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La sapienza di papa Roncalli

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 08/06/2013

Nel mezzo secolo intercorso dalla sua morte, la grande opera di Roncalli, cioè il Concilio Vaticano II, ha dimostrato una dinamica singolare: la sua importanza, anno per anno, è cresciuta moltissimo, nella Chiesa cattolica, nel Cristianesimo e nella cultura mondiale. Per forza propria, non per le cure ricevute. Il Concilio non è stato abbandonato, ma la sua utilizzazione attende una ricezione più matura.
Non ci si deve stupire per questo andamento. La dinamica vi propria, esprime la logica più profonda di questo Concilio. Papa Giovanni, massimo autore di un’impresa che, unico, osò chiamare “novella Pentescoste”, non è arrivato a vedere finito uno solo dei 16 documenti approvati e promulgati nel grande spazio da lui determinato. Giovanni XXIII è il pontefice che garantì, nel primo decisivo periodo, il rispetto generale della libertà e della collegialità conciliare. Furono i Padri convenuti in San Pietro, con i loro liberi e severi voti, a effettuare la grande “scelta” di quasi tutto respingere della lunga preparazione curiale, e tutto risistemare in una seconda e diversa preparazione, che diminuì il numero, ma migliorò la qualità degli schemi preparati: non più 70, ma solo una ventina, profondamente ripensati, dai quali verranno i 16 documenti approvati e promulgati nei tre successivi periodi conciliari. Papa Giovanni era quel santo e intelligente che ebbe grande bontà, immensa pazienza, ma anche una sua determinazione originale, nutrita di fede e di una biografia straordinaria nella sua umiltà di nascita e in una elevazione per obbedienza sacerdotale indubbiamente inusuale. Ma a suo favore contava molto anche il Vaticano I, frutto ottocentesco della teologia romana, con il culto dell’autorità pontificia, da Roncalli usata non per rafforzare la Curia, ma per esporre mitemente quanto in coscienza un papa sentiva e sapeva giusto; e che egli propose a tutti gli aventi diritto nel mondo, e non solo ai collaboratori più vicini e abituali in Vaticano. Non a caso Roncalli era stato l’unico cardinale a volere “i lumi, da un Concilio larghissimo”: e a saperlo fare, senza ira e senza paura.
E anche dopo Roncalli, l’ispirazione continuò. Ma nei 50 anni post-conciliari, tutti segnati dalla misteriosa fecondità della beatitudine di santità e pazienza di papa  Giovanni, anche la cultura, critica ed etica, di Ratzinger ha portato, con una certa sorpresa, un suo contributo, creativo di una realizzazione dolorosa ma innovatrice.
La novità della scelta esercitata da Benedetto XVI il 28 febbraio, fa del 2013 un anno memorabile dell’originalità ecclesiale. Non è una novità canonica, ma lo è certo storico-culturale, e con rapidi gesti si mostra ora la vivacità del papa argentino, seguito a Benedetto XVI, primo monaco fattosi tale nei “recinti vaticani”. Cresce anche l’inclinazione a dare forza ai temi rimasti più aperti nella grande ricezione in corso del Vaticano II. Vediamo meglio la realtà dell’amore cristiano della povertà; la mondialità della responsabilità politica se generosamente esercitata; il dovere di proteggere anche il nostro pianeta che o serve tutti o ci condanna ad una vita impossibile per gli squilibri intollerabili. Roncalli ha avuto il coraggio di una visione giusta: ha indicato una via di umiltà che fa sempre grandi i capi che la percorrono, e le sue encicliche sono sapientissima integrazione dei testi conciliari: la condizione di Mater et magistra della Chiesa, e la Pacem in Terris come unica dottrina costituzionale e seria per l’Onu; e più concreta del testo più originale della filosofia moderna, il kantiano e illuminista messaggio per la Pace perpetua. Prendiamo sul serio la festa per onorare il più mite degli uomini potenti: il capo più efficiente tra quelli che sono giunti onesti e disinteressati a grandi responsabilità, se si guarda alla produttività già semisecolare della sua iniziativa brevissima e saggia, di vera collegialità cattolica. Ha avuto una grande ispirazione, interiore e dall’alto; ha camminato dentro una grande scuola e una istituzione  meravigliosa, anche se pur ricca di difetti e carenze… Ma papa Giovanni ci ha messo non poco anche del suo. Anche per noi; era poi un prete comune, un semplice cristiano, un italiano nato povero, vissuto molto all’estero. Non lasciamolo solo, non basta ricordarlo. È sapienza seguirlo.

* Saggista e giornalista, tra i fondatori dell’associazione e della rivista “Il Mulino”

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