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HONG KONG, OCCUPY CENTRAL: LA CHIESA CATTOLICA SULLE BARRICATE

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 11/10/2014

37813 HONG KONG-ADISTA. Una prima impressione è che i rapporti fra Cina e Vaticano, notoriamente tutt’altro che fluidi, non miglioreranno con il fatto che a fianco di Occupy Central ci sono i cattolici cinesi: da personalità quali il politico e cattolico democratico Martin Lee e l'imprenditore Jimmy Lai, cattolico anche lui, indagato per corruzione per aver sostenuto per anni il movimento democratico con generose donazioni, ai vescovi. Il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha esortato gli studenti, dopo aver marciato con loro, a rimanere uniti e fermi nella richiesta di una piena democrazia ed insieme ad un gruppo di cattolici ha tenuto un momento di preghiera, incurante della dura repressione poliziesca con lacrimogeni e gas urticanti. L’attuale vescovo di Hong Kong, card. John Tong Hon, ha espresso la sua vicinanza alla campagna di disobbedienza civile lanciando un appello al governo della Regione amministrativa speciale, definizione istituzionale di Hong Kong, «a mettere la sicurezza personale dei cittadini al primo posto nella lista delle proprie preoccupazioni, esercitando moderazione nell'uso della forza e cercando di ascoltare la voce delle giovani generazioni e dei cittadini di tutti i ceti sociali». Ha poi invitato «tutti coloro che stanno cercando di esprimere le proprie obiezioni e rimostranze a persistere nel mantenere la calma», cosa finora avvenuta, volendo i manifestanti portare avanti la lotta con mezzi pacifici e con il dialogo, come ripetutamente dichiarato.

Non sarà stata la solidarietà cattolica con il fronte protestatario, né forse le richieste di moderazione nel contenimento operativo delle manifestazioni avanzate da Stati Uniti e Regno Unito (che si sono sentiti rispondere: «gli affari di Hong Kong sono esclusivamente affari interni cinesi»), fatto sta che il 29 settembre il governo ha deciso di mitigare l’azione repressiva delle forze dell’ordine, limitandola ad un servizio di sicurezza solo intorno alle sedi di governo e Assemblea nazionale del popolo (il Parlamento). Insieme “suggerendo” però ai protestatari di sciogliere una volta per tutte gli assembramenti. Il movimento non se n’è dato per inteso: è rimasto a presidiare le piazze, in più chiedendo con gran frastuono di slogan le dimissioni del capo del governo locale Chun-ying Leung, pena l’occupazione delle sedi governative. E non più solo studenti e professori, “categorie” iniziatrici della protesta, ora sono stati arruolati «anche mamme, anziani e famiglie, incaricati di ammassare scatoloni di biscotti, bottiglie d’acqua e impermeabili agli angoli delle arterie bloccate, o nei sottopassi del metrò» (la Repubblica, 1/10). Tutto ossigeno per sostenere le richieste di Occupy Central, ovvero che l’Assemblea nazionale del popolo, che ha escluso il suffragio universale per Hong Kong, ritratti la decisione presa lo scorso 31 agosto di far scegliere il nuovo governatore fra tre soli candidati indicati da un comitato pro-Pechino (così tradendo la promessa di elezioni democratiche per la tornata prossima, nel 2017); e che sia rilanciato il processo di riforma politica nel territorio.


Il referendum sponsorizzato dal card. Zen

Le attuali manifestazioni hanno dato visibilità ad un movimento che è al lavoro già da molto, tanto da aver organizzato, e vinto, un referendum – non ufficiale – che chiedeva alla cittadinanza quale forma di governo adottare per il Territorio e che si è svolto nei giorni fra il 20 e il 29 giugno scorso con una forte affluenza (ne riferiva Asia News, 30/6/14). Le associazioni democratiche che si riconoscono in Occupy Central, promotrici della consultazione popolare e raccolte nell’“Alleanza per la Vera democrazia” (fra i suoi membri, anche 26 dei 27 deputati democratici del Consiglio legislativo di Hong Kong, che già prevede l’elezione libera di una parte dei “consiglieri”), hanno ottenuto l’adesione della maggioranza dei votanti (42,1% delle circa 800mila persone che si sono recate alle urne) alla loro proposta: elezione del prossimo capo dell’esecutivo, nel 2017, in forma diretta e con suffragio universale, e con un “binario a tre corsie” per i candidati al Consiglio, che potranno essere presentati dall'elettorato attivo, dalle Commissioni e dai Partiti politici. Il 38,4% e il 10,4% dei voti sono andati rispettivamente alla Federazione degli Studenti e al People Power's.

La Chiesa cattolica è stata tutt’altro che estranea al referendum: il card. Zen per spingere i cittadini a partecipare al referendum si è sottoposto ad una “lunga marcia” di 84 km (12 ore al giorno, con 32 gradi di temperatura media) toccando decine di distretti di Hong Kong, via via accompagnato da gruppi di cattolici. L’iniziativa del vescovo emerito era stata annunciata dal settimanale diocesano in cinese Kung Kaopo. Anche il card. John Tong aveva sostenuto il referendum: «dà una concreta espressione all'opinione pubblica», ha dichiarato all’epoca. 


Vescovi: appello per la democrazia

Fatti, quelli descritti fin qui, epigoni di una “politica” ecclesiale da anni perseguita e che l’anno scorso si è concretizzata in un lungo e articolato «appello al governo e alle parti in causa» che invitava a non rimandare oltre il dibattito sull’introduzione del suffragio universale, un diritto, sia per la Dottrina sociale della Chiesa che per la Dichiarazione universale dell’uomo, mai concesso durante il periodo coloniale inglese e bloccato dalla Cina dal 1997 per non perdere il controllo del Territorio. «Se – ammonisce il documento che del movimento Occupy Central dice: «Ha una sua legittimità» – una richiesta persistente di correggere una seria ingiustizia non ottiene alcuna risposta positiva, o se il ricorso legale non è disponibile, o se le strutture politiche non democratiche non permettono l'accesso effettivo agli strumenti ordinari di riforma o di reclamo, allora – è la premonizione dei vescovi – possono emergere delle situazioni eccezionali in cui la "disobbedienza civile"», «entro certi limiti, è giustificata». Le quattro richieste che l’appello (pubblicato integralmente in Asia News, 25/7/13) puntualizza riguardano la democrazia elettorale ad ogni livello istituzionale. E in merito la diocesi cattolica di Hong Kong auspica che «si instauri un dialogo onesto e venga intrapresa un'azione responsabile nella speranza che, attraverso gli sforzi e la collaborazione di tutti, la Regione amministrativa speciale di Hong Kong sia in grado di costruire un sistema di governo davvero democratico, corretto e responsabile. Questo è un fattore essenziale per mantenere la giustizia e la pace». (eletta cucuzza)

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