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Gerusalemme, città occupata. “Ma la riconciliazione può partire da qui”

Tratto da: Adista Documenti n° 23 del 21/06/2014

DOC-2628. GERUSALEMME-ADISTA. Era il giugno del 1967, la guerra dei sei giorni si era conclusa da poco. Huda aveva otto anni e delle belle scarpine nuove indosso. Quel giorno, insieme a tutta la sua famiglia, si recò a Gerusalemme Ovest per vedere la casa che il padre era stato costretto ad abbandonare quasi 20 anni prima, nel 1948, durante la pulizia etnica compiuta da Israele. Non vi aveva più messo piede. E neanche quel giorno poté farlo. «Fuori, fuori! Che diavolo ci fate qui?» gridò la donna israeliana che ora abitava lì al padre che voleva solo mostrare ai suoi figli un pezzo della sua vita. «Non puoi far vedere un bel niente a nessuno. Ti dico di andare via o chiamo la polizia». Quel giorno, di fronte al viso del padre inondato di lacrime, Huda promise a se stessa che per tutta la vita avrebbe fatto visita alla casa di suo padre. Rischiando il carcere, dove è finita più di una volta, pur di mantenere fede a quell’impegno. Perché non ci si dimentichi di chi è quella casa.

La struggente storia di Huda al-Imam, raccontata nel bellissimo libro di Suad Amiry Golda ha dormito qui, è una tra le tante che i muri delle case di Gerusalemme, così come quelle di Giaffa, di Haifa e di tutti i villaggi palestinesi finiti nel 1948 entro i confini del nascente Stato d’Israele, potrebbero raccontare se solo avessero voce. In quella che fu una vera e propria pulizia etnica furono centinaia di migliaia i palestinesi costretti con la forza a lasciare le proprie case e i propri beni. Tutti, che vivano in un campo profughi o meno, conservano gelosamente la chiave di una toppa che probabilmente neppure esiste più. Non solo il loro diritto al ritorno, sancito all’articolo 11 della risoluzione 194 delle Nazioni Unite dell’11 dicembre 1948, non si è mai realizzato, ma da allora le cose non hanno fatto altro che peggiorare. Chilometri di muro, checkpoint, leggi discriminatorie privano la maggioranza dei palestinesi del diritto all’accesso, al ritorno e all’esistenza a Gerusalemme. 

È a questo lato della storia della Città santa che i leader palestinesi cristiani del gruppo Kairos Palestine – autori alla fine del 2009 dell’accorato appello alla pace dal titolo “Un momento di verità” (v. Adista Documenti n. 6/10) – hanno dedicato una lunga riflessione diffusa in aprile. «Per me, come per la maggioranza dei palestinesi, musulmani come cristiani, Gerusalemme è la città che più amiamo e che meno visitiamo», racconta nell’introduzione il coordinatore di Kairos Palestine, Rifat Odeh Kassis. «Ricordo ancora, ero un bambino, la volta che venni a Gerusalemme con mio padre, passando per la vecchia strada, un viaggio di parecchie ore a causa della “no man’s land” che ci impediva l’accesso diretto alla città divisa. Nonostante gli ostacoli che esistevano già allora, ricordo questa visita come un momento profondamente felice. Significava mangiare dei dolci che non potevamo trovare al nostro villaggio e visitare luoghi santi di cui avevamo solo sentito parlare a scuola o in chiesa». «Dal 2002 – prosegue Rifat – non ci sono più tornato. E mio figlio Dafer, che ha 29 anni ed ha girato mezzo mondo, non l’ha mai visitata».

«In “Un momento di verità” – ricorda il coordinatore di Kairos Palestine – presentiamo Gerusalemme sia in una prospettiva specificamente cristiana palestinese che in una prospettiva umana universale. Affermiamo chiaramente che Gerusalemme è una città occupata, che l’occupazione di Gerusalemme è un peccato contro Dio e contro l’umanità e che costituisce un’offesa alla volontà divina così come alla comunità internazionale». «Crediamo che Gerusalemme debba essere la prima tappa della nostra riconciliazione»: «La risoluzione del conflitto concernente Gerusalemme – è l’auspicio di Rifat – sarà un modello cui far riferimento per risolvere gli altri conflitti tra le due nazioni».

Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo dell’intervento della Coalizione civica per i diritti dei palestinesi a Gerusalemme (nata nel 2005, raccoglie più di 20 ong e organizzazioni di base palestinesi), tratto dal documento di Kairos Palestine (l’integrale è disponibile al sito www.kairospalestine.ps). (ingrid colanicchia)

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