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Viaggio del papa a Cuba: Francesco pronto a mietere il consenso

Viaggio del papa a Cuba: Francesco pronto a mietere il consenso

Tratto da: Adista Notizie n° 29 del 05/09/2015

38229 L'AVANA-ADISTA. Potremmo chiamarla la profezia di Giovanni Paolo II; o più modestamente l'auspicio. Certo è che la Cuba che sta per ricevere papa Francesco (vi atterrerà il 19 settembre) è, come sollecitò Wojtyla, «aperta al mondo e il mondo è aperto a Cuba». Tanto significano le bandiere, entrambe di colore bianco-rosso-blu, che finalmente sventolano a Washington (dal 20 luglio quella cubana) e all'Avana (dal 14 agosto quella statunitense). Bandiere di pace a siglare – dopo il ripristino delle relazioni sottoscritto il 1° luglio scorso fra i due Paesi e dopo lo scambio degli ambasciatori (v. Adista Notizie n. 25/15) – la riapertura delle relative rappresentanze diplomatiche e, un giorno, il libero scambio di attività economiche e turistiche con la cancellazione dell'embargo statunitense. Cancellazione per ora in stallo, dato che la maggioranza repubblicana al Congresso Usa assume iniziative per ostacolare la volontà di Obama di metter fine all'inimicizia con Cuba. Per esempio, è stato presentato un progetto di legge per il blocco delle licenze che liberalizzano i voli verso l'isola caraibica, mentre American Airlines e Cuba Travel Service, in linea con i desiderata del presidente Usa, si preparano a lanciare i primi voli charter da Los Angeles a L’Avana, forse già dal 12 dicembre, secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg.

Da quando è sotto la guida di Raúl Castro l'isola che accoglierà Francesco ha attuato una serie di riforme liberalizzatrici che facilitano gli spostamenti all'estero dei cittadini cubani, l'impresa privata, gli investimenti stranieri. Ma negli anni il cambiamento più profondo le autorità di governo lo hanno forse realizzato nei confronti della Chiesa cattolica, che ora gode di attenzione e del più dignitoso rispetto, almeno quanto la Chiesa ne riserva al governo. Situazione cui non è per nulla estranea la capacità di dialogo dell'arcivescovo dell'Avana, card. Jaime Ortega, che a testa alta ha sempre trattato con le autorità civili, sì da uomo di Chiesa e per la Chiesa, ma sempre e comunque da cittadino consapevole di Cuba e per Cuba. Sicché ormai non è più un problema l'arrivo nell'isola di sacerdoti stranieri e di religiose; le religiose possono dare assistenza ai pazienti negli ospedali e presto anche agli anziani; alla Chiesa cattolica sono state restituite proprietà espropriate nei primi anni della Rivoluzione e concesso il permesso di costruire nuove chiese (la prima è in costruzione). Il quotidiano di partito Granma il 26 luglio scorso ha perfino pubblicato integralmente – «su sollecitazione della presidenza della Conferenza episcopale di Cuba», ci tiene a specificare il giornale – il messaggio rivolto dai vescovi, a motivo della prossima visita del papa, «ai figli della Chiesa cattolica, ai fratelli di altre confessioni religiose e a tutto il nostro popolo». All'Avana, il 17 agosto, il card. Ortega ha incontrato il presidente Castro per analizzare l'andamento dei preparativi della visita del papa (molto soddisfacenti quelli governativi secondo il cardinale, stando a quanto riferisce Cubadebate del 25/8). I due hanno profittato dell'occasione per parlare, ha detto la Tv cubana, «di aspetti di mutuo interesse delle relazioni tra Stato cubano e Chiesa cattolica» nell'isola. D'altronde rimangono irrisolti almeno due nodi: la possibilità di aprire scuole cattoliche e la presenza della Chiesa nei media.

Tanto feeling fra Chiesa e governo non piace affatto ai dissidenti cubani, che ritengono e denunciano di vivere in un regime dittatoriale. E tanto più in vista del viaggio papale fanno sentire la loro voce. Fra questi le Damas de Blanco (mogli, madri e sorelle di prigionieri che esse definiscono politici) che tutte le domeniche manifestano per le strade della capitale cubana per esigere la liberazione dei loro familiari e il rispetto dei diritti umani, talvolta subendo fermi di polizia. La loro leader, Berta Soler, ha dichiarato all'agenzia AciPrensa (21/8) che ci sono «circa 80 detenuti politici in prigione e 42 persone che hanno permessi extracarcercari o sono in libertà condizionata che però possono essere revocati in qualsiasi momento». Ha affermato di temere che durante la presenza di Francesco a Cuba telefoni e cellulari dei dissidenti vengano isolati e che i dissidenti vengano preventivamente messi in carcere, come – sostiene – accadde per la visita di Benedetto XVI. Berta ha scritto al pontefice per chiedere che le Damas possano avere con lui, a Cuba, un «incontro di alcuni minuti». Francesco ha già ricevuto Berta Soler in San Pietro l'8 maggio del 2013. Le concederà nuova udienza? Potrebbe apparire uno sgarbo nei confronti del card. Ortega, artefice di primo piano del disgelo Chiesa-governo e Usa-Cuba. Perché Ortega dice che non ci sono detenuti per motivi politici: «Non ce ne sono da tempo», cioè da quando egli stesso si adoperò perché fossero tutti liberati (v. Adista Notizie nn. 21, 28, 35, 48 e 66/10), ha affermato in un'intervista d'inizio aprile scorso al settimanale spagnolo Vida nueva. E comunque non si trattò di iniziativa solo ecclesiale, ha aggiunto dando un'informazione non nota: «Di fronte al problema di tanti prigionieri politici, il presidente Raúl Castro ci disse: “Chiedo che la Chiesa intervenga in tutto questo”. All'inizio del suo governo, rimanevano 53 detenuti della cosiddetta Primavera Negra, con la quale egli aveva la volontà di farla finita».

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