NIGERIA: INQUINANO, UCCIDONO E NON PAGANO. L’ACCUSA DI AMNESTY ALLE IMPRESE PETROLIFERE
Tratto da: Adista Notizie n° 42 del 30/11/2013
37408. ROMA-ADISTA. Nel 2001, la Commissione Africana per i Diritti Umani e dei Popoli aveva affermato che «l’inquinamento e il degrado ambientale a livelli umanamente inaccettabili ha reso la vita nell’Ogoniland (Nigeria) un incubo». Aveva inoltre denunciato una grande quantità di violazioni dei diritti delle comunità Ogoni – impossibilità di condurre una vita sana, di lavorare la terra e pascolare il bestiame, violazione del diritto alla salute e all’acqua, nessun risarcimento per i danni subiti – ad opera delle imprese petrolifere, complice anche il governo nazionale, che aveva deciso di lasciare agli investitori esteri campo libero nel Delta del Niger.
Ad oggi le cose non sembrano migliorate, nonostante le numerose inchieste e campagne di pressione di organismi internazionali e ong. Lo denuncia, dati alla mano, Amnesty International, nel durissimo rapporto Cattiva informazione. Inchiesta sulle fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger, curato in collaborazione con l’ong nigeriana Cehrd (Center for Environment, Human Rights and Development) e pubblicato il 6 novembre scorso sul sito di Amnesty (il file può essere scaricato gratuitamente, in inglese o in spagnolo, dal sito: http://www.amnesty.org/en/library/info/AFR44/031/2013/en).
Al centro dell’inchiesta, il dramma delle «centinaia di fuoriuscite di petrolio che si verificano ogni anno in Nigeria, e che causano un considerevole deterioramento dell’ambiente», compromettendo irreparabilmente i mezzi di sussistenza di contadini e allevatori e mettendo gravemente a rischio la salute delle popolazioni locali. Secondo quanto affermano da tempo le compagnie petrolifere – il dossier punta il dito principalmente su Shell e Agip, ma la lista nera è lunga – la causa della dispersione di petrolio va ricercata nei continui danni che i condotti e gli impianti subiscono sotto gli attacchi ripetuti di sabotatori e ladri di greggio. Ma questa giustificazione, avallata peraltro dalle investigazioni condotte fin’ora, non convince Amnesty, che la considera una sorta di paravento dietro cui nascondere falle gestionali e illeciti. Anche perché, denuncia l’organizzazione, molte delle investigazioni condotte fin’ora sono state promosse da società al soldo delle multinazionali del greggio (quando non interne ad esse), contravvenendo peraltro alle leggi locali che prevedono l’indipendenza degli organismi di controllo. Aggiunge Amnesty che le imprese petrolifere sono obbligate a risarcire le comunità locali dei danni causati dall’attività estrattiva, qualora venisse riconosciuta una loro responsabilità nell’aver inquinato terreni e falde acquifere. Risarcimento che però “salta” qualora il danno sia imputabile a un atto terroristico o a un furto operato, si presuppone, da facinorosi autoctoni. In moltissime occasioni, denuncia ancora il rapporto di Amnesty, pur di non risarcire le comunità locali, le multinazionali hanno ingiustamente attribuito a presunti terroristi o ladri la responsabilità degli sversamenti.
Inoltre, le imprese sarebbero anche costrette a ripulire “la scena del crimine” a fuoriuscita avvenuta. Shell e Agip hanno dichiarato di aver sempre ripulito e bonificato ogni territorio contaminato dagli sversamenti di greggio. Ma il rapporto «conclude che tali dichiarazioni pubbliche non reggono ad un esame dei fatti e anzi sono incompatibili con le prove raccolte» sul campo.
Sabotaggio e furti di petrolio sono certamente un problema presente nel Delta del Niger, riconosce Amnesty, ma non possono comunque rappresentare una valida giustificazione di fronte alle centinaia di fuoriuscite di petrolio delle multinazionali del greggio, che hanno reso il Delta del Niger una delle aree più inquinate dell’intero pianeta. Numeri troppo alti, attacca ancora l’organismo internazionale, che raccontano una tendenza al “risparmio” sulla manutenzione e sulla messa in sicurezza degli impianti. È fondato pensare infatti che colossi come Shell e Eni siano assolutamente in grado di provvedere alla sicurezza dei loro stabilimenti, proteggendoli da ladri e sabotatori.
Il rapporto di Amnesty International non risparmia nessuno: il danno ambientale è ingente, l’ecosistema del Delta del Niger è compromesso, «le comunità locali sono condannate a morte», e i loro diritti sono continuamente violati. Colpevoli le multinazionali certo, ma anche il governo del Paese, che ha totalmente fallito il suo compito di regolamentare e controllare l’industria petrolifera, complice una scarsa trasparenza e più o meno evidenti conflitti di interesse tra controllori e controllati. Dal rapporto emerge l’inaffidabilità della Shell e delle altre compagnie petrolifere operanti nel Delta del Niger in merito alla loro “autocertificazione” di impatto ambientale e alle loro responsabilità di fronte alla compromissione dell’ecosistema in Nigeria. (giampaolo petrucci)
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