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ARGENTINA: ORDINE DI CATTURA INTERNAZIONALE PER UN CAPPELLANO MILITARE DURANTE LA DITTATURA

Tratto da: Adista Notizie n° 37 del 26/10/2013

37351. BAHÍA BLANCA-ADISTA. La Corte Federale di Appello della città argentina di Bahía Blanca, a sud di Buenos Aires, ha emesso il 6 ottobre scorso un ordine di cattura internazionale per il sacerdote, con funzioni di cappellano, Aldo Omar Vara per presunta complicità nelle torture perpetrate nell’area sotto il controllo del V Corpo dell’Esercito durante la dittatura del 1976-83. La Corte ha dato ragione ai ricorrenti – i procuratori Miguel Palazzini e José Nebbia, della recentemente istituita Procura per cause di Violazione ai Diritti umani – contro il giudice Santiago Martínez che si era rifiutato di firmare la loro richiesta per l’indagine e la detenzione del religioso. I due procuratori avevano motivato la loro decisione in seguito a testimonianze raccolte durante il primo grado di un processo del settembre 2012, conclusosi con la condanna di 17 persone per delitti di lesa umanità. «Il cappellano, in base al Regolamento di Operazioni Psicologiche, è un ufficiale organico», ha spiegato Palazzini, e per Vara «è provato anche che, secondo il regolamento, in quanto ufficiale, nel suo ambito di azione operava nell’intelligence e dava il suo contributo al piano criminale dal suo status di sacerdote, potendo in questa veste entrare in contatto con le persone detenute».

Nella sentenza del settembre 2012 Palazzini, a proposito delle “Operazioni Psicologiche”, citando la Convenzione sul genocidio del 1948, stilata da Raphael Lemkin, aveva chiarito: «Qualsiasi genocidio ha bisogno di costruire un nemico, una vittima, demonizzarlo, spogliarlo di ogni umanità per poi sterminarlo». In questo lavoro “culturale”, il Regolamento, per esempio, «ordinava di organizzare quanto necessario perché la popolazione non percepisse la delazione come pratica riprovevole». Il giornale La nueva Provincia fu perno di questa “promozione culturale”, ma anche Vara si dedicò allo stesso compito: «Come militare, operava facendo intelligence nella sua area: la parrocchia o il Battaglione 181». In «modo tanto semplice e tanto perverso» poteva «profittare del lato religioso e sacro che tutti indubbiamente abbiamo. Sicuramente nella vittima che avvicinava il vedere un persona in talare in questi luoghi di terrore produceva una sensazione di sollievo e possibilmente la vittima immaginava di poter raccontare a lui qualcosa che non raccontava nella sala di torture».

Vara ha goduto a lungo della protezione della gerarchia, che non ha mai messo in questione il suo operato. «Quando i racconti dei sopravvissuti diventarono pubblici nel Giudizio per la Verità», il procedimento iniziato nel 1998 per far luce sulle aberrazioni della dittatura, «i superiori gerarchici di Vara – si legge in un articolo pubblicato il 19 marzo scorso sull’agenzia Paco Urondo – gli fecero lasciare la città, facendogli raggiungere una destinazione non precisata». Tanto che oggi l’ordine di cattura emesso è internazionale.

Di Vara è rimasto agli annali quanto disse nell’aprile 1998 l’ex ministro degli Esteri, Dante Caputo, il quale firmò nel 1985 il Trattato di pace ed amicizia con il Cile chiudendo il conflitto per la contesa delle isole del Canale di Beagle (rimaste al Cile): «Bisognerebbe appenderlo alla Piramide de Mayo [primo monumento patrio di Buenos Aires], per la sua incuria e incapacità», dato che la conclusione della disputa non sarebbe stata, secondo Vara, che «un epilogo logico e deplorevole per la mancanza di patriottismo del nostro popolo e del governo civile». (eletta cucuzza)

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