chi fa (volutamente o di fatto) una scelta opposta.
* Pubblicista, già collaboratore del settimanale diocesano di Trieste, “Vita Nuova”; autore-curatore del volume “Per un cristianesimo adulto” (Abiblio, 2009)
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