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AFRICA (ANCORA) TERRA DI CONQUISTA. È IL MOZAMBICO LA NUOVA FRONTIERA DEL BRASILE IMPERIALISTA

Tratto da: Adista Notizie n° 38 del 02/11/2013

37361. MAPUTO-ADISTA. Si continua a parlare di land grabbing nell’Africa preda di vecchie e nuove potenze coloniali. Nel caso specifico è il Mozambico nord orientale il bersaglio prescelto per il Programma Savana (ProSavana) – partorito nel 2009 durante il G8 dell’Aquila, siglato nel 2010 e avviato concretamente nel 2011 con il sostegno morale (e non solo) della comunità internazionale – che prevede un accordo di cooperazione industriale tra Brasile, Giappone e governo di Maputo per la realizzazione di un piano di sviluppo agricolo nel Nacala Corridor, un’area definita “sottoutilizzata”, grande circa 14 milioni di ettari da coltivare a soia per l’esportazione. La città principale, Nacala, è uno dei porti più importanti dell’Africa orientale, con acque tanto profonde da garantire il passaggio delle grandi navi commerciali. Nel 2007, il governo, per incentivare la crescita della regione, ha predisposto l’istituzione di una Zona speciale di Sviluppo, concedendo importanti sgravi fiscali e incentivi pubblici. E i capitali stranieri hanno abboccato all’amo, trasformando radicalmente il volto dell’area.

Il ProSavana altro non è che la riedizione di un programma identico, già avviato nel Cerrado brasiliano, regione simile al nordest del Mozambico per caratteristiche morfologiche e climatiche, dove le multinazionali nippo-brasiliane hanno dato vita ad una delle maggiori produzioni mondiali di soia. Ma già quel progetto – che il gotha dell’economia e della finanza internazionale, espressa al G8, considerava un modello vincente di sviluppo delle aree depresse – incontrò la ferrea opposizione delle organizzazioni locali e internazionali dei contadini. L’11 ottobre del 2012, l’Unac (Unione Nazionale dei Contadini mozambicani, aderente a Via Campesina) dichiarò che il programma avviato in Brasile ha «provocato un evidente degrado ambientale e la quasi totale estinzione delle comunità indigene che vivono nelle zone colpite». Il comunicato poi scagliava le stesse accuse contro l’omologo programma in Mozambico, denunciando inoltre «la mancanza di informazione e trasparenza da parte dei governi e degli stakeholders coinvolti», nonché «l'esclusione delle organizzazioni della società civile in tutto il processo, in particolare le organizzazioni contadine». Il ProSavana, aggiungevano le organizzazioni contadine, non tiene conto dei reali interessi e bisogni della popolazione, espropria le terre delle comunità locali, impone la monocultura mettendo a rischio l’equilibrio agricolo locale, sostituisce i lavoratori locali con imprenditori brasiliani, impoverisce la terra e i popoli locali (poi costretti ed emigrare), aumenta l’incidenza della corruzione, introduce forme di inquinamento del suolo e delle falde acquifere.

Nel corso della Seconda Conferenza Internazionale sulla Terra, che si è svolta a Maputo il 15 e 16 ottobre scorsi, i contadini di Mozambico, Angola, Sudafrica, Zimbabwe, Brasile, Svezia e Svizzera sono tornati sull’argomento, nel quadro più ampio delle politiche e delle riforme riguardanti la terra, e hanno ribadito la necessità di aumentare la partecipazione delle organizzazioni contadine mozambicane al processo decisionale, per difendere la sovranità alimentare e scongiurare il fenomeno del land grabbing, con il quale il governo sta svendendo pezzi interi di Paese agli investitori esteri.


Sviluppo, illusione e condanna

“Terra di conquista” è il titolo di un articolo di Gianni Ballarini, pubblicato il 18 ottobre scorso sul sito del periodico dei missionari comboniani, Nigrizia (www.nigrizia.it). Se l’obiettivo del Brasile è esportare know-how industriale e quello del Giappone è commercializzare soia sul mercato asiatico, «per Maputo, invece, lo slogan è “combattere la povertà” con l’illusione dello sviluppo», denuncia Nigrizia. «Quella nel corridoio di Nacala è forse la più ambiziosa e di alto profilo iniziativa recente della cooperazione internazionale brasiliana nel continente. Il Mozambico rischia di diventare la nuova frontiera agricola gialloverde». Insomma, si scrive sviluppo si legge neocolonialismo, anche perché le mire brasiliane non si fermano all’agrobusiness, e il Paese africano «è sempre più la destinazione di capitali privati brasiliani anche in settori quali il minerario e l’edile». Ma gli interessi della potenza emergente nel settore estrattivo e agroalimentare sembrano ormai aver impattato l’iceberg dei diritti dei popoli mozambicani. «La gente non ce la fa ad accettare tutto in silenzio. Più di 30 organizzazioni hanno deciso di unire gli sforzi per difendere terra e risorse naturali contro il ProSavana», afferma Ballarini riferendosi alla mobilitazione dell’Unac. «Da quel momento la mobilitazione è stata continua», scrive ancora: «La stessa Chiesa è scesa in piazza. Mons. Tomé Makhweliha, arcivescovo di Nampula, in un convegno organizzato dalla Chiesa locale ha affermato che “la terra è un bene comune dei mozambicani gestito dallo Stato e non può essere privatizzato in favore di nulla e di nessuno”». La mobilitazione di ampi strati della società mozambicana, che forse il governo di Maputo non si aspettava così massiccia e determinata, sta seriamente minando le basi del progetto ProSavana, tanto da imporre al presidente Armando Emílio Guebuza una battuta d’arresto. Fino a quando però?, si chiede Nigrizia. «L’Fmi è già lì che preme: il Mozambico rappresenta un miracolo agli occhi dei tecnocrati di Washington e il presidente non vuole sgretolare questa immagine». (giampaolo petrucci)

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