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I battisti italiani compiono 150 anni

- Gabriele Arosio intervista Lello Volpe (presidente Ucebi)

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 30 del 07/09/2013

Senza l’enfasi e la retorica di grandi organizzazioni o Chiese, in quest’anno 2013 la Chiesa battista italiana celebra 150 anni di storia in Italia.

I primi missionari battisti, che erano inglesi, sbarcarono in Italia nel 1863 e dopo la Breccia di Porta Pia nel 1870 arrivarono a Roma anche gli americani della Southern Baptist Convention. Essi furono da subito assistiti da “evangelisti” italiani (così furono definiti quelli che oggi chiameremmo “pastori”), spesso provenienti (con molte comunità) dalle Chiese libere italiane, nate in maniera spontanea principalmente ad opera di esuli per ragioni politiche, poi rientrati in patria, che volevano esprimere così, nella fedeltà al Vangelo, il loro desiderio di emancipazione. Si ebbe così il felice innesto delle idee battiste in un contesto tipicamente italiano. Ciò conferisce al battismo del nostro Paese caratteristiche uniche, nel senso che il modo battista di esprimere la fede si fuse con le idealità del Risorgimento, nel cui ambito e nel cui clima erano nate appunto le Chiese libere in Italia. 

Che cosa ha spinto quei “liberi” ad entrare nelle Chiese battiste? Senz’altro la tensione verso la libertà, che è concezione fondamentale e vitale fra i battisti; il battesimo dei credenti poi, che esprime in maniera visibile l’ingresso nel popolo di Dio, fu certamente visto come particolarmente significativo per esprimere il passaggio da un modo di vivere la fede, che essi rifiutavano o con cui non consentivano, ad una nuova concezione dell’essere Chiesa. Per i battisti infatti l’unica prassi battesimale ricavabile dal Nuovo Testamento è il battesimo per immersione degli adulti in cui ogni credente confessa liberamente e responsabilmente la propria fede.

I battisti coltivano un’originale ecclesiologia di stampo congregazionalista: la Chiesa è anzitutto la Chiesa locale, la singola congregazione in collegamento con le Chiese sorelle, ma dotata di una sua autonomia propria. Non c’è infatti un papa e nemmeno un capo. L’Unione cristiana evangelica battista (Ucebi) raggruppa circa 120 Chiese sparse su tutto il territorio nazionale per un totale di 5mila membri adulti effettivi ed una popolazione totale di circa 15mila persone. Con le altre famiglie della Riforma storica (valdesi e metodisti in particolare) condivide il ministero di alcuni pastori, un unico organo di informazione (il settimanale Riforma), la gestione di una casa editrice (Claudiana), la conduzione di alcune opere caritative e sociali, l’appartenenza ad un'unica organizzazione giovanile, la Fgei (Federazione giovanile evangelica italiana).

Al pastore Lello Volpe, presidente dell’Ucebi, riconfermato nel suo incarico dall’ultima assemblea di novembre 2012, abbiamo rivolto alcune domande.

Il 2013 è un anno speciale per la Chiesa battista: celebra 150 anni di presenza in Italia. Dunque celebrazioni ed esplorazione della memoria. Come avete deciso di ricordare quest'anniversario?

Abbiamo scelto tre diverse modalità per celebrare i 150 anni di presenza battista in Italia: la festa del popolo battista che si terrà agli inizi di settembre in un luogo simbolico del battismo italiano, il Centro G. B. Taylor, nel quartiere romano di Centocelle; la riflessione storica, con un convegno che si terrà presso la Facoltà valdese di Teologia a Roma sugli aspetti storici che caratterizzano il battismo italiano; la testimonianza delle Chiese: attraverso una mostra itinerante, le Chiese stanno organizzando sul territorio incontri puntuali finalizzati a restituire agli italiani quel piccolo ma significativo contributo di fedeltà e testimonianza che le Chiese battiste italiane hanno dato alla storia d’Italia.

Circola un giudizio liquidatorio sulla Chiesa battista in Italia. Viene definita una Chiesa "importata". Certamente va ricordato l'importante contributo dei battisti statunitensi e inglesi alla nascita e allo sviluppo della Chiesa battista in Italia. Ma oggi il battismo italiano sta cercando una sua via originale. Che bilancio puoi tracciare?

