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Dall’eccezionalità alla normalità costituzionale

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 24/01/2015

Stando alle indicazioni del sondaggio sul rapporto fra gli italiani e lo Stato condotto a dicembre 2014 da Demos, l’Istituto di ricerca politica e sociale fondato da Ilvo Diamanti, nubi sempre più nere si starebbero addensando sul futuro del nostro Paese: solo il 66% degli italiani preferirebbe la democrazia a altre  forme di governo e la metà dei nostri connazionali riterrebbe che la democrazia possa funzionare anche senza i partiti. In sensibile calo sarebbe poi la fiducia degli italiani nei confronti di istituzioni, associazioni e gruppi sociali (Stato, Parlamento, presidente della Repubblica, enti locali, magistratura, forze dell’ordine, banche, sindacati, associazioni imprenditoriali), con i partiti ridotti a un apprezzamento del 3%. Solo la fiducia nella Chiesa e nella scuola risulterebbe in lievissima crescita rispetto al 2010, mentre grande credito riscuoterebbe la figura del papa.

L’Istituto Demos afferma anche che il 34% degli italiani è favorevole o possibilista nei confronti di un regime autoritario e aggiunge che il 50% di coloro che continuano a credere nella democrazia pensa che sia possibile farla funzionare anche senza i partiti. Si tratta di indicazioni sconcertanti come lo è il fatto che l’esito di simili sondaggi non provochi nel governo e nella classe politica del Paese “pentimenti operosi” di qualche rilievo. Delle due l’una: o tali sondaggi si considerano privi di attendibilità e allora andrebbero contestati per evitare un aggravamento degli sbandamenti in atto nel Paese; o meritano credito e allora si tratta di notizie che dovrebbero “far tremare le vene e i polsi”. Due emergenze che richiedono sia politiche economiche autenticamente innovative capaci di rendere effettivo il diritto al lavoro con una lotta senza quartiere alle scandalose disuguaglianze sociali, sia una profonda rieducazione democratica fondata sul rispetto della propria e della altrui dignità. In questa situazione si inserisce la prossima elezione del nuovo capo dello Stato: un problema affrontato finora con tatticismi preoccupati di molte cose (prove di forza, efficienza,  regolamento di conti politici) ma forse preoccupati non in modo adeguato delle  qualità che la persona prescelta dovrebbe possedere. C'è quindi il rischio che la scelta sia decisa (se già non lo è stata) fra pochi “intimi” nelle segrete stanze di qualche palazzo romano, cercando poi di dare a tale operazione sembianze democratiche con pilotati passaggi assembleari nei partiti e in Parlamento.

Annunciando le dimissioni nel discorso di fine anno, Napolitano ha detto che la nomina del nuovo presidente dovrà chiudere «la parentesi di una eccezionalità costituzionale» per tornare alla «regolarità costituzionale ovvero alla regolarità dei tempi di vita delle istituzioni». Una «eccezionalità costituzionale» provocata da una situazione politica delicata, non solo per la durata (legittima ma innaturale) del mandato presidenziale, ma anche per il modo in cui, specialmente negli ultimi tempi, è stato svolto con un allargamento di quella moral suasion esercitata dal capo dello Stato mediante giudizi positivi su alcune riforme istituzionali ed economiche fortemente contestate da una rilevante parte delle forze politiche, del mondo sindacale e del Parlamento. Un’interpretazione quindi estensiva di quella “persuasione morale” quale potere connaturato all’autorità del presidente della Repubblica per il prestigio del suo ruolo super partes. 

È bene poi che cessino le altre “eccezionalità costituzionali” che hanno caratterizzato di recente la vicenda politica: dall'assenza di un’opposizione in grado di svolgere il suo ruolo fondamentale per la democrazia, ad un Parlamento di nominati dalle segreterie politiche, spesso dimentichi del dovere di rappresentare la nazione e di esercitare le proprie funzioni senza “vincolo di mandato”, al ricorso sistematico del governo alla decretazione di urgenza, ponendo spesso la questione di fiducia agli accordi di indefinito contenuto su questioni di fondamentale importanza conclusi da leader di partito in barba alla trasparenza e alla partecipazione democratica.

Per cancellare le anomalie costituzionali c’è bisogno di una vera  svolta politica all’insegna di quella democrazia critica incessantemente impegnata alla ricerca del “meglio possibile” e lontana sia dall’arroganza dogmatica sia dall’inconcludente scetticismo. Una democrazia senza punti esclamativi ma con molti punti interrogativi, capace di dialogo, di ascolto e di autocritica nonché consapevole di dover rivolgere un'attenzione privilegiata alle ragioni dei cittadini più deboli. Una cultura politica che guarda ai sondaggi come un possibile strumento utile per conoscere le domande dei cittadini ma sa che le indagini demoscopiche possono essere poco attendibili ed esposte al rischio di venire usate come strumento improprio di lotta politica. E che sa anche che la cosiddetta “sondo-democrazia” è la negazione della democrazia vera e propria perché oggettivizza il popolo relegandolo in una posizione passiva e privandolo della sovranità ad esso attribuita dal primo articolo della nostra Costituzione.

* presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione

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