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KENYA: SOSPENSIONE A DIVINIS PER IL MISSIONARIO CHE DIFENDE L’OSPEDALE DALLE MIRE DELLE SUORE

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 08/06/2013

37189. NAIROBI-ADISTA. Aveva trascinato l’arcivescovo di Nairobi, card. John Njue, e suor Marie Therese Gachambi (superiora delle Suore dell'Assunzione di Nairobi) in un processo civile, accusandoli di aver orchestrato un complotto per impossessarsi dei terreni e delle strutture sanitarie del St. Mary Mission Hospital a Nairobi e Nakuru, che egli stesso aveva costruito ed avviato (v. Adista Notizie n. 47/12). Per questo motivo, per non essersi ritirato dall’iniziativa legale e per non aver accolto i reiterati “suggerimenti” del cardinale di Nairobi e della congregazione di ricondurre il processo in un tribunale ecclesiastico, per il medico missionario di Maryknoll, p. William Charles Fryda (noto come p. Bill), è arrivata, a sorpresa, la sospensione a divinis, comminata dai superiori di Maryknoll.
 
Un chiaro avvertimento
In una lettera redatta a New York il 15 aprile scorso, il superiore generale di Maryknoll, p. Edward M. Dougherty, informa p. Bill che è stata chiusa un’investigazione del consiglio generale della congregazione, che ha preso in esame alcuni materiali ricevuti dal Kenya. Tra questi, anche i ritagli dei quotidiani locali, gli atti del processo civile e una serie di documenti che testimonierebbero insubordinazione, disobbedienza, rifiuto di incontrare i vertici di Maryknoll per risolvere pacificamente la disputa. Segue una lunga lista di canoni che il missionario avrebbe violato e l’avviso di sospensione immediata. «Le azioni condotte dai tuoi legali non avranno alcun effetto sulle questioni canoniche», aggiunge. «Sei un sacerdote della Società per le missioni estere degli Usa, hai fatto solenne e pubblico giuramento di obbedire ai tuoi legittimi superiori. In quanto sacerdote, per le materie attinenti alla Chiesa locale sei soggetto al locale ordinario, il cardinale arcivescovo di Nairobi. Anche il St. Mary's Hospital è un ente cattolico di carità che si trova nell'arcidiocesi di Nairobi, ed è soggetto anch’esso alla guida e alla supervisione del cardinale arcivescovo». «Durante la sospensione – sottolinea ancora il superiore, Codice di Diritto canonico alla mano – al sacerdote non è data la possibilità di esercitare né di amministrare alcuna attività». E infine la minaccia: «Se resterai ostinato nella disobbedienza ai tuoi superiori, ti ricordiamo che potrai incorrere nella dimissione dalla Società per le Missioni estere degli Stati Uniti d'America e nella dimissione dallo stato clericale».