Il modo battista di essere cristiano deve necessariamente essere plurale e originale, altrimenti tradisce le sue radici. Non avendo un papa, non avendo una gerarchia, non avendo una confessione di fede unica, ogni unione o associazione di Chiese battiste assume il colore del luogo in cui nasce. I battisti italiani non possono che cercare una via originale al battismo, così come lo hanno fatto i tedeschi, gli inglesi o i nigeriani. I contributi inglese e statunitense sono stati fondamentali per la nascita e lo sviluppo del battismo italiano, ma erano finalizzati alla nostra autonomia. Un’autonomia che in Italia si caratterizza per lo sforzo di costruire una missione integrale che sappia coniugare insieme una buona riflessione teologica che aiuti contro ogni fondamentalismo, uno spirito evangelistico nella sana tradizione battista e un impegno sociale deciso.


All'ultima assemblea nazionale di novembre 2012 un argomento molto dibattuto e che ha sollevato grandi passioni è la convivenza di Chiese “straniere” di immigrati che hanno chiesto e chiedono di aderire all'Unione Chiese battiste di Italia. Cosa puoi dirci di tutti gli sforzi di integrazione che si stanno compiendo?

L’integrazione è una caratteristica del cristianesimo. E lo è ancor più per il battismo. Integrarsi è indispensabile in ogni relazione. Significa avvicinarsi tanto all’altro fino a passarne i suoi confini e cominciare un po’ a parlare la sua lingua. Integrazione è quindi un processo reciproco. Non sono soltanto gli stranieri che debbono integrarsi, ma anche noi che siamo stranieri agli stranieri. In questo delicato rapporto di reciproca integrazione si superano gli steccati del pregiudizio e della paura e si accoglie la diversità come ricchezza.


Da quest'anno si può firmare per l’otto per mille anche per la Chiesa battista. C'è stato davvero un sabotaggio di questa possibilità come è sembrato in quei moduli che sono circolati senza la casella opportuna?

Evviva! Anche noi battisti partecipiamo all’otto per mille. Anche noi, come le consorelle Chiese valdesi e metodiste, abbiamo scelto di utilizzare questi soldi soltanto per scopi sociali e culturali. Certo non siamo partiti bene, l’Agenzia delle entrate si era dimenticata di inserire il nostro riquadro nel formulario della dichiarazione dei redditi. Poi ha corretto l’errore. Quando si è piccoli si è spesso esposti all’invisibilità.


Sempre a proposito di otto per mille, avete deciso di ricevere anche le quote non espresse. Come mai?

Già la scelta di partecipare alla ripartizione dell’otto per mille è stata una decisione dolorosa per un battista che insiste sulla separazione tra Stato e Chiesa. Tanto più lo è stato decidere di accogliere anche le quote non espresse. Credo che ormai tutti coloro che partecipano all’otto per mille, ricevono anche la parte di quote non espresse. È un modo per avere un maggiore introito dalla ripartizione e poter, in questo modo, finanziare con maggiori risorse i progetti che già seguiamo, come ad esempio l’adozione a distanza di bambini e bambine orfani dello Zimbabwe. La sottigliezza legale e dottrinale delle quote non espresse un bambino dello Zimbabwe non riuscirebbe a capirla, mentre comprenderà molto meglio che risorse maggiori sono opportunità in più per lui che all’inizio della corsa parte già svantaggiato.

Un pensiero per la Chiesa battista tra 150 anni. Come ti auguri di trovarla?

Mi auguro di trovarla fedele alla Parola di Dio. Umile. Sobria. Ma anche coraggiosa e decisa. Mi auguro di trovarla più numerosa. Fatta da tante donne e tanti uomini che vivono la loro fede con grande rispetto verso gli altri. Mi auguro di trovarla impegnata più a pensare al Regno di Dio di pace e di giustizia, che a rincorrere il canto delle sirene del potere e dell’apparire.

 

Gabriele Arosio è pastore battista di Bollate (Mi); socio fondatore e lavoratore di “Vento di Terra” (ong perla promozione di progetti di pace e sviluppo in Palestina e in altri Paesi del sud del mondo);autore del volume “I maestri di Gesù” (Viator). Collabora con il settimanale “Riforma”

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