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L’arma del boicottaggio per salvare il pianeta

Tratto da: Adista Documenti n° 17 del 10/05/2014

25 anni fa avevamo ancora una giustificazione per il fatto di non sapere e di non fare molto sul fronte del cambiamento climatico. Oggi non abbiamo scuse. Non si può più pensare che si tratti di fantascienza: ne stiamo già avvertendo gli effetti. 

Ecco perché, a prescindere da dove si vive, è sconfortante che gli Stati Uniti stiano dibattendo sulla costruzione di un enorme oleodotto destinato a trasportare 830mila barili del petrolio più sporco del mondo dal Canada al Golfo del Messico. Produrre e trasportare una tale quantità di petrolio provocherebbe un aumento delle emissioni del Canada di più del 30%. Se l’impatto negativo dell’oleodotto riguardasse solo il Canada e gli Stati Uniti, potremmo augurare loro buona fortuna. Ma investe, invece, il mondo intero, il nostro mondo condiviso, l’unico che abbiamo. Non disponiamo di molto tempo.

Scienziati ed esponenti governativi si sono incontrati a Berlino per discutere sui tagli alle emissioni di cui si parla nel rapporto dell’Ipcc. Abbiamo solo 15 anni di tempo per agire. Il rischio di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è sempre più alto. Chi può fermare tutto questo? Beh, noi, voi e io. E abbiamo non soltanto la possibilità, ma anche la responsabilità di farlo. Una responsabilità che ci viene dall’ordine dato da Dio ai primi abitanti umani del giardino dell’Eden: quello di coltivarlo e di custodirlo. Di custodirlo: non di abusarne né di distruggerlo.

Il “successo” nel nostro mondo impazzito viene misurato in dollari, franchi, rupie e yen. Il nostro desiderio di consumare qualsiasi cosa abbia un valore – ogni pietra preziosa, ogni grammo di metallo, ogni goccia di petrolio, ogni tonno nell’oceano, ogni rinoceronte nella savana – non conosce limiti. Viviamo in un mondo dominato dall’avidità. Abbiamo permesso agli interessi del capitale di sovrastare gli interessi degli esseri umani e della nostra Terra. 

Nella mia vita ho sempre creduto che l’unica risposta giusta all’ingiustizia sia ciò che il Mahatma Gandhi definiva come resistenza nonviolenta. Durante la lotta anti-apartheid in Sudafrica, è stato grazie alla campagna di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni che siamo stati in grado di esercitare non solo una pressione economica ma anche un forte condizionamento morale. È chiaro che i Paesi e le imprese maggiormente responsabili delle emissioni di anidride carbonica e del cambiamento climatico non cederanno facilmente: resisteranno per fare sempre più soldi. C’è bisogno di una grande opera di persuasione da parte nostra. E ciò non comporterà necessariamente vendere le nostre macchine e comprare biciclette!

Esistono molte maniere per combattere il cambiamento climatico: per esempio, evitando gli sprechi di energia. Ma le misure individuali non potranno fare la differenza nel tempo che abbiamo a disposizione. Le persone di coscienza devono rompere i legami con le imprese responsabili dell’ingiustizia climatica. Ad esempio, possiamo boicottare eventi, squadre sportive e programmi televisivi sponsorizzati dalle imprese degli idrocarburi. Possiamo chiedere che le loro pubblicità riportino avvertenze per la salute. Possiamo incoraggiare università, enti locali e istituzioni culturali a tagliare i rapporti con l’industria dei combustibili fossili. Possiamo organizzare giornate senza automobili e diffondere una maggiore consapevolezza sociale. Possiamo chiedere alle nostre comunità religiose di prendere posizione. Possiamo incoraggiare le industrie che producono energia a investire maggiormente nelle fonti rinnovabili e premiare quelle che già lo fanno. Possiamo fare pressione sui nostri governi affinché puntino sulle energie rinnovabili e taglino i finanziamenti ai combustibili fossili. Laddove è possibile, possiamo installare pannelli solari. 

È chiaro che non possiamo ridurre in bancarotta l’industria degli idrocarburi. Ma possiamo operare per limitarne l’influenza politica e imporre agli accaparratori l’obbligo di rimettere le cose a posto. La buona notizia è che non dobbiamo cominciare da zero. Tanti giovani in tutto il mondo hanno già iniziato a fare qualcosa. La campagna di disinvestimenti relativa ai combustibili fossili è quella che sta crescendo più rapidamente nella storia.

Il mese scorso il Sinodo generale della Chiesa di Inghilterra ha approvato a stragrande maggioranza la revisione della propria politica di investimenti nei confronti delle industrie di idrocarburi, e un vescovo si è riferito al cambiamento climatico come al “grande demonio” dei nostri giorni. Alcuni college e alcuni fondi di previdenza hanno già espresso la volontà di rendere i loro investimenti coerenti con le proprie convinzioni.

Non ha senso investire in industrie che minacciano il nostro futuro. Essere custodi della creazione non è un titolo vuoto: richiede un’azione da parte nostra con tutta l’urgenza che la grave situazione impone.

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