Carta canta

Fino alle settimane scorse la vicenda ci era nota per i racconti dei quotidiani keniani. Poi, Adista ha ricevuto da un impiegato del St. Mary, che ha chiesto di conservare l’anonimato, la lettera del superiore generale insieme ad un’approfondita e copiosa documentazione che ricostruisce, attraverso ricevute, iscrizioni, lettere dei legali e scambi epistolari interni ed esterni alla congregazione, il tentativo illegale delle Suore dell’Assunzione e del cardinale di Nairobi di accaparrarsi la società no profit “St. Mary Mission Hospital, Ltd.” e di consegnarla a un privato profit. Da questi documenti si evince che il tentativo di appropriazione indebita della struttura sanitaria, sebbene nato in “ambiente ecclesiastico”, nulla ha a che vedere con le attività collegate alla pastorale e alla missionarietà diocesana. Si tratterebbe dell’iniziativa di alcuni soggetti in combutta (tra cui appunto il cardinale e i vertici delle suore) che, approfittando della loro posizione, hanno pensato di fare profitti sul St. Mary Mission Hospital, da oltre 10 anni struttura di eccellenza in Kenya, capace di attrarre brillanti e motivati medici da tutto il Paese e un vastissimo pubblico di pazienti indigenti, che non potrebbero permettersi di essere assistiti altrove. Proprio per scongiurare il rischio che la struttura sanitaria divenisse preda di mire privatistiche, p. Fryda, lui stesso medico, aveva costituito la società no profit, fondata sui valori cattolici ma indipendente, cui destinare la proprietà e l’autonoma gestione delle risorse e dei programmi. In attesa della registrazione e del conseguimento dei requisiti di idoneità della società, e in quanto straniero, il missionario aveva affidato la “custodia temporanea” alle Suore dell’Assunzione di Nairobi, garantendo loro, come risarcimento per questo favore, la gestione del bar interno all’ospedale. Tutto (edificazione, certificazioni, registrazioni, stipendi, ecc.) è stato eseguito e pagato dallo stesso p. Bill. Ma quando poi si è trattato di trasferire i titoli di proprietà alla nuova società no profit, le suore si sono tirate indietro, evidentemente attratte da un successo che forse non si aspettavano. Da qui è partita una lunga e fallimentare mediazione – in cui ha trovato posto il cardinale di Nairobi – che è sfociata, per volontà del dottor Fryda, in un processo civile.
Molti i file di cui Adista è entrata in possesso. Tra questi, la registrazione, il 16 luglio 1999, della società “St. Mary’s Mission Hospital, Ltd.”, iscritta come società indipendente no profit, senza alcun equivocabile riferimento di appartenenza alla Chiesa cattolica; uno dei rinnovi annuali della licenza ad operare come ospedale privato presso il Kenya Medical Board, effettuati da p. Bill; scambi epistolari tra p. Bill e il suo avvocato Macharia Njeru, riguardanti l’acquisto della terra e la tassa annuale sulla terra; la testimonianza di Andrew Gremley, architetto di p. Bill, che conferma l’assoluta estraneità delle Suore dell’Assunzione di Nairobi nella progettazione e costruzione della struttura sanitaria, e nei pagamenti delle sue parcelle.
 
Il college della discordia
Tra le carte inviateci dalla nostra fonte troviamo anche il protocollo d’intesa tra suor Gachambi e la Catholic University of East Africa (Cuea) per la creazione del “Regina Pacis University College” sui terreni dell’ospedale, siglato in segreto e senza l’autorizzazione della società “St. Mary Mission Hospital Ltd.”. Registrato solo un anno dopo, gli atti parlano di una società profit, non collegata alla Chiesa o alle suore; anche ogni riferimento esplicito alla natura “cattolica” dell’istituzione cade. In sintesi, presentando i titoli di proprietà sulle terre del St. Mary, otto privati (tra cui il card. Njue e un paio di suore, una delle quali sostituirà suor Gachambi alla guida della congregazione) hanno fondato una società con fini lucrativi. Il chiaro obiettivo era, oggi lo si capisce, sottolinea la nostra fonte, sostituire il “no-profit” St. Mary con il “profit” Regina Pacis.
Curiosa coincidenza, un paio di giorni dopo la contestata registrazione del college, il 25 marzo 2010 alcuni teppisti sono entrati in casa di p. Bill e lo hanno picchiato quasi a morte con delle spranghe, rubando solo poche cose. Nessuna prova del coinvolgimento delle suore, ma le forze dell’ordine locali hanno svolto un'inchiesta sull’aggressione e l’hanno avvertito di guardarsi le spalle.
Il 2 maggio successivo, il missionario è stato convocato dalla nuova superiora (una degli otto del college), suor Christine Gakunye, e da 12 suore dell’Assunzione. Nel corso dell’incontro, secondo la nostra fonte, p. Bill sarebbe stato verbalmente aggredito ed invitato ad abbandonare l’ospedale e il Paese. Dopo la riunione intimidatoria, un gruppo di teppisti – un’altra coincidenza? – ha tentato di entrare nuovamente in casa di p. Bill, armato di coltelli e pistole. Ma questa volta l’intervento repentino della polizia li ha messi in fuga. In altre occasioni le suore avrebbero poi tentato di molestare p. Bill con false denunce alla polizia e alle commissioni mediche del Paese, per costringerlo a lasciare il Kenya. Lo stesso avvocato di p. Bill è stato più volte minacciato da messaggeri terzi.

