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Cambia verso o cambia vento?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 39 del 08/11/2014

Tre fatti meritano attenzione in questo autunno 2014: la definizione da parte del governo della legge di stabilità con i suoi riflessi in campo sociale e in ambito europeo; l’idea del “partito nazionale” come ipotesi di evoluzione del Pd con le conseguenze che ne derivano sul piano politico ed istituzionale, a partire dalla legge elettorale; e infine il pronunciamento di Berlusconi in favore delle unioni gay, con qualche appropriata suggestione in ambito cattolico. Della legge di stabilità conviene trattare usando lo stesso metro che si utilizzava per la vecchia legge finanziaria: che entrava in Parlamento come carne ed usciva come salsiccia. Blindature, chiavistelli, voti di fiducia non servono a salvarla dall’assalto degli interessi insoddisfatti, che ci sono sempre anche quando come nel caso attuale, le norme contengono novità interessanti come la riduzione delle tasse, specie per chi assume lavoratori, la conferma del bonus di 80 euro come integrazione dei redditi più bassi, e la novità del premio di natalità di altri 80 per ogni figlio nato tra il 2015 e il 2018… data della scadenza elettorale. 

La parola d’ordine è quella della crescita, il che implica una certa dialettica con l’Unione europea, ma vi sono almeno due linee di contrasto interno: quella tra il governo e le Regioni, che non hanno accettato la dislocazione a loro carico di una parte dei risparmi da compiere, e quella tra il governo e quanti hanno motivo di reclamare per i tagli dei fondi delle politiche sociali, cioè per la riduzione di servizi essenziali per i meno abbienti. 

C’è poi chi protesta per questioni minori – come ad esempio l’introduzione di un balzello che non piace ai collezionisti di auto d’epoca – ma si può essere certi che durante il dibattito parlamentare la guerra degli emendamenti produrrà i suoi effetti. Intanto il sindacato esprime il suo (pluralistico) dissenso sulla riforma del lavoro, con esiti problematici stante la presente condizione di debolezza del movimento dei lavoratori. 

Quanto ai risvolti europei, al di là dei clamori di facciata, si tratterà di vedere se con il cambio della Commissione cambierà il canone dell’Unione: dall’austerità dei ragionieri alla crescita degli economisti. L’Italia si è esposta su questa frontiera ed è un’intenzione apprezzabile, anche se la crescita, di per sé, non garantisce il risultato della piena occupazione, ossia della condizione fondamentale per uno sviluppo degno di questo nome. Ma in ogni caso sarebbe, se non un cambio di verso, almeno un cambio di vento, più propizio alla navigazione.

La metamorfosi del Pd in un’altra cosa era congenita alla leadership di Matteo Renzi. Il risultato delle elezioni europee (il famoso 41%) ha dato la sensazione che i numeri per sostenere una forte ambizione maggioritaria ci sono. E da qui viene la tentazione di cambiare l’impianto della legge elettorale prevedendo che il premio di maggioranza vada non più alla coalizione ma al partito che supera il 40%. Non bastano però i numeri e la certezza della maggioranza per essere in grado di svolgere una “funzione nazionale”. Occorre essere in grado di esprimere una sintesi politica che interpreti, in una fase storica, il sentire comune di un popolo. Operazione che in Italia riuscì, ai suoi tempi, a De Gasperi quando inserì nella cornice democratica lo sforzo di riscatto di un Paese disastrato dal fascismo; e dislocando, per questo, la presenza di «un partito di centro che marcia verso sinistra». Ora viceversa si tratterebbe, per il Pd, di un partito di sinistra che marcia verso il centro; e non si può pensare che, al netto delle resistenze ideologiche più radicali, tale transizione possa compiersi senza pagare pedaggi. Lasciando in pace i sacri testi, occorrerebbe almeno realizzare un’analisi condivisa della situazione e delle prospettive per non rimanere in balia dei sondaggi e delle convenienze tattiche. In altri termini: per non ricalcare quella caricatura di partito nazionale che è stato il Popolo della Libertà di Berlusconi.

Il quale Berlusconi – ed è l’ultimo fatto – ha proclamato, su impulso della sua attuale favorita, che il suo partito, Forza Italia, sostiene il riconoscimento delle coppie omosessuali da attuarsi con una legge che ricalchi il modello tedesco. È la stessa posizione più volte enunciata dal Pd, prima con Bersani e poi con Renzi, ma non è questo il punto: che una saggia soluzione a problemi di questo genere occorra è fuori discussione, però Berlusconi dice una cosa che suscita sbalordimento. Afferma infatti che Forza Italia è favorevole a tali misure “da sempre”. Da sempre? Anche quando contrastava la moderatissima proposta del governo Prodi, quella dei “DiCo”, le dichiarazioni di convivenza? O anche quando si metteva in mostra al “family day” promosso in sede cattolica per stroncare (con successo) quel tentativo? C’è un limite oltre il quale la disinvoltura tracima nella sfrontatezza. E varrebbe la pena di aprire una discussione retrospettiva al riguardo: cambia verso o cambia vento? Per intanto conviene prendere nota.

*Saggista; collaboratore di diverse testate; già presidente nazionale delle Acli (1976-1987) e senatore Dc (1987-1992)

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