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Dopo Parigi: un’inversione a “U”

Dopo Parigi: un’inversione a “U”

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 28/11/2015

La nuova strage a Parigi non può che tappare le bocche. Il silenzio sgomento è la reazione più spontanea, ma anche la più dignitosa. La razionalità umana impone però di non restare paralizzati in attesa fatalistica di ciò che avverrà, come se ciò che ci aspetta non dipendesse da ciò che decidiamo adesso. Insieme.

I responsabili politici, in particolare, non possono sottrarsi al dovere di assumere decisioni: ed è forte, per loro, la tentazione di assumerle assecondando l’emozione popolare piuttosto che seguendo la lungimiranza della saggezza. È il caso di Hollande in linea con la reazione che fu di Bush dopo l’11 settembre del 2001: stato di guerra, stretta ai confini, bombe contro  bombe. È il principio veterotestamentario (originariamente teso a porre un limite alla vendetta) “occhio per occhio” che, chiosava Gandhi, renderà il mondo cieco.

Chi non ha il peso delle decisioni politiche ha però la possibilità, e dunque il dovere, di fare un passo indietro per guardare la situazione con un minimo di prospettiva: e di dire, senza infingimenti, la verità. Per fedeltà alla storia ma, almeno altrettanto, per cura del futuro. E la verità è che gli innocenti di Parigi sono vittime, prima di tutto, degli occidentali. È dal ‘400 che, con tutti i mezzi del terrore, conquistiamo, stupriamo, sfruttiamo, imprigioniamo, deportiamo quanti hanno la sfortuna di non essere bianchi né cristiani né tecnologicamente attrezzati. In particolare è dalla fine del XIX secolo che conduciamo ai danni di Paesi a maggioranza islamica politiche colonialiste e imperialiste, suscitando ogni genere di meccanismi difensivi: tra cui l’invenzione (recente) dell’ideologia jihadista. Come se ciò non bastasse, ancora oggi siamo in ottimi affari con Stati, quali l’Arabia Saudita e alcuni Emirati Arabi, che con alto grado di certezza finanziano i gruppi terroristi (consentendo loro, tra l’altro, di acquistare le armi che l’Europa – in primis l’Italia – produce e vende senza chiedere a nessuno come intenda adoperarle). Se un marziano osservasse tutto ciò si stupirebbe del nostro stupore: perché sorprendersi se ancestrali e attuali politiche da folli producono – del tutto logicamente – conseguenze altrettanto folli?

Che fare, dunque? L’agenda è semplice da redigere, assai ardua da attuare. Implicherebbe un’inversione a “U” del nostro modo di concepire e di vivere la nostra condizione (sinora, e non sappiamo per quanto tempo ancora) di privilegiati. Innanzitutto dovremmo cominciare a cancellare dalle nostre teste la graduatoria delle vittime: chi perde la vita per il “terrore” degli eserciti occidentali (a causa di errori più o meno evitabili) non vale meno per chi la perde a causa del “terrorismo”. Così come chi perde la vita a causa del “terrorismo” in Africa (o in volo di ritorno in Russia dalle vacanze) non vale meno di chi la perde nelle Torri Gemelle o in un teatro di Parigi. Secondariamente, dovremmo rassegnarci all’idea che ogni popolo ha gli stessi diritti degli altri: non c’è chi ha diritto all’atomica e chi no; chi ha diritto a sfruttare il proprio petrolio e chi no; chi ha diritto all’autodeterminazione politica (anche nelle forme più discutibili come la democrazia formale borghese) e chi no; chi ha diritto a viaggiare per il pianeta e stabilire dimora dove ritiene più conveniente e chi deve restare a casa (anche se è una casa che languisce per le carestie o brucia per le guerre civili). Certo l’elenco degli obiettivi perseguibili per fare marcia indietro nella storia di cinque o sei secoli sarebbe molto lungo: ma sarebbero tutti obiettivi troppo ovvi per essere anche condivisi. La situazione, insomma, è la medesima fotografata da Pascal nel XVII secolo: le buone massime ci sono tutte, si tratta solo di praticarle.

Augusto Cavadi è docente di storia e filosofia, teologo, saggista. www.augustocavadi.com

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