L’incontro farsa
Sempre nel mese di maggio, p. Lance Nadeau (superiore regionale di Maryknoll) scrive un’e-mail al dottor Fryda (allegata nei materiali inviati ad Adista), in cui racconta di un incontro convocato dal card. Njue alla presenza di suor Gakunye, per discutere del contenzioso. Sin dalle prime righe dell’e-mail risulta evidente il tentativo del card. Njue di screditare il missionario, raccontando di aborti clandestini e furti di reni da pazienti inconsapevoli ricoverati al St. Mary.
I documenti inviati ad Adista sembrano delineare un quadro piuttosto chiaro: il card. Njue è entrato ufficialmente nella vicenda proprio con il ruolo di mediatore tra le parti. Al momento dei primi incontri nessuno di Maryknoll sapeva che da circa due anni lo stesso cardinale era in società con le suore. E, ovviamente, i tentativi di mediazione, sono falliti tutti miseramente.
 
La causa civile e la nuova strategia
Dopo i reiterati fallimenti di mediazione, al missionario non rimaneva che la causa civile; nello svolgimento di essa, il legale di p. Bill ha presentato la proposta che la direzione della struttura restasse nelle mani del missionario e fosse preservato il carattere no profit della società. Congiuntamente, il legale ha depositato un provvedimento per impedire alle suore di interferire, durante il periodo del processo, con le attività dell’ospedale. Le suore hanno contrattaccato con una contro-ingiunzione, chiedendo al giudice di dichiarare p. Bill uno straniero, estraneo, intruso nella loro proprietà. E hanno poi chiesto che tutti i beni del St. Mary fossero posti sotto il loro controllo. Il giudice ha dato ragione a p. Bill.
Sentendosi messo alle corde, il card. Njue ha quindi cambiato strategia di attacco, scrivendo il 30 settembre 2010 al superiore generale di Maryknoll per avvertirlo del danno di immagine derivante alla Chiesa keniana dal processo civile, e chiedendogli di costringere p. Bill a ritirare la causa ed affrontare il contenzioso in una commissione ecclesiastica da lui presieduta a Nairobi. Ovviamente, nella lettera, il cardinale non accenna minimamente al suo coinvolgimento nella società privata che intende soppiantare l’opera di p. Bill e – fa notare la nostra fonte anonima – non accenna neanche al fatto che, a rigor di logica, dovrebbero essere le suore a ritirare la causa, visto che le Corti civili continuano a sentenziare in favore di p. Bill. Alla missiva di Njue ha fatto seguito, il 21 gennaio 2011, quella del superiore generale p. Dougherty, indirizzata a p. Bill. Una curiosa missiva in cui, dopo aver manifestato grande stima per la persona e per il lavoro da lui compiuto in Kenya con il St. Mary, il superiore generale si dice preoccupato per la sicurezza fisica del missionario, e gli chiede infine di lasciar cadere il procedimento e mettersi al sicuro.
 
Dove arriva l’obbedienza
Poco dopo l’invio della lettera, grazie al procedimento civile, p. Fryda e i suoi superiori sono entrati in possesso della documentazione ufficiale che smaschererebbe i reali interessi delle suore e del cardinale sulle strutture sanitarie. Ciononostante, la congregazione di Maryknoll ha deciso lo stesso di sospendere p. Bill, forse sotto la pressione dei palazzi. Nascondendosi dietro il principio dell’obbedienza religiosa, i superiori hanno indebolito p. Bill e la sua reputazione all’interno della congregazione, nell’ospedale e in tutto il Paese. Visti anche i tempi della giustizia civile keniana, la decisione della congregazione Usa spiana la strada al cardinale e alle suore verso l’appropriazione della struttura.
La fonte di Adista allega ai documenti un file in cui, in poche righe, si dice amareggiata per il comportamento dei religiosi di New York. «Anche se questa azione è stata senza dubbio spinta dal card. Njue, Maryknoll dovrebbe avere dei principi, dei valori a cui ispirarsi per resistere a tale pressione». P. Dougherty e p. Nadeau, al corrente dell’abuso che si stava perpetrando sul St. Mary, si sono prestati al gioco dei silenzi e delle connivenze, cambiando radicalmente atteggiamento nei confronti di p. Bill. La conclusione è amara: abbiamo constatato il fallimento della trattativa “cristiana” e «grazie a Dio ci siamo appellati ad un tribunale civile che ha fatto emergere la verità. In questa storia il personale di St. Mary si è sempre schierato a sostegno di p. Bill, conoscendolo per aver lavorato al suo fianco, in sala operatoria e fuori. Ognuno di noi è responsabile davanti a Dio». (giampaolo petrucci)

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