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Sul diritto di nascere italiani

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 06/07/2013

La legge italiana prevede che sia cittadino italiano per nascita chi nasce da un genitore italiano (ius sanguinis) o chi nasce in Italia (ius soli) da apolidi o da stranieri che, in base alla normativa del Paese di appartenenza, non siano in grado di trasmettere al figlio la propria cittadinanza. Chi nasce straniero può acquistare la cittadinanza italiana attraverso diverse modalità. Le principali sono l'acquisto per matrimonio con italiano, la naturalizzazione e l'elezione di cittadinanza al compimento della maggiore età. La cittadinanza per matrimonio può essere richiesta dopo due anni se i coniugi risiedono in Italia, dopo tre se all’estero; e a patto che il richiedente non abbia subito condanne per reati gravi e non rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato. Quest'ultima valutazione è effettuata dal ministro dell'Interno, che però ha due anni di tempo dal momento della richiesta per opporre un diniego. Trascorso questo termine, se sono soddisfatti gli altri requisiti, l'acquisto della cittadinanza diventa un diritto pieno, a condizione che non sia sopravvenuta separazione tra i coniugi. La naturalizzazione è invece un provvedimento discrezionale: lo Stato concede la cittadinanza a chi ne fa richiesta, a condizione che questi risieda legalmente in Italia da almeno dieci anni e risulti adeguatamente inserito nel tessuto sociale. In pratica, si tiene conto dell'assenza di condanne, della titolarità di un reddito superiore a una certa soglia, dell'affidabilità fiscale, di una conoscenza adeguata della lingua, ecc. Il terzo canale per l'acquisto della cittadinanza è costituito da una forma di ius soli molto attenuata: lo straniero nato in Italia, e che vi risiede legalmente in modo ininterrotto fino ai 18 anni, acquista automaticamente la cittadinanza, se ne ha intenzione, entro il 19° compleanno. In questi giorni, una disposizione inserita nel cosiddetto decreto-legge “del fare” ha chiarito, recependo un orientamento recente della giurisprudenza, che il requisito di residenza legale per tutta la durata della minore età non risulta pregiudicato da eventuali inadempimenti (ad esempio, la tardiva iscrizione anagrafica) addebitabili ai genitori del minore o alla Pubblica amministrazione.

Sono adeguate queste norme ad un’Italia che, ormai da un quarto di secolo, è meta di rilevanti flussi migratori? No. Sono soprattutto inadeguate nei confronti della cosiddetta seconda generazione: figli di immigrati, nati in Italia o qui giunti da piccoli a seguito del ricongiungimento familiare con i genitori. I primi devono diventare maggiorenni prima di poter eleggere la cittadinanza italiana. I secondi, invece, mancando del requisito di residenza legale continuativa per tutti i primi 18 anni di vita, possono ottenere la cittadinanza, come qualunque altro immigrato, solo per naturalizzazione o per matrimonio con italiano. Sono in discussione in Parlamento diverse proposte di riforma che puntano a rendere più incisivo lo ius soli e/o a concedere la cittadinanza già nella minore età, in presenza di un adeguato inserimento scolastico (ius culturae).Riguardo allo ius soli, l'idea di riconoscerlo in modo assoluto («chi nasce in Italia è italiano») non è proponibile. La legge italiana riconosce infatti l'inespellibilità della donna straniera incinta, del marito di questa e del genitore di cittadino italiano. Se valesse lo ius soli assoluto, qualunque coppia straniera in attesa di un figlio potrebbe sbarcare – poniamo – a Lampedusa, far valere la propria inespellibilità, dare i natali a un cittadino italiano ed acquistare, per ciò stesso, un pieno diritto di soggiorno. Equivarrebbe a una liberalizzazione dell'immigrazione cui il Paese non è culturalmente pronto. Le proposte in discussione prevedono, più debolmente, il riconoscimento della cittadinanza per chi nasca in Italia da genitori stranieri soggiornanti legalmente da un certo numero di anni e con una certa stabilità. Riguardo allo ius culturae, si propone di considerare sufficiente, per l'acquisto della cittadinanza, il compimento di uno o più cicli scolastici in Italia, a prescindere dalla condizione di soggiorno dei genitori. È la misura più importante tra quelle in discussione, dal momento che dà riconoscimento alla condizione di parità di fatto tra il minore straniero e il coetaneo italiano. Inoltre, costituisce un forte incentivo al rispetto dell'obbligo scolastico, anche in contesti in cui l'investimento in istruzione ha incontrato diversi ostacoli (si pensi ai bambini nei campi nomadi).

Sarà varata una riforma di questo genere? La possibilità di un accordo ampio c'è, ma è necessario che nessuno tra i politici cerchi di farla passare per una vittoria della propria parte contro le resistenze delle altre.

 

* Ricercatore Enea;esperto di politica dell'immigrazione(www.stranieriinitalia.com/briguglio)

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