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L’“a venire”delle riforme

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 26 del 12/07/2014

La concomitanza fra il voto in Commissione Affari costituzionali del Senato del disegno di legge che ne muta radicalmente struttura e funzioni, e l’inizio della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea è una coincidenza favorevole per una spregiudicata ricognizione delle condizioni reali in cui il governo Renzi si trova ad affrontarla. Non è facile, infatti, distinguere la sostanza dalle apparenze, gli annunci dalle realizzazioni, anche per la insistente enfatizzazione della capacità della nuova dirigenza del Partito Democratico di far seguire alle parole i fatti, frutto, malato, dell’esigenza di rappresentarsi alla pubblica opinione come il “nuovo” che avanza. Pur se la forte copertura mediatica delle dichiarazioni dei suoi esponenti non favorisce le verifiche e il confronto, resta un margine di analisi e riflessioni per valutare il livello di attuazione delle riforme governative e la credibilità che ne deriva in ambito europeo.

Le leggi costituzionali non solo non hanno ottenuto l’approvazione, ma è in crisi la coalizione che doveva garantirla. Sarà forse facile, per riequilibrare le funzioni e le competenze delle Regioni, correggere le norme del Titolo V modificate nel 2001 dal centrosinistra in concorrenza con la Lega. Sarà invece difficile procedere ad una revisione concordata del sistema bicamerale, perché investe la tenuta stessa del sistema democratico. L’esigenza da tutti condivisa di snellire l’esercizio della funzione legislativa diventa, nella proposta governativa, ispirata al rafforzamento dell’esecutivo, occasione per privare il nuovo Senato di una piena rappresentatività democratica. Formato da senatori non eletti, privi d’indennità e a mezzo servizio con i Consigli regionali o comunali, dovrà limitarsi ad intervenire negli ambiti legislativi concernenti il governo del territorio, l’ordinamento e le funzioni di Comuni e Regioni. A tutt’oggi, non è affatto certo che il progetto Renzi sia approvato! Alcuni parlamentari Pd propongono, infatti, che, pur ridotti di numero e non chiamati a dare la fiducia e ad approvare leggi, i senatori restino eletti dai cittadini e partecipino all’elezione degli organi istituzionali e all’azione legislativa concernente mutamenti costituzionali oltre che alle questioni regionali. Anche molti “berlusconiani” dissentono perché, opportunisticamente, non intendono rafforzare un esecutivo da cui sono esclusi.

Neppure la svolta che ha portato il Movimento5stelle ad abbandonare lo sterile attendismo lascia prevedere una rapida approvazione dell’altra riforma d’interesse politico: la nuova legge elettorale. Anzi ha forse messo in discussione la soluzione già trovata con l’approvazione alla Camera del testo presentato dal governo.

Delle altre proposte di riforma, quella del sistema giudiziario, messa a punto dal ministro Andrea Orlando, non ha avuto neppure l’approvazione del Consiglio dei ministri, che si è limitato ad accoglierne le linee guida.

Più fortunato Giuliano Poletti, che ha potuto varare il suo “pacchetto” di norme sul mercato del lavoro. Ma i giovani, i disoccupati e gli imprenditori non vedono risolti i loro problemi con il rilancio dell’occupazione e con un concreto sostegno alla “crescita”. Doveva essere il fiore all’occhiello del governo con il riequilibrio delle normative Fornero, ma è appassito prima di sbocciare. 

Il riordino delle Province e la riforma della Pubblica Amministrazione hanno mosso i primi passi sul piano legislativo; non è ancora chiaro quanto e quando possano realmente incidere sul sistema locale e centrale, per i condizionamenti imposti dalle corporazioni, palesi e occulte, incardinate al suo interno.

Non c’è da meravigliarsi se questo bilancio in profondo rosso non ha impedito alle liste del Pd di ottenere, sia alle Europee sia alle Amministrative, un successo lusinghiero che costituisce una garanzia per il semestre italiano. Gli elettori moderati – circa la metà – hanno scommesso, molti con riserva, sul “nuovo” contro il “vecchio” impresentabile del berlusconismo e per scongiurare i rischi del velleitarismo grillino.

Anche quelli di sinistra hanno preferito il “nuovo” della Lista Tsipras, ma motivati da speranza e non da rassegnazione o paura.

Non c’è da meravigliarsi se nel confronto con i suoi interlocutori europei, molto più attenti alla realtà che alle sue rappresentazioni e al numero dei voti più che alle percentuali, Renzi abbia ottenuto attenzione e incoraggiamento, ma non un’incondizionata apertura di credito per la sua “austerità flessibile”.

La copertura mediatica aiuta a creare il contesto favorevole ad esercitare una leadership, ma per la realizzazione di un programma è necessario approfittarne al più presto per raggiungerne gli obiettivi.

* Delle Comunità cristiane di Base